Il vittimismo dei filoputiniani che gridano alla censura in TV e sui giornali
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La guerra contro l’Ucraina che la Russia ha iniziato il 22 febbraio 2022 ha causato finora circa 1 milione e mezzo di morti e feriti tra i militari (i morti russi oscillano tra i 250 mila e i 400 mila, quelli ucraini tra i 60 mila e i 100 mila) e oltre 20 mila morti civili ucraini .
Le atrocità commesse dalla Russia non si contano. La Corte Penale Internazionale ha già spiccato, nel 2023, un mandato di cattura internazionale nei confronti di Vladimir Vladimirovich Putin e Maria Alekseevna Lvova-Belova, ma da allora la CPI si è recata già innumerevoli volte in Ucraina per indagare sui crimini commessi. Solo il procuratore della CPI Karim AA Khan KC vi si è recato 6 volte (qui il report dell’ultima visita).
Ciò nonostante, in una allucinante conferenza stampa del 20 dicembre, Putin ha dichiarato "Non ci consideriamo responsabili della perdita di vite umane perché non abbiamo iniziato noi questa guerra. Il governo di Kyiv ha iniziato la guerra nell'est dell'Ucraina nel 2022, e avrebbe dovuto lasciare la popolazione libera di scegliere il proprio stile di vita in quella parte del paese".
Putin, nel prosieguo della già citata delirante conferenza stampa, ha affermato anche che “L'Ucraina si rifiuta praticamente di porre fine al conflitto con mezzi pacifici", mentre Mosca ha l'obiettivo di "vivere in pace e senza conflitti nel 2026”. “Lo ripeto ancora una volta: vogliamo risolvere tutte le questioni controverse attraverso i negoziati". Parole pronunciate mentre missili e droni russi colpivano obiettivi civili in tutta l’Ucraina.
Una bugia colossale, che tuttavia Putin ha pronunciato senza battere ciglio. Perché cito questo episodio? Perché rappresenta uno schema di comunicazione al quale, in sedicesimi, ci tocca assistere in Italia sin dall'inizio del conflitto: si nega la verità e quando si viene smascherati si cerca di passare per vittime.
Non sarebbe possibile citare qui tutti gli episodi che rientrano in questo schema con protagonisti la pletora di giornalisti, storici, opinionisti, politici che, in Italia, hanno rilanciato e rilanciano le bufale propagandistiche di Mosca. Valga per tutti il massacro di Buča, orrendo esempio di disinformazione russa utilizzata per coprire un eccidio, che ha visto l’Italia in prima fila, con un ruolo importante avuto da Facebook e da giornalisti attivi sui social come Tony Capuozzo, che naturalmente ha sempre negato di essere pro-Putin, affermando piuttosto di essere solo alla ricerca della verità.
L’attività di disinformazione e di rilancio della propaganda putiniana in Italia non si è mai arrestata. Va avanti ininterrotta dall’inizio della guerra. Il sito Facta, nel maggio di quest’anno, ha riportato un’indagine dell’Insistute for Strategic Dialogue (ISD) che svela come una rete organizzata di siti, account social e attivisti italiani permetta ai media russi sanzionati di continuare a diffondere contenuti propagandistici nel nostro paese. I dati sono impressionanti ed è riportata anche l’attività di Vincenzo Lorusso, un nome che ritroveremo più avanti in questo articolo. Bisogna inoltre considerare la galassia di siti che fanno parte del cosiddetto Pravda Network, “una delle più prolifiche operazioni di informazione allineate alla Russia”.
Nonostante tutto questo, nonostante la disinformazione e la propaganda abbiano letteralmente occupato il dibattito pubblico italiano, va di moda dichiararsi censurati. Ha iniziato Orsini, che si è dichiarato censurato decine (se non centinaia di volte), tanto che la sua bio sul suo canale youtube (dove ha pubblicato 283 video) recita “Canale pacifista in difesa della società libera contro la censura del pensiero”.
