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Vietare i visti russi verso l’Unione europea è una pessima idea

11 Agosto 2022 7 min lettura

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Vietare i visti russi verso l’Unione europea è una pessima idea

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I ministri degli Esteri dell'UE hanno concordato la sospensione dell'accordo sui visti per la Russia

Aggiornamento 2 settembre 2022: L'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell ha dichiarato che i ministri degli Esteri dell'UE hanno concordato la sospensione dell'accordo che aveva facilitato ad oggi l'emissione semplificata dei visti per i turisti provenienti dalla Russia. L'accordo sui visti è in vigore dal 2007.

"Questo ridurrà significativamente il numero di nuovi visti rilasciati dagli Stati membri dell'UE. Sarà più difficile, ci vorrà più tempo", ha dichiarato Borrell al termine di una riunione di due giorni dei ministri degli Esteri a Praga.

Secondo le linee guida della Commissione europea, questa decisione renderà il processo di rilascio dei visti più complicato, costoso e burocratico, oltre ad aumentare i tempi di attesa per l'approvazione. Studenti, giornalisti e persone che temono per la propria sicurezza in Russia potranno comunque ottenere il visto. La decisione non dovrebbe avere un impatto immediato sui circa 12 milioni di visti già rilasciati ai cittadini russi, anche se i funzionari dell'UE stanno valutando come poterli congelare.

La sospensione arriva dopo settimane di pressioni da parte dei paesi dell'UE confinanti con la Russia, come la Finlandia e l'Estonia.

Negli ultimi giorni ha tenuto banco la proposta, avanzata dalle autorità estoni, ripresa (con alcune differenze) dalla Finlandia e caldeggiata da Volodymyr Zelensky, di negare l’ingresso ai cittadini russi nell’Unione Europea e di sospendere il rilascio dei visti Schengen. Una mossa di cui si discute già da settimane: il 26 luglio il Ministero russo degli Esteri, con una dichiarazione di Ivan Volynkin, direttore del dipartimento consolare, aveva messo in evidenza la possibilità della cessazione del rilascio dei visti europei, denunciando gli appelli “russofobi” di alcuni esponenti politici e lo stop “di fatto” da parte dei consolati di Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Repubblica Ceca. Lo stesso giorno Dmitry Peskov, portavoce di Putin, aveva dichiarato che vi saranno reazioni da parte del Cremlino, e il 29 luglio la Commissione Europea, a una domanda del corrispondente del quotidiano Helsingin Sanomat, ha risposto che si escludeva ogni tipo di limitazione nei rilasci, sottolineando che le sanzioni e altre azioni della UE sono dirette contro la leadership e il business russi, e non colpiranno i cittadini russi. 

Proprio dalla Finlandia il 25 luglio era arrivata la presa di posizione dei principali partiti del parlamento di Helsinki per lo stop ai visti ai russi, sostenendo che fosse “assurdo” consentire ai turisti provenienti da Mosca e Pietroburgo di poter viaggiare come “se nulla fosse accaduto”. Per la Finlandia si tratta di una scelta netta, visti i programmi di accesso facilitato al visto per i cittadini russi residenti a San Pietroburgo e nelle regioni parte del distretto federale del Nord-ovest (regioni di Arcangelo, Vologda, Leningrado, Murmansk, Novgorod, Pskov e repubbliche di Carelia e di Komi), sospesi per l’emergenza coronavirus e ripresi dal 1 luglio di quest’anno. 

Si tratta di programmi che nel corso degli ultimi due decenni avevano contribuito a sviluppare legami e scambi soprattutto tra Helsinki e San Pietroburgo, con decine di micro-autobus e autobus, con code chilometriche ai valichi di confine nel fine settimana in ambo le direzioni. Dalla Finlandia si andava in Russia per passare il weekend divertendosi, approfittando dei prezzi ben più accessibili degli alcolici, mentre dal lato opposto si sceglievano i centri commerciali finlandesi per lo shopping. La sospensione per due anni è stata un’eccezione particolare che ha avuto delle ripercussioni sul turismo transfrontaliero e anche sul piccolo commercio.

Dal 15 al 17 luglio, dopo l’abolizione delle limitazioni nel transito via terra da parte di Mosca, hanno attraversato i confini con l’Estonia e con la Finlandia rispettivamente 8 e 10 mila cittadini russi. Le restrizioni erano state adottate nella primavera del 2020, con l’inizio dell’emergenza COVID-19, e l’uscita via terra dal paese era possibile solo ad alcune determinate categorie (familiari di cittadini dell’Unione Europea, persone bisognose di cure, studenti, lavoratori). 

Negli scorsi mesi, una delle poche vie lasciate agli oppositori russi della guerra e alle persone in fuga dall’Ucraina meridionale invasa è stata l’attraversamento del confine con l’Unione Europea a Narva, città estone che sorge di fronte alla russa Ivangorod. Per i cittadini ucraini, passare la frontiera dal lato russo significa dover sottostare a un lungo interrogatorio, dove oltre a domande di ogni tipo, sono setacciati gli smartphone e i tablet alla ricerca di un qualsiasi segno che ne indichi l’appartenenza a formazioni quali il battaglione Azov o Pravyj Sektor, o la condivisione di idee e posizioni considerate “russofobe”. 

