Da Gaza a Kyiv la ‘pace’ di Trump è una questione di business
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Quando Putin e Trump si sono incontrati in Alaska ad agosto per discutere di un possibile cessate il fuoco in Ucraina, meeting che si è risolto in un nulla di fatto, il presidente degli Stati Uniti si diceva ottimista: affermava che era un buon segno il fatto che Putin aveva portato con sé investitori russi, in quanto dimostrava che Mosca aveva interesse nel chiudere accordi commerciali. Una dichiarazione che rivela come Trump intende la politica estera: un mondo di incontri bilaterali tra persone potenti, totalmente svuotati da qualsiasi tipo di ideologia, in cui si dibatte per ottenere accordi vantaggiosi. D’altronde, se si diventa più ricchi in una condizione di pace, non c’è bisogno di farsi la guerra.
È un assunto che compare spesso nei discorsi di Trump, che, nel parlare delle molteplici paci che dice di aver concluso in giro per il mondo, si sofferma sempre sul lato economico e sulle possibilità di business. In quello che è a oggi l’accordo più importante concluso dall’amministrazione Trump, il piano che ha portato al cessate il fuoco tra Israele e Hamas, è presente una parte legata allo sviluppo economico della Striscia di Gaza: più volte, Trump e persone a lui vicine hanno parlato di una terra con un enorme potenziale che non veniva sfruttato. In un reel fatto con l’Intelligenza artificiale a marzo, Gaza veniva disegnata come una città moderna, con alberghi di lusso e statue di Trump in oro massiccio, e veniva definita “la Riviera”. Il genero di Trump, Jared Kushner, consulente centrale nel primo mandato e oggi ritornato in auge proprio durante le discussioni per arrivare a un cessate il fuoco in Medio Oriente, nonostante non abbia alcun incarico ufficiale, già nel 2024 aveva affermato che a Gaza c’era un’enorme potenziale nella costruzione di proprietà davanti al mare, mentre i soldi venivano sprecati dall’amministrazione di Hamas per costruire tunnel utili ai terroristi.
Kushner, molto vicino al primo ministro israeliano Netanyahu, è anche proprietario di Affinity Partners, società d’investimento con sede a Miami fondata subito dopo la fine della prima presidenza Trump, di cui uno dei principali investitori è il fondo sovrano saudita. Durante il primo mandato, infatti, Kushner era stato centrale nella costruzione degli Accordi di Abramo, che avevano cercato di avvicinare Israele alle monarchie del Golfo tramite investimenti e normalizzazioni delle relazioni diplomatiche. Un accordo che l’Arabia Saudita non ha mai firmato, per via dello scoppio della guerra nel frattempo, che ha impedito a Riyadh la possibilità di normalizzare i rapporti con lo stato ebraico. La visione degli Accordi, per Kushner, aveva tanto a che vedere con la logica commerciale: un conflitto lungo e incancrenito come quello che riguardava Israele e il mondo arabo bloccava la possibilità di chiudere accordi economici vantaggiosi. Il ruolo di Kushner nel cessate il fuoco non può, secondo ciò che scrive Mohamad Bazzi sul Guardian, essere separato dagli Stati che finanziano il suo fondo d’investimento: su tutti, l’Arabia Saudita, ma anche Emirati Arabi Uniti e Qatar.
Proprio il Qatar, salito agli onori della cronaca nei mesi scorsi per aver donato un jet a Trump così che ne facesse il nuovo Air Force One, è stato centrale nella velocizzazione del percorso verso il cessate il fuoco. Quando Israele ha attaccato alcuni leader di Hamas in territorio qatarino, Trump ha rimproverato Netanyahu: il Qatar si è successivamente rivelato molto importante nel piano di pace, dato che ne è stato uno dei principali mediatori.
L’importanza del Qatar per gli Stati Uniti trumpiani arriva anche da una serie di investimenti: nel 2022, il paese del golfo ha finanziato la società immobiliare di Steve Witkoff, l’amico di Trump che è diventato inviato speciale per le missioni di pace, ritagliandosi un ruolo centrale sia in Medio Oriente che nel conflitto tra Russia e Ucraina, oltre agli investimenti in Affinity Partners già riportati. Il motivo per cui il Qatar negli anni avrebbe cercato di dare una linea di credito a persone vicine a Donald Trump, secondo il New York Times, sarebbe il tentativo di ottenere un rapporto di vicinanza con l’amministrazione. Una strategia che ha pagato dato che, non appena Israele ha provato ad allargare le sue operazioni militari all’interno del confine qatarino, la Casa Bianca si è subito dichiarata contraria, costringendo nei fatti Tel Aviv a restringere il campo delle operazioni.
