Servizio Pubblico: sarà vera rivoluzione?
3 min letturaVisto Santoro ieri. Letto cosa ne dicono giornali, siti, blog e social media oggi.
Il termine rivoluzione è quello più usato: Santoro e i suoi fan lo usano letteralmente, i detrattori ci mettono le virgolette, come a dire «molto rumore per nulla».
Non mi aspettavo da «Servizio pubblico» novità di contenuto, visto il lancio sul sito (vedi La nuova tv di Santoro sul web: dove sta la differenza?). D’altronde non ce n’erano state nemmeno in «Rai per una notte» (vedi Santoro: nuovo medium, vecchio messaggio).
Ma è sbagliato minimizzare l’evento. La novità di «Servizio pubblico» – come quella di «Rai per una notte» – è infatti il mezzo, non il messaggio, o meglio la molteplicità di canali e piattaforme attraverso cui la trasmissione è diffusa: decine di tv locali, radio, siti internet, più i social media che propagano e «viralizzano» la diretta. C’è stata addirittura la diretta via sms: Franco Bechis, vicedirettore di Libero, unico ospite diciamo «non di sinistra» della trasmissione, mentre era lì mandava sms che Libero pubblicava (vedi «Il ritorno di Santoro, diretta sms di Bechis»).
Sta dunque nel medium la rilevanza di «Servizio pubblico», non nel messaggio. Ma piaccia o non piaccia Santoro, se ne apprezzino o meno i contenuti, non si può fingere che l’esperimento non inciderà sul rapporto della vecchia televisione con i nuovi modi di fare informazione via internet.
Inciderà. E su questo ho una speranza e un timore.
Speranza: spero che la barcata di soldi e attenzioni che Santoro porta su internet serva a promuovere la cultura di rete in questo paese, che invece è, come sappiamo, indietro rispetto alla media europea e molto rispetto al nord Europa e agli Stati Uniti. Spero che serva a valorizzare l’idea di una rete libera, polifonica, sempre più ricca di contenuti e sempre più accessibile in tutti i sensi: economico, infrastrutturale, culturale.
Timore: temo che Santoro possa appesantire ulterioremente l’incidenza dei vecchi media su internet, che già in Italia è notevole. Già le testate giornalistiche tradizionali – più o meno camuffate di novità – si ritagliano la fetta maggiore di visite, consensi, attenzioni sui media tradizionali e introiti pubblicitari. Già i brand nazionali e multinazionali imperversano su Facebook (non dimentichiamo che ai primi posti nelle classifiche delle pagine con più «mi piace» stanno sempre cantanti, attori, marchi commerciali).
Ora che un brand della tv generalista sbarca su internet non è che, invece di rinnovarsi lui, appannerà di vecchiume la rete e i social media?
Anche perché è vero che – come diceva Marshall McLuhan – «il mezzo è il messaggio» e l’esperimento di Santoro lo sta dimostrando per l’ennesima volta. Ma è anche vero che, se non vogliamo banalizzare McLuhan come molti fanno, il messaggio non è solo il mezzo, casomai è anche il mezzo.
Detto in altri termini: se i contenuti del programma di Santoro continueranno a restare identici a quelli che andavano in Rai, cosa accadrà? L’attenzione verso «Servizio pubblico» andrà scemando perché la parte più innovativa e vitale della rete lo boccerà come stantio, o piuttosto comincerà a diffondersi anche in rete l’idea che, se vuoi fare una web tv, devi prendere pari pari il modello della televisione generalista? Devi imitarne a tutti i costi formati, stili e linguaggi?
Che ne sarà per esempio delle circa 600 micro web tv italiane censite da Altratv.tv? Oggi su queste microtelevisioni pullulano esperimenti interessanti – alcuni anche brillanti – per varietà e creatività. Pochi conoscono le micro web tv, perché certo non fanno gli ascolti di Santoro. Ma come usciranno dal confronto col panzer? Ne saranno rafforzate perché Santoro riuscirà a tessere alleanze con loro senza schiacciarle, anzi imparando da loro? Saranno assorbite? O rese ancora più irrilevanti e dunque di fatto cancellate?
Giovanna Cosenza - Dis.Amb.Iguando
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