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Il giornalista McGyver. Fisionomia del reporter presente e futuro

21 Luglio 2013 7 min lettura

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Il giornalista McGyver. Fisionomia del reporter presente e futuro

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Tratto dal settimo capitolo del libro "Tutta un'altra notizia" di Valerio Bassan (ed. goWare, 2013), per gentile concessione dell'autore.

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Giugno 2014. Kenya. Nelle strade del paese africano, da qualche giorno, sta montando una protesta popolare contro il nuovo governo e alcune misure emanate nei primi giorni del mandato. I cittadini sono in subbuglio; si sono radunati in piazza e sfileranno davanti al parlamento con cartelli e striscioni. Qualcuno lancia pietre, di minuto in minuto i cori si levano sempre più forti. La polizia circonda la manifestazione, determinata a impedire lo svolgimento del corteo. La tensione cresce, è probabile che di lì a breve si verifichino scontri violenti.

Il giornalista John Crave, del “New York Times”, cammina a lato della manifestazione. Indossa pantaloncini cachi, scarpe comode, una maglietta chiara e un paio di occhiali colorati dalla linea moderna. Mentre prosegue il suo percorso, non perde di vista quello che accade davanti a lui. Qualcuno lo nota, stupito dal suo strano atteggiamento. Parla, in inglese, cercando di scandire bene le parole. Al suo fianco, però, non c’è nessun interlocutore. Nelle mani non stringe uno smartphone. Nelle orecchie non ha un auricolare bluetooth. Con chi (o cosa) sta dunque comunicando, Crave?

Con lo sguardo filma, con la voce racconta: in una redazione a migliaia di chilometri di distanza, in tempo reale, il materiale che Crave sta raccogliendo sbatte in prima pagina, davanti agli occhi di milioni di lettori. I suoi occhiali sono lo strumento che gli permette di documentare la situazione, in modo semplice e immediato. E senza l’utilizzo delle mani. Fantascienza? Tutt’altro: all’inizio del 2014, i Google Glass sbarcheranno sul mercato americano, contribuendo a cambiare una volta di più la professione giornalistica. Leggeri e moderni, gli occhiali di Big G integreranno una videocamera, una connessione internet, un processore, un microfono in grado di ricevere ordini vocali e trasformarli in azioni concrete.

John Crave non esiste, chiaro. E le proteste in Kenya sono soltanto un’ipotesi. Ma cambiando scenario, la sostanza rimane immutata. Pensiamo ad un G8, una guerra, un fatto di cronaca, un festival cinematografico, una manifestazione sportiva: nel presente e nell’immediato futuro, in ogni aspetto della realtà, una serie di grandi innovazioni tecnologiche – molte delle quali ancora di là da venire – contribuirà a modificare il lavoro dei reporter, facilitando ancora di più la trasmissione e la realizzazione d’immagini e notizie.

Il reporter bionico

Con un’iperbole tutt’altro che inverosimile, potremmo definire il giornalista dei prossimi anni come un “reporter bionico”. Fornito di occhiali in grado di scattare fotografie, girare filmati, registrare un voice over e inviare il materiale, praticamente in tempo reale, alla redazione del giornale, tramite una rapida connessione internet. In possesso di orologi da polso “intelligenti” che gli permetteranno di sorvegliare senza sforzo la mail e i social network, in qualsiasi momento. Di telefoni cellulari all’avanguardia. Di fogli elettronici arrotolabili in grado di unire completezza e maneggevolezza, leggibilità e portabilità.

Nei prossimi anni, la tecnologia s’integrerà perfettamente con la persona, rendendo sempre di più i device prolungamenti naturali dei cinque sensi. A un lustro da oggi, guarderemo ai reportage di guerra realizzati con lo smartphone, una delle grandi rivoluzioni dell’ultimo quinquennio, come ad un cimelio appartenente ad un’epoca lontana.