Memorabili alcuni suoi post su Facebook, come quello del 10 maggio 2023 in cui lamentava:“Presto non potrò più parlare liberamente su Facebook. Iscrivetevi urgentemente al mio canale YouTube” o quello del 5 febbraio 2024 in cui denunciava “Cari amici, purtroppo questa pagina è stata sottoposta a una censura durissima. Non potrò più esprimere il mio dissenso verso Israele e il bombardamento di Gaza o verso i cosiddetti media dominanti per il modo in cui fanno disinformazione sulle guerre causate e alimentate dall'Occidente, altrimenti le mie pagine Facebook saranno chiuse. Sapevo benissimo che questo giorno sarebbe arrivato”.
Orsini, vale la pena ricordarlo, è un professore universitario che dall’inizio della guerra è onnipresente nelle TV e nelle radio italiane, ha pubblicato 3 libri, scrive regolarmente sulla carta stampata, ha portato i suoi monologhi nei teatri, ha un podcast su Spotify, è presente e attivissimo su tutti i social media.
Quindi, viene da chiedersi, che cos’è la censura? Com’è che alcuni cittadini si dichiarano censurati e, tuttavia, parlano, scrivono e appaiono su tutti i mezzi di informazione?
Treccani la definisce così:“Esame, da parte dell’autorità pubblica (c. politica) o dell’autorità ecclesiastica (c. ecclesiastica), degli scritti o giornali da stamparsi, dei manifesti o avvisi da affiggere in pubblico, delle opere teatrali o pellicole da rappresentare e sim., che ha lo scopo di permetterne o vietarne la pubblicazione, l’affissione, la rappresentazione, ecc., secondo che rispondano o no alle leggi o ad altre prescrizioni”.
Wikipedia, invece, sceglie questa definizione: “La censura è il controllo della comunicazione da parte di un'autorità, che limita la libertà di espressione e l'accesso all'informazione con l'intento dichiarato di tutelare l'ordine sociale e politico.Nella maggior parte dei casi si intende che tale controllo sia applicato nell'ambito della comunicazione pubblica, per esempio quella per mezzo della stampa o altri mezzi di comunicazione di massa; ma si può anche riferire al controllo dell'espressione dei singoli, ad esempio la corrispondenza privata.”
Potremmo andare avanti con le definizioni, ma in ognuna troveremmo due elementi necessari per poter asserire di essere in presenza di un caso di censura:
- Ci dev’essere un’autorità che effettua un controllo;
- Questo controllo deve risolversi con la decisione di vietare, anche solo parzialmente, la diffusione di un pensiero, di uno scritto o di un qualunque altro mezzo di espressione.
Siccome nessuna di queste due cose è mai avvenuta al prof. Orsini, possiamo affermare che egli non è mai stato (per fortuna) censurato. Né, tra l’altro, sarebbe stato possibile, visto che la censura è vietata dall’art. 21 della nostra Costituzione che recita: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”
Veniamo a un altro caso che nelle ultime settimane ha tenuto banco.Il Circolo Arci della Poderosa di Torino aveva organizzato, il 9 dicembre, presso il Teatro Grande Valdocco di Torino, un evento intitolato Democrazia in tempo di guerra, a cui avrebbero dovuto partecipare, tra gli altri, il professor Angelo D'Orsi con Alessandro Barbero, Luciano Canfora, Carlo Rovelli, Marco Travaglio, Alessandro Di Battista, Moni Ovadia, Marco Revelli, Vauro ed Enzo Iacchetti.
Il Teatro in questione è di proprietà dei Salesiani, i quali dopo l’iniziale assenso hanno cambiato idea, motivando così: “Gli spazi salesiani sono concepiti come ambienti formativi, nei quali le proposte culturali sono chiamate a favorire partecipazione, prossimità e modalità di confronto chiare e contestualizzate. Alla luce dell’identità del Teatro e dei criteri con cui vengono accolte le iniziative culturali è stato ritenuto opportuno non procedere con lo svolgimento dell’evento. La decisione non esprime alcuna valutazione sui temi o sulle opinioni collegate all’iniziativa, ma riguarda esclusivamente l’utilizzo degli spazi in relazione alla loro missione educativa e comunitaria”.