Nonostante la situazione a Gaza sia ben lungi dall’essere stabile, dopo la firma in pompa magna del cessate il fuoco, Trump si è focalizzato sul conflitto russo-ucraino. Nelle ultime settimane è stato proposto un nuovo piano di pace, diviso in 28 punti, che ha scandalizzato gli alleati europei: richiedendo la cessione da parte dell’Ucraina di territori non ancora conquistati dalle forze russe, uno stretto limite agli uomini arruolabili e l’impossibilità per Kyiv di entrare nella NATO, il piano sembrava scritto sotto dettatura del governo russo, e in effetti si è scoperto che la bozza era stata redatta proprio a partire da un documento di Mosca. Dopo un incontro con i leader europei a Ginevra, il piano è stato rimodulato in una nuova versione, meno smaccatamente vicina alle posizioni di Mosca, e sono in corso dialoghi tra gli Stati Uniti e la Russia, che non stanno però avanzando. Mosca si finge propensa a continuare a incontrare gli Stati Uniti, ma non si vedono passi in avanti, dato che la Russia non vuole fare concessioni di alcun tipo, e sembra che anche questo tentativo si concluderà in un nulla di fatto.
In questi mesi, l’inviato speciale Steve Witkoff ha incontrato varie volte sia l’amministratore del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev sia lo stesso presidente Putin: in un incontro, addirittura, Witkoff si sarebbe presentato al Cremlino senza un interprete ufficiale, e avrebbe tenuto il meeting fidandosi di un traduttore fornitogli direttamente da Mosca. Gli incontri tra Witkoff e Dmitriev, che si svolgono per la maggior parte negli Stati Uniti, oltre a cercare un cessate il fuoco, sarebbero anche volti a costruire un mondo post-guerra fatto di accordi transazionali bilaterali tra i due paesi, scavalcando l’Unione Europea, odiata da entrambi gli attori.
Per la logica della Casa Banca, riuscire ad arrivare a un cessate il fuoco, qualsiasi sia la situazione sul terreno, ottenendo commesse e contratti milionari è qualcosa di positivo: se la Russia sta bene economicamente, anche grazie agli investimenti americani, la Russia smetterebbe di essere un pericolo. Una visione che non si discosta molto da ciò che Trump, allora soltanto un immobiliarista, diceva nel pieno della guerra fredda: aveva infatti proposto la costruzione di una Trump Tower vicino al Cremlino, in quanto il business era centrale nel porre fine ai conflitti.
La Russia, consapevole della visione statunitense, nei dialoghi che porta avanti con gli Stati Uniti propone possibilità di accordi allettanti: si è parlato di cooperazione nell’esplorazione energetica dell’Artico da portare avanti insieme a conflitto finito. E non solo: miliardari russi sarebbero già in contatto con imprenditori americani.
Secondo le ricostruzioni del Wall Street Journal, la società petrolifera americana Exxon si sarebbe incontrata con la russa Rosneft per discutere di un progetto legato al gas. Gentry Beach, proprietario di un fondo d’investimento e vicino al figlio del presidente Donald Jr. starebbe pensando di acquistare il 9,9% in un progetto di estrazione di gas naturale nell’Artico insieme alla compagnia russa Novotek: una partnership che, nelle parole dello stesso Beach, “beneficerebbe la leadership energetica americana e gli interessi americani nel mondo”. Un altro donatore della campagna Trump, Stephen P. Lynch, avrebbe pagato un lobbista vicino a Donald Jr. per cercare di ottenere dal Tesoro una licenza che gli permetterebbe di comprare il gasdotto North Stream 2 da un’azienda di stato russa. Tutti progetti che rispecchiano la visione dei colloqui tra Witkoff e Dmitriev: il russo ha detto al Wall Street Journal che, se si troverà una soluzione sulla questione ucraina, “la cooperazione economica con gli Stati Uniti può essere il fondamento della nostra relazione”.
Mentre i paesi europei continuano a farsi carico della difesa di Kyiv, gli Stati Uniti ragionano con la Russia di come sarà il mondo dopo il conflitto: come per Gaza, poco importa a Trump di chi sia la potenza che controlla il Donbas, un puntino sulla mappa molto lontano da Washington, l’unico interesse è che per gli Stati Uniti ci sia un vantaggio economico. È la logica dell’"Art of the Deal", in cui più si chiudono accordi vantaggiosi, più tutti guadagnano, più si evitano conflitti.
Una visione che, però, si scontra con un’invasione che poco si spiega con la logica del commercio: per Putin conquistare l’Ucraina è una mossa ideologica, che nega la statualità a un popolo che non ha mai riconosciuto come tale. Inoltre, tra i punti di pace controversi proposti da Mosca, e che gli Stati Uniti, senza l’intervento degli alleati europei, sarebbero stati pronti ad accettare in nome del business, si annida anche l’amnistia per tutti i crimini compiuti dalle forze russe da quando è iniziata l’invasione su larga scala il 24 febbraio del 2022: una richiesta irricevibile per l’Ucraina, che sta catalogando dall’inizio del conflitto i crimini di guerra russi. Secondo il Wall Street Journal, mentre i paesi europei si sono confrontati per discutere delle mosse di Trump, il premier polacco Donald Tusk, uno dei principali sostenitori nell’Unione della causa ucraina, avrebbe detto che “sappiamo che questo non ha nulla ha che vedere con la pace. Ha a che vedere col business”.







