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Noi cittadini italiani alle prese col doppio bavaglio

28 Giugno 2011 3 min lettura

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Noi cittadini italiani alle prese col doppio bavaglio

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Per chi se lo fosse perso in questi giorni la peggiore classe dirigente degli ultimi 150 anni, che è al Governo più o meno da 10 anni, non si sta dando da fare solo per legare le mani ai magistrati e imbavagliare i giornalisti (ledendo così il sacrosanto diritto dei cittadini di sapere). Zitti, zitti, quatti, quatti stanno cercando, a loro modo, di mettere le mani anche sulla Rete. 

Noi cittadini italiani siamo alle prese con il doppio bavaglio e reagiremo questo è certo in entrambi i casi: se passerà la legge bavaglio in Parlamento (oggi si comincia con il blitz sulla responsabilità dei giudici, nonostante la bocciatura da parte di Palazzo Chigi) e se il 6 luglio passerà la delibera dell'AGCOM che, col pretesto della protezione del diritto d'autore, di fatto mette a rischio la libertà di espressione sul web. Non ci potrà essere alternativa alla disobbedienza civile

Valigialeaks sarà la nostra risposta alla legge bavaglio. Metteremo a disposizione la nostra piattaforma per pubblicare tutto ciò che sarà di interesse per l'opinione pubblica. In nome della privacy vogliono impedire ai cittadini di sapere. E allora ci devono spiegare nelle intercettazioni che abbiamo letto in questi giorni dove c'è stata intrusione nella vita privata dei soggetti coinvolti (o non coinvolti direttamente) nell'inchiesta. 
Il principio è semplice: il diritto di cronaca prevale sul diritto alla riservatezza se ricopri un ruolo pubblico. Aspetti della vita privata delle persone coinvolte nelle inchieste di certo non ci interessano (e non andrebbero pubblicati) ma tutto ciò che racconta la cifra, lo stile, il linguaggio di un sistema di potere che si configura come un abuso che deforma il gioco democratico sì deve essere reso pubblico. Non c'è privacy che tenga. Il problema, lo sottolineamo ancora una volta, oggi come oggi non sono le intercettazioni come strumento di indagine e i giornali che le pubblicano ma quello che sta emergendo da queste telefonate e da questa inchiesta. 
Pubblicheremo tutto, come cittadini, come blogger, pronti ad affrontare le eventuali conseguenze. Ma ci viene da ridere al pensiero che nell'era di Wikileaks si possa solo minimamente pensare che la strada sia quella della censura e non della trasparenza. 
E veniamo alla delibera (con molta probabilità illegittima) dell'Agcom che sarà approvata il 6 luglio. Cosa fare? Come suggerisce oggi su Punto Informatico Guido Scorza, Presidente Istituto per le politiche dell'innovazione, ci sono due piani quello giudiziario e quello della società civile. 
In sede giudiziaria si può:
1) Chiedere alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea se ritiene compatibile con l'ordinamento europeo la suddetta delibera 
2) Interessare la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, la quale ha già più volte ricordato che la libertà di informazione non è un diritto immolabile sull'altare di diritti patrimoniali e per volere di un'Autorità amministrativa semi-indipendente
3) Chiedere risarcimento danni ad AGCOM ed ai titolari dei diritti per le centinaia di migliaia di ipotesi nelle quali, certamente, il ritmo e la mole di informazioni da processare comporterà come conseguenza la commissione di gravi errori in danno di utenti ed operatori di comunicazione. 
E veniamo alla parte che ci potrà interessare più da vicino. Che possiamo fare come società civile? 
1) Creare un portale nel quale tener traccia, in tempo reale, di tutte le richieste di rimozione che perverranno ad AGCOM e delle risposte di AGCOM a tali richieste. In questo modo sarà possibile monitorare rapidamente l'incidenza della nuova disciplina sulla libertà di informazione e sulle altre libertà fondamentali (FEMI e Agorà digitale già ci stanno lavorando) 
2) Ma possiamo fare di più: disobbedienza civile al contrario - verrebbe da dire, di una minuziosa obbedienza civile - che valga ad inondare le scrivanie - fisiche e virtuali - dell'Autorità di centinaia di migliaia di richieste di rimozione ogni mese così da far comprendere all'Autorità che la procedura ideata è costosa ed inutile e, auspicabilmente, indurla a desistere dal proprio intendimento. 
La Rete è ormai divenuta lo spazio pubblico per eccellenza nel quale ciascuno ha, finalmente, la possibilità di incidere sui processi democratici del Paese. Non possiamo lasciare che l'accesso e la libertà di informazione a questo straordinario spazio pubblico siano governati da quelle stesse dinamiche politico ed economiche che, negli anni, hanno privato il Paese dello spazio pubblico televisivo. 

La Rete è nostra. Difendiamone la libertà.


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