Più o meno tutti i partecipanti si sono detti indignati e hanno fatto riferimento alla censura. Il prof. D’Orsi in particolare non si è risparmiato, tanto da pubblicare un video con una locandina dove il nome dell’evento è modificata, sostituendo la parola “democrazia” con “censura”, anche perché era già stato protagonista (passivo) della cancellazione di un evento. Un mese prima, sempre a Torino, era stato annullato un evento dal titolo Russofilia, russofobia, verità durante il quale avrebbe dovuto dialogare con Vincenzo Lorusso. Proprio il giornalista accusato di eludere le sanzioni e di riportare in Italia la propaganda russa. Qui la ricostruzione della vicenda e un curriculum di Lorusso.
Ma, ancora una volta, possiamo parlare di censura? Esiste un diritto all’utilizzo degli spazi di discussione? La libertà di espressione del pensiero impone, per esempio, ai Salesiani di ospitare D’Orsi? Naturalmente no. Come leggiamo, ad esempio, nel commentario alla Costituzione della rivista dell’ANM La magistratura:
La Costituzione non attribuisce un “diritto al mezzo” inteso come possibilità per i consociati di accedere a tutti i possibili veicoli di diffusione; l’accesso a un mezzo presuppone, pertanto, che esso si trovi nella disponibilità giuridica dell’interessato, ferma restando la necessità – più volte sottolineata dalla Corte costituzionale – che il legislatore garantisca a tutti la relativa possibilità, sia regolamentando i mezzi di diffusione sprovvisti di disciplina, sia consentendone la più ampia fruibilità possibile, “con le modalità ed entro i limiti resi eventualmente necessari dalle peculiari caratteristiche dei singoli mezzi” (sentenze n. 105 del 1972, n. 94 del 1977, n. 112 del 1993).”
Non ci sarebbe bisogno di ribadirlo in un contesto normale, ma date le circostanze ci sentiamo di doverlo fare: nella nostra democrazia non esiste il diritto per chiunque di pretendere spazio sui mezzi di informazione. Io non posso, per esempio, dichiararmi censurato perché il TG3 non mi invita a parlare. La libertà di informazione garantita dall’art. 21 comprende anche quella dei proprietari dei mezzi di informazione di scegliere la propria linea editoriale, i propri direttori, redattori, giornalisti, opinionisti, etc. Così come la libertà di impresa sancita dall’art. 41 della Costituzione garantisce il diritto per chi possiede/gestisce un teatro di decidere se ospitare o meno un evento.
Ogni cittadino italiano ha la possibilità di poter esprimere le proprie idee e il diritto a che nessuna autorità ne vieti la diffusione, ma nessuno ha il diritto di pretendere la diffusione delle proprie idee. Così funziona la democrazia.
Per sapere come funzionano le dittature e la censura, invece, possiamo avvalerci di un’importante testimonianza, quella di Margarita Simonyan, caporedattrice dell’Agenzia di stampa governativa russa Rossija Segodnja.Nel 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, Simonyan si produsse in un vero e proprio elogio della censura,
“Abbiamo avuto due periodi nella nostra storia di censura assente o limitata, dal 1905 al 1917, e ricordiamo come è finita, e durante la Perestroika e i successivi anni ‘90, e noi ricordiamo come è finita, con il collasso del paese” disse in un'intervista alla rete televisiva Rossiya-1. “Nessuna grande nazione può esistere senza controllo sull’informazione [...] ci hanno insegnato per decenni: no, no, no, la società deve essere libera, un’economia sviluppata non può esistere senza un sistema politico sviluppato o un sistema politico libero: tutto questo è una totale stronzata”.
L’autrice di queste liberalissime dichiarazioni è anche direttrice di RT (precedentemente conosciuta come Russia Today). In questo video di un paio di mesi fa la si può ammirare al fianco di Putin mentre festeggia i 20 anni della sua testata (e della disinformazione).
Particolare molto curioso, al minuto 18:36 le telecamere inquadrano lungamente la platea, e chi ti pescano assorto ad ascoltare? Il paladino della libera informazione, contrario a ogni forma di censura, Angelo D’Orsi. A proposito, il censurato Angelo D’Orsi è attualmente in tour in Italia con i suoi eventi sulla libertà chiamati D’Orsi & friends, durante i quali, siamo sicuri, non mancherà di sottolineare come e quanto operi la censura in Russia, né di ricordare le centinaia e centinaia di giornalisti uccisi in Russia dal regime di Vladimir Putin.
