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Perché la soluzione per sostenere l’Ucraina da parte della Commissione Europea è un’ottima notizia

21 Dicembre 2025 7 min lettura

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Perché la soluzione per sostenere l’Ucraina da parte della Commissione Europea è un’ottima notizia

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Per mesi si sono protratte le discussioni in Europa su come finanziare il sostegno all’Ucraina nella guerra contro la Russia. Durante il Consiglio Europeo del 19 dicembre, i leader dei paesi membri e la Commissione hanno deciso di ricorrere all’emissione di titoli di Stato europei per un valore complessivo di 90 miliardi di euro, destinati a Kyiv e garantiti dal margine del bilancio europeo. 

Una scelta che mira a garantire la tenuta economica dell’Ucraina, soprattutto alla luce delle recenti mosse dell’amministrazione Trump, ma che segna anche un passaggio politicamente rilevante: per la prima volta l’Unione Europea ricorre al debito comune per sostenere uno Stato terzo in guerra, rafforzando il proprio ruolo sullo scacchiere internazionale.

Dagli asset ai titoli di Stato: che cosa è successo al Consiglio 

Come avevamo spiegato più volte, l’idea originaria della Commissione von der Leyen, con il sostegno della Germania di Merz e dei paesi nordici, era quella di un prestito riparatore. Per garantire le risorse necessarie a Kyiv l’Unione Europea avrebbe fatto leva sugli asset sovrani russi detenuti dal Belgio, in particolare da Euroclear. Questa ipotesi si inseriva all’interno del programma di Von der Leyen di far pagare il costo dell’invasione alla Russia. 

Le resistenze da parte del Belgio e di altri paesi però si sono rivelate decisive. Il primo ministro conservatore belga Bart De Wever, nonostante i colloqui con la Commissione e altri alleati come il Regno Unito di Starmer, non ha ceduto sull’utilizzo dei fondi di Euroclear, ritenendo le garanzie fornite dall’Europa insufficienti in caso di ritorsioni da parte della Russia

Tuttavia, il Belgio non era l’unico paese a essere contrario all’utilizzo degli asset russi. A questi vanno aggiunti, ovviamente,  i vari paesi euroscettici e vicini a Putin: l'Ungheria di Orban, la Repubblica Ceca e la Slovacchia.  

Ma, come manifestato già durante il Consiglio dell’Unione Europea della settimana precedente, c’era anche un blocco di paesi prudenti. Italia, Bulgaria, Malta assieme al Belgio avevano allegato un documento in cui sostenevano che la decisione non portava necessariamente all’utilizzo degli asset, ma si sarebbe dovuto optare per una discussione più pragmatica. Anche la Banca Centrale Europea aveva avvertito dei rischi dell’utilizzo degli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina. Una tale mossa, infatti, avrebbe indebolito l’affidabilità dell’Unione Europea sui mercati finanziari, rischiando di far scaturire una fuga di investitori preoccupati da eventuali successivi interventi simili - si pensi a quello che potrebbe succedere con l’invasione di Taiwan da parte della Cina. 

Per trovare la quadra quindi la Commissione ha dovuto abbandonare il suo piano di utilizzare gli asset. Si è trovata, quindi, un’intesa sul reperire i fondi sui mercati grazie all’emissione di titoli europei. Per farlo, però, si è garantita una clausola che permette proprio ai paesi euroscettici di non partecipare. 

In questo modo, l’Europa raccoglierà 90 miliardi di euro che saranno utilizzati per un prestito a tasso zero a Kyiv. Solo quando - ma soprattutto se - la Russia risarcirà l’Ucraina per l’invasione questa sarà tenuta a risarcire il prestito. 

I vantaggi del debito comune (e i costi)

La soluzione a cui sono giunti i leader dei vari paesi e la Commissione europea, seppur non scevra da problematiche, è un’ottima notizia. L’emissione di debito comune rappresenta un passo importante per l’Europa e una garanzia per l’Ucraina fondamentale. 

Si tratta infatti di un primo passo verso un’Europa più unita anche dal punto di vista fiscale, che garantirebbe anche un reperimento delle risorse più conveniente. I titoli europei infatti sono considerati sicuri dagli investitori, pertanto hanno un tasso estremamente conveniente. I costi di finanziamento del debito sarebbero così inferiori rispetto a una situazione in cui sarebbero stati i singoli paesi a emettere titoli. 

Non solo: questa soluzione è preferibile a quella dell’utilizzo degli asset russi, almeno in questa fase. Il piano della commissione-sostenuto anche da Germania, paesi nordici e altri come la Polonia - presenta varie problematiche. Nonostante si sia spesso posto l’accento sul fondamento legale di una tale soluzione, vi erano dei problemi più urgenti. Infatti, anche imprese e banche europee detengono asset in Russia - in Italia su tutti vale la pena citare la banca Unicredit-permettendo quindi rappresaglie nei confronti dei paesi europei. 

Inoltre, uno degli aspetti più problematici di utilizzare oggi gli asset sovrani russi è rappresentato dal loro elevato potenziale negoziale. Qualora gli asset fossero stati utilizzati come prestito all’Ucraina, non sarebbero infatti più stati sul tavolo dei negoziati. Ciò avrebbe indebolito la posizione dell’Unione Europea. Per questo motivo la decisione più importante, riguardo gli asset russi, è stata presa proprio al Consiglio dell’Unione Europea la settimana scorsa, congelandoli a tempo indeterminato. In questo modo, la Russia dovrebbe sottostare a determinate condizioni affinché i paesi europei decidano di sospendere la misura. 

Nonostante si tratti di un accordo positivo, persiste però il problema dei costi. Per quanto, come detto prima, gli interessi saranno inferiori rispetto a quelli pagati da titoli dei singoli Stati, il prestito non sarà comunque privo di costi. Secondo le fonti, il costo sarà di 3 miliardi all’anno. La cifra non è stratosferica, ma lascia aperta la possibilità che venga utilizzata dai partiti populisti per scagliarsi contro l’Unione Europea. 

Coordinamento o frammentazione? 

C’è un aspetto che emerge con forza dal Consiglio Europeo che si presta a due interpretazioni. La frammentazione all’interno dell’Europa ha giocato, infatti, un ruolo fondamentale. Le resistenze dei paesi prudenti e di quelli filo-russi hanno reso impraticabile la via sostenuta da Commissione, Germania e Stati nordici. 

Questo si può prestare a due interpretazioni. La prima, come sottolinea Politico, è che all’interno del Consiglio Europeo ci sono vincitori e vinti. Il blocco formato dal Belgio e dall’Italia può portare a casa una vittoria, in particolare Meloni. Per settimane è stato infatti De Wever a mettersi di traverso rispetto all’utilizzo degli asset russi. Non è da escludere però una soluzione concordata, su questo fronte: De Wever appartiene infatti allo stesso gruppo europeo di Fratelli d’Italia. Secondo le ricostruzioni di Politico, la Presidente del Consiglio si è tenuta nell’ombra in queste settimane