La fame di massa a Gaza
7 min letturaYahia al-Najjar aveva quattro mesi quando è morto martedì scorso per grave malnutrizione all'American Hospital di Khan Younis, nel sud di Gaza. Yahia, ha raccontato al New York Times sua zia, Safa al-Najjar, era nato senza gravi problemi di salute, ma le sue condizioni sono peggiorate rapidamente. La famiglia viveva in una tenda fatta con una coperta sostenuta da quattro pali. La madre di Yahia, che sopravviveva con un pasto al giorno a base di lenticchie o riso, non riusciva a produrre latte a sufficienza per allattarlo e la famiglia non poteva permettersi il latte artificiale. All'ospedale, i medici hanno cercato di aiutarlo, ma Yahia è arrivato in condizioni critiche e non ce l’ha fatta.
Mohammed Zakaria al-Mutawaq, di circa 18 mesi, è stato diagnosticato gravemente malnutrito dalla clinica Friends of the Patient e dall'ospedale pediatrico Al-Rantisi. Vive con la madre e il fratello in una tenda su una spiaggia di Gaza.
La madre di Mohammed, Hedaya al-Mutawaq, 31 anni, ha raccontato che il padre del bambino è stato ucciso lo scorso ottobre mentre era uscito in cerca di cibo.
“Cammino per le strade in cerca di cibo”, ha detto sempre al New York Times la madre del bambino, Hedaya al-Mutawaq. Le mense della carità su cui fa affidamento per sfamare Mohammed e suo fratello Joud, di 3 anni, non sempre possono aiutare, e loro soffrono la fame. “Da adulta, posso sopportare la fame, ma i miei figli non ce la fanno. Andiamo a letto affamati e ci svegliamo pensando solo a come trovare da mangiare. Non riesco a trovare né latte né pannolini”. I medici le hanno detto che l’unica cura per Mohammed “è cibo e acqua”.
Dopo gli attacchi aerei, le abitazioni rase al suolo, gli sfollamenti, gli spari per disperdere la folla affamata che si accalca sui convogli di cibo o che si dirigeva verso i luoghi di distribuzione degli aiuti, la carestia è un ulteriore passo verso lo sterminio degli abitanti di Gaza. I più colpiti sono le persone più vulnerabili: i minori, gli anziani e i malati.
Il World Food Program ha dichiarato questa settimana che la crisi alimentare a Gaza ha raggiunto “nuovi e sorprendenti livelli di disperazione, con un terzo della popolazione che non mangia da diversi giorni consecutivi”.
“A Gaza non c'è più nessuno che non sia colpito dalla carestia, nemmeno io”, dice al New York Times il dottor Ahmed al-Farra, che dirige il reparto pediatrico dell'ospedale Nasser nel sud di Gaza. “Vi parlo in qualità di funzionario sanitario, ma anch'io sto cercando farina per sfamare la mia famiglia”.
Il numero dei bambini morti di malnutrizione è aumentato drasticamente negli ultimi giorni, prosegue al-Farra. Molti di loro non avevano patologie preesistenti, come Siwar Barbaq, nato sano e che ora, a 11 mesi, dovrebbe pesare circa nove chili, e invece ne pesa meno di quattro.
“Non so come altro definirla se non fame di massa, ed è causata dall'uomo, questo è molto chiaro”, ha dichiarato il direttore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Tedros Adhanom Ghebreyesus, durante una conferenza stampa da Ginevra. “La causa è il blocco degli aiuti umanitari”.
Durante tutta la guerra, le agenzie delle Nazioni Unite e i gruppi umanitari indipendenti hanno accusato Israele di consentire l'ingresso a Gaza di quantità di cibo insufficienti e hanno più volte avvertito dell'imminente carestia per i suoi oltre due milioni di abitanti. Affermazioni respinte da Israele che ha invece puntualmente replicato che a Gaza arrivava cibo a sufficienza e che la mancata distribuzione era responsabilità delle deviazioni operate da Hamas e della cattiva gestione delle organizzazioni umanitarie.