Proprio durante uno di questi eventi, svoltosi all’Università Federico II di Napoli il 22 dicembre, studenti e attivisti pro-Ucraina di +Europa, Ora!, Radicali, Liberi Oltre, Azione e della comunità ucraina hanno provato a chiedere conto a D’Orsi (per l’occasione il “friend” era Di Battista) della sua presenza all’evento di RT in Russia. Non è stato permesso loro di porre domande (qualcuno direbbe che sono stati censurati) ed è finita con un iscritto all’ANPI che ha provato a malmenare il presidente di +Europa e Radicali, Matteo Hallissey.
L’ultimissimo caso di pseudocensura è quello che riguarda la rivista Limes. Recentemente quattro membri del consiglio scientifico (Federigo Argentieri, Franz Gustincich, Giorgio Arfaras e il generale Camporini) hanno chiesto al direttore Lucio Caracciolo di essere rimossi da tale organismo, adducendo una motivazione tanto dura quanto inoppugnabile: non si riconoscono più nella linea editoriale, la rivista e il suo direttore sarebbero troppo filorussi e antieuropeisti.
Caracciolo ha commentato il miniesodo in un’intervista al Corriere della Sera dicendo, tra l’altro, che “siamo entrati in uno scenario di guerra e allora o ti metti l’elmetto o non hai diritto di discutere” e “io non ho mai censurato nessuno, ho pubblicato parecchi articoli filoucraini e non è colpa mia se gli articoli dei russi sono più pesanti, loro sono fatti così. Noi siamo una rivista di analisi geopolitica e per fare analisi devi ascoltare tutte le voci, il nostro motto è preso da Matteo “Ama il tuo nemico”, dobbiamo aiutare chi legge a capirci qualcosa in questo caos”.
Lo stile è meno piagnucolone rispetto a quelli di Orsini e D’Orsi, va detto, ma il concetto rimane lo stesso. Viene a mancare, secondo Caracciolo, il “diritto di discutere”.
Dalla galassia che si muove attorno ai nominati in questo articolo è partita, infatti, la narrazione di “Limes sotto attacco”.

L’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, attribuisce l’attacco al “mainstream”, versione anglofona dei “poteri forti” tanto cari ai 5 Stelle.
Come negli altri casi (e seguendo lo schema caro a Putin che abbiamo descritto all’inizio), l’esercizio di una libertà altrui viene descritta all’opinione pubblica come un caso di censura e limitazione della libertà di informazione.
La domanda da porsi è: Argentieri, Gustincich, Arfaras e Camporini hanno deciso o no liberamente di lasciare Limes? Se la risposta è sì, nessuna forma di censura può essere invocata. Anzi, in omaggio alla libertà di informazione ci sarebbe da rallegrarsi della decisione di quattro illustri commentatori di dissociarsi dalla linea editoriale di una rivista.
Se la risposta è no, viceversa, bisogna essere più precisi nella denuncia. Troppo facile invocare il clima ostile o i poteri forti (tra l’altro Caracciolo non è proprio un outsider).
Chi avrebbe indotto i quattro a dimettersi? Quale potere ha esercitato questa pressione? Sono stati ricattati forse?
Finché nulla di tutto questo viene precisato, dobbiamo constatare che in Italia (in Russia, come abbiamo visto sopra, è molto diverso), nessuno ha mai messo in discussione la libertà e il diritto di Limes di pubblicare o non pubblicare qualcosa. Non c'è nessun attacco, tutto è successo all’interno di Limes. Se ne sono andati collaboratori che Caracciolo (o chi per lui) aveva scelto e lo hanno fatto esprimendo liberamente le loro opinioni. Non c'è un provvedimento del Governo, una mozione parlamentare e nemmeno una petizione di quartiere che chieda la chiusura della rivista.
Tutti conoscono (perché hanno avuto modo di leggerla) la linea editoriale di Limes e in democrazia è tanto lecito che questa sia espressa liberamente, quanto che si manifesti sdegno e dissenso per quelle posizioni. Quindi basta vittimismo, anche se capisco la tentazione di cercare di passare per aggrediti. Si tratta di un'attività in cui la Russia è maestra.
Immagine in anteprima via la7.it