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Particolare attenzione è riservata agli uomini. Spesso i controlli si traducono in ore di attesa per i passeggeri, che non sempre terminano con il rilascio dei “sospetti” in possesso del passaporto ucraino. Assieme agli ucraini, ora a passare la frontiera sono i russi in possesso di un visto Schengen. Fino al 15 luglio, per chi non aveva la possibilità di recarsi nell’Unione Europea, si offrivano pacchetti all inclusive da parte degli hotel e delle spa di Narva-Joesuu con tanto di visto estone. Queste offerte avevano già suscitato a suo tempo polemiche perché consentivano ai russi di ottenere una motivazione labile per un vero visto, che gli permette di visitare altri paesi. Ancora oggi i pacchetti sono attivi, anche se dal 4 agosto da parte delle autorità estoni arrivano dichiarazioni opposte. In particolare, c’è stata la richiesta all’UE di bloccare i visti, avanzata prima dal ministro degli Esteri estone Urmas Reinsalu in un incontro con Zelensky. 

Confermata in un’intervista telefonica a Bloomberg, la richiesta è stata poi seguita dalla notizia dello stop a ogni tipo di documento (tranne in caso di lutto) da parte delle rappresentanze consolari lettoni in Russia, il 5 agosto. Il 9 agosto la premier estone Kaja Kallas su Twitter ha ribadito la posizione di Reinsalu, sostenendo che l’accesso all’Europa è un privilegio, non un diritto umano, e sottolineando come sia un peso l’afflusso di russi via Estonia, Finlandia e Lettonia. A far eco alla Kallas è stato Zelensky in un’intervista al Washington Post, ritenendo la chiusura dei confini ai russi come la più importante delle sanzioni, per impedire l’annessione di ulteriori territori.

Le parole del presidente ucraino contraddicono quanto sostenuto qualche mese fa, quando il 23 marzo aveva invitato i russi a lasciare il paese e a non pagare le tasse per non finanziare la guerra di Putin. Il cambio nei toni, dovuto anche ai mesi di guerra, nel caso di Zelensky non deve sorprendere, ma a porre degli interrogativi importanti sono le posizioni espresse dai leader di alcuni paesi dell'UE, perché rischiano di rafforzare il Cremlino all’interno e di condannare migliaia di persone contro la guerra agli arresti e alle persecuzioni. 

Le rassicurazioni di Anita Hipper a nome della Commissione europea sull’impossibilità di bloccare i visti non sembrano convincenti, perché ogni paese ha diritto a concedere o meno il rilascio dei documenti, e in questi mesi, a causa delle espulsioni del personale diplomatico di varie rappresentanze europee (Italia compresa) da parte di Mosca, i tempi per ottenere un visto si sono allungati a dismisura. In un thread su Twitter, Anton Barbashin, direttore del media russo Riddle, ha spiegato cosa voglia dire un ban o una sospensione, implicando anche possibili deportazioni di cittadini contro la guerra in Russia, dove ad accoglierli vi sarà l’FSB. Posizione condivisa da Taras Bilous, attivista e storico ucraino al momento al fronte, che ha raccontato la storia di una ex militante ecologista tatara, cittadina russa, emigrata in Ucraina nel 2015 per sfuggire ai servizi di sicurezza e ora in Germania alle prese con i dinieghi delle autorità tedesche, e a rischio di espulsione dal paese.

Per chi lascia la Russia, oggi, un visto turistico rappresenta una concreta via di fuga, più o meno sicura. La possibilità adombrata dalla UE di rilasciare visti umanitari si scontra con le difficoltà burocratiche ancora oggi in campo persino per i ricongiungimenti familiari (e chi scrive ci è passato) e con eventuali fermi al controllo passaporti russo che rafforzerebbero e non diminuirebbero l’ondata repressiva oggi nel paese. 

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Al momento, persino per chi è riuscito ad arrivare dalla Russia in Europa ottenere un permesso di soggiorno spesso è una difficoltà insormontabile, e non esiste una policy comune sull’accoglienza dei cittadini russi in fuga dal regime. A permettere l’afflusso dei turisti russi, e quindi anche di persone probabilmente sostenitrici dell’aggressione all’Ucraina, sono anche le modalità di esternalizzazione adottate nel corso degli anni dalle rappresentanze consolari dei paesi della UE all’estero, con gli appalti dati ai centri visti, e le corsie preferenziali per le agenzie turistiche. 

Il blocco dei visti avrebbe inoltre pochi effetti sulla base di sostegno del putinismo in sé, perché il 69% dei russi non ha il passaporto per l’estero e non ha mai visitato nessun paese al di fuori della Russia. Le parole di Kaja Kallas, indirizzate contro i turisti russi, dovrebbero far riflettere a proposito del “privilegio di visitare l’Europa”, perché suonano inquietanti alla luce di altri, ben più consistenti, flussi che hanno interessato e interessano l’area del Mediterraneo, segnata dalla tragedia dei barconi e dei naufragi, e che dovrebbe interrogarci su cosa vuol dire l’Europa per noi.

Immagine in anteprima via europeansting.com

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