Dopo che Israele ha posto fine a una tregua di due mesi a metà marzo e ha ripreso la sua campagna militare a Gaza, ha imposto un blocco totale all'ingresso di merci per circa 80 giorni per cercare di costringere Hamas alla resa, aggravando una situazione già fortemente critica. Fino ad allora gli aiuti venivano forniti in oltre 400 punti di distribuzione nell'ambito di un sistema guidato dall'ONU.
Attualmente gli aiuti entrano in due modi. Attraverso il nuovo sistema, duramente criticato, gestito da appaltatori privati americani sotto l'egida della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un gruppo privato sostenuto da Israele, che gestisce quattro punti di distribuzione fissi nel sud di Gaza e uno nel centro della Striscia. E attraverso convogli di aiuti portati da organizzazioni internazionali indipendenti. Ma le scorte sono in ogni modo insufficienti e procacciarsi il cibo è ogni volta un pericolo per la propria vita.
GHF ha recentemente comunicato di aver già distribuito più di 85 milioni di pasti e che la distribuzione giornaliera è avvenuta senza incidenti. Ma, come spiega una inchiesta giornalistica di Haaretz, inseriti nel contesto di Gaza, i numeri forniti da GHF si rivelano insufficienti e testimoniano la situazione drammatica che invece vogliono negare. Calcolando gli abitanti di Gaza, il cibo giornaliero da garantire e i giorni trascorsi da quando GHF opera sul territorio, i pasti da fornire avrebbero dovuto essere più del quadruplo, 353 milioni.
“Questo divario è solo la punta dell'iceberg della matematica della fame”, scrive Haaretz. A differenza dei siti gestiti dall’ONU e da altre organizzazioni umanitarie, nelle strutture del GHF non esiste né legge né ordine. Tutti prendono ciò che possono e poi fuggono per salvarsi la vita. Di conseguenza, le persone che hanno più bisogno di cibo – bambini piccoli, donne, anziani e malati – restano spesso a mani vuote.
I punti di distribuzione gestiti da GHF sono aperti tutti i giorni, ma solo per circa 15 minuti, dopodiché il cibo finisce. E gli orari di apertura non sono noti in anticipo. Questa incertezza ha fatto sì che decine di migliaia di persone rischino la vita ogni giorno, circondano i centri di distribuzione tutto il giorno nella speranza di riuscire a procurarsi un po' di cibo per la propria famiglia. Alcuni dormono persino sulla sabbia nelle zone di fuoco intorno ai centri nel tentativo di arrivare per primi.
Questa pressione ha trasformato le strade che portano ai centri di distribuzione e i centri stessi in trappole mortali. Ogni giorno decine di persone vengono uccise, di solito dai soldati israeliani, che cercano di controllare la folla con il fuoco vivo. Ad oggi, più di mille palestinesi sono stati uccisi nei centri di distribuzione, mentre si recavano lì o vicino ai camion che trasportavano cibo, prosegue Haaretz.
Israele accusa Hamas di aver orchestrato una narrazione della fame saccheggiando i camion degli aiuti e interrompendo la distribuzione degli aiuti alla popolazione di Gaza. E accusa inoltre le Nazioni Unite e altre organizzazioni umanitarie di non aver raccolto centinaia di camion carichi di aiuti che si sono accumulati sul lato di Gaza dei valichi di frontiera. Le organizzazioni umanitarie accusano Israele di assediare Gaza, limitare i rifornimenti e non garantire percorsi sicuri per i loro convogli all'interno di Gaza. L'unica soluzione, come affermano da tempo, è un aumento consistente delle consegne di cibo.