Il giornalista di oggi non deve solo tecnologizzarsi, è costretto a farlo. Chi non si adatta è perduto. Le sue competenze tecniche devono ampliarsi a dismisura, arrivando a toccare tutti gli ambiti del digitale. Saper utilizzare un sistema editoriale WordPress non basta più: bisogna imparare ad utilizzare una videocamera, a montare una clip, a registrare un podcast, bisogna conoscere i fondamentali del SEO, le strategie dei social media, la scrittura di un codice informatico. Non si può essere solo mediatori dell’informazione, è necessario diventare programmatori dell’informazione. Riuscire ad affrontare e risolvere le problematiche tecniche, oltre a quelle narrative.

La tecnologia come integrazione della professionalità

Tutto questo, ovviamente, non intaccherà le basi della professione. Il giornalista avrà sempre e comunque la necessità (e il dovere) di mediare la realtà con professionalità e intelligenza. L’arte di raccontare una storia, di condurre un’intervista, di costruirsi un network di fonti, di procacciare una notizia, di approfondire gli eventi, resterà un requisito cruciale. Anzi, sarà sempre più importante, perché permetterà di distinguere il giornalista da un qualunque altro cittadino. Nell’era in cui tutti – dal ragazzino delle medie al pensionato – avranno i mezzi tecnici per documentare la realtà, le skills del reporter dovranno diventare sempre più solide e differenziate. Informare diventerà più immediato, ma non per questo più semplice.

Le ipotesi più disfattiste, oggi, vorrebbero il giornalista relegato al ruolo di “scribacchino da cubicolo”, destinato a costruire gli articoli attingendo le notizie da internet, intento a trasformare in frasi e parole i contributi dei lettori e rimpastando le notizie fornite dai comunicati stampa. In realtà, il futuro riserverà – a mio avviso – qualche sorpresa. La riduzione fisiologica delle redazioni costringerà il giornalista a tornare nel suo habitat naturale: la strada. In un mercato costituito soprattutto da freelance e collaboratori, i giornali (online e non) verranno costruiti perlopiù dall’esterno. Le sedi dei grandi quotidiani, dove oggi si produce ancora la maggior parte del lavoro editoriale, diventeranno luoghi di coordinamento simili a una centrale operativa della polizia. Al di sotto del corpo direzionale un ristretto nucleo di professionisti smisterà, organizzerà, impaginerà. Ma gli articoli arriveranno soprattutto da “fuori”.

Tra multitasking e differenziazione

Il giornalista, in uno scenario estremamente concorrenziale, dovrà essere in grado di costruirsi e strutturarsi autonomamente un proprio palcoscenico. Per sopravvivere, collaborerà con testate diverse, mettendo le proprie capacità al servizio di differenti canali d’informazione. Ogni reporter esisterà come persona digitale ancor prima che come persona fisica e dovrà, dotandosi di una vetrina che lo possa mettere in risalto, costruirsi una credibilità online ancor prima che offline. Disporre di un profilo Twitter molto seguito o di un blog personale molto letto diventerà, sempre di più, il biglietto da visita del giornalista di successo.

Per emergere, il giornalista dovrà essere multitasking, ma al contempo dovrà specializzarsi in un ambito preciso. Coltivare una conoscenza particolare nel settore delle energie rinnovabili, della geopolitica, della scienza medica o del diritto internazionale comparato, lo aiuterà a posizionarsi sul mercato. Il reporter “di fatica” ma privo di una conoscenza specifica, al contrario, rischierà di diventare poco appetibile da editori e testate. Nell’era post-industriale, in cui l’informazione si sposta verso un processo di automatizzazione e standardizzazione, il giornalista dovrà essere in grado di fornire un proprio valore aggiunto alle notizie, mettendo a frutto quelle capacità che solo il “capitale umano” è in grado di offrire.