Una lettera firmata da 109 agenzie, tra cui Medici Senza Frontiere, Oxfam International e Amnesty International, afferma che il governo israeliano sta impedendo alle organizzazioni umanitarie di distribuire efficacemente gli aiuti salvavita. “Appena fuori Gaza, nei magazzini - e persino all'interno - restano inutilizzati tonnellate di cibo, acqua potabile, forniture mediche, materiali per ripari e carburante, e le organizzazioni umanitarie non possono accedervi o consegnarli”, si legge nella lettera. “Mentre la carestia di massa si diffonde nella Striscia di Gaza, i nostri colleghi e le persone che aiutiamo si stanno esaurendo”, avvertono le ONG, che chiedono il cessate il fuoco immediato, l'apertura di tutti i valichi di frontiera e il libero flusso di aiuti umanitari.
Alcuni giorni prima, il 21 luglio, era stata l’Agence France-Press (AFP) a lanciare l’allarme, avvertendo che presto gli ultimi suoi giornalisti che continuano a testimoniare cosa accade a Gaza non potranno più farlo. “Senza un intervento immediato, gli ultimi giornalisti a Gaza moriranno”, ha dichiarato la Società dei Giornalisti dell’AFP. "Vediamo la loro situazione peggiorare. Sono giovani e le forze li stanno abbandonando”, scrive l'SDJ. “La maggior parte non ha più la capacità fisica di spostarsi nell'enclave per svolgere il proprio lavoro. Le loro strazianti richieste d'aiuto sono ormai quotidiane”. L'Agence France-Presse teme di "sapere della loro morte da un momento all'altro”.
Sempre il 21 luglio, 28 paesi hanno rilasciato una dichiarazione in cui chiedono la fine della guerra a Gaza e definiscono “inaccettabile” il “rifiuto di fornire assistenza umanitaria essenziale” da parte di Israele. La dichiarazione condannava anche la violenza dei coloni israeliani in Cisgiordania e i piani israeliani di trasferire i palestinesi in una “città umanitaria”, descritta dall'ex primo ministro israeliano Olmert come un “campo di concentramento”.
La dichiarazione, sebbene formulata in termini forti, non minaccia sanzioni né menziona misure politiche concrete da adottare. La lettera inviata dalle organizzazioni umanitarie chiede invece un'azione diretta: “Accordi frammentari e gesti simbolici, come lanci di aiuti dall'alto o accordi di aiuto imperfetti, servono solo a nascondere l'inazione. Non possono sostituire gli obblighi legali e morali degli Stati di proteggere i civili palestinesi e garantire un accesso significativo su larga scala”.
Intanto i colloqui per un cessate il fuoco sembrano essersi interrotti, dopo l’ottimismo filtrato nei giorni scorsi. Israele e gli Stati Uniti hanno annunciato il ritiro dei loro negoziatori da Doha. L'inviato statunitense Steve Witkoff ha accusato Hamas di non agire in buona fede. Secondo quanto riportato dai media israeliani, la proposta di Hamas includeva richieste sul numero di prigionieri da scambiare, sulle agenzie autorizzate a distribuire aiuti a Gaza e sulla fine definitiva della guerra piuttosto che un cessate il fuoco. Una fonte di Hamas ha detto che la proposta includeva una nuova tabella di marcia per lo scambio di prigionieri, che ha detto a Reuters essere una priorità assoluta per il gruppo. Il Forum delle famiglie degli ostaggi israeliani, che rappresenta le famiglie delle persone detenute a Gaza, ha rilasciato una dichiarazione di preoccupazione alla notizia del richiamo dei negoziatori e ha esortato a raggiungere rapidamente un cessate il fuoco.
L'accordo in fase di discussione dovrebbe prevedere un cessate il fuoco di 60 giorni durante il quale Hamas rilascerà 10 ostaggi vivi e i corpi di altri 18 in cambio di prigionieri palestinesi. Durante il cessate il fuoco dovrebbero tenersi poi i colloqui per raggiungere una tregua duratura e saranno aumentati gli aiuti umanitari alla Striscia assediata.
Immagine in anteprima: frame video NBC via YouTube