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Alcuni strumenti utili

Mentre il mondo dell’informazione si ramifica e diversifica, il giornalista deve sapersi orientare al meglio tra le opportunità e i nuovi strumenti che il web è in grado di offrirgli. Ogni settimana, nascono decine di tools digitali pensati appositamente per agevolare la professione: applicazioni, software e siti che, se utilizzati nel modo corretto, possono davvero aiutarci nel lavoro quotidiano. Ve ne sono decine meritevoli di essere menzionati: Storify, che ci permette di creare e pubblicare storie e narrazioni raccogliendo le voci più rilevanti del mondo social; Timeline,  che ci aiuta a creare le sequenze temporali di una notizia in un formato graficamente accattivante; Infogram, che dispone i nostri dati in semplici (ma belle) infografiche.

Ma anche DocumentCloud, una “nuvola” attraverso cui possiamo raccogliere e condividere i documenti con il nostro team, già utilizzato da oltre seicento redazioni; Zeega, che ci aiuta a costruire brevi documentari mescolando audio, video e fotografie; Ushahidi, un sistema di crowdsourcing che può essere utilizzato da grandi gruppi di persone per la “mappatura” e il racconto di un evento; Video Notebook, che trascrive automaticamente lunghi video e audio, permettendoci di “archiviare” il materiale, di trovare ciò che cerchiamo all’interno di un lungo discorso elettorale e di sincronizzare il filmato con i tweet. Tra i tanti strumenti e plug-in in grado di aiutarci a gestire la nostra rassegna stampa quotidiana, Instapaper risulta uno dei più validi e funzionali. Nel vasto oceano dei tools, perdersi è facile: due buoni siti per mantenere la rotta sono Journalist’s Toolbox e Journalism.org.

News change, craft doesn’t: un decalogo per il nuovo giornalista

"Come direttore del quotidiano di una grande città, ho imparato la psicologia del giornalismo. Potrei chiamare un mio reporter nel mezzo della notte, dirgli che c'è un incendio e che non importa il suo grado in carriera: deve lasciare tutto e andare. Imprecherà un po', forse, ma non discuterà. Le notizie accadono, semplicemente. Bisogna rassegnarsi. Immaginiamo adesso quello stesso vecchio giornalista, tornato in redazione dopo l'incendio. Se gli dicessi di lasciare la sua scrivania e di scrivere il suo articolo dall'altra parte della redazione, scatenerebbe l'infermo. "Questo è il MIO posto", grugnirebbe. Aggiungendo, probabilmente, un bel po' di imprecazioni. Questa è psicologia del giornalismo. Se le news cambiano ogni secondo, va bene. Se invece dobbiamo cambiare il modo in cui facciamo il nostro lavoro, è un problema. Le notizie cambiano, il mestiere no".

(Eric Newton, per anni direttore responsabile dell’“Oakland Tribune”)

In realtà il giornalista, oggi, deve saper cambiare. L’adattamento è diventato una prerogativa essenziale per la sopravvivenza. È nelle scuole di giornalismo, ormai la via d’accesso alla professione più utilizzata, che la professionalità deve essere costruita mattone dopo mattone. Tenendo bene a mente dieci aspetti fondamentali. Questi.

Il giornalista deve:

1. Tecnologizzarsi
2. Ampliare le proprie conoscenze
3. Costruirsi credibilità e seguito online
4. Diventare editore di se stesso
5. Essere sempre più scrupoloso
6. Prepararsi ad un lavoro più fluido
7. Specializzarsi
8. Recepire gli input dei lettori (feedback utenti e citizen journalism)
9. Mantenersi aggiornato
10. Essere coraggioso, sperimentare

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Valerio Bassan è nato nel 1986 in provincia di Milano; vive a Berlino, dove ha fondato e dirige Il Mitte, il primo quotidiano online per italofoni. Dalla Germania scrive per Linkiesta e TgCom24. Il suo documentario "Kosovo Versus Kosovo" (2012), realizzato insieme ad Andrea Legni, racconta la realtà della minoranza serba in Kosovo. "Tutta un'altra notizia" è il suo primo eBook.

 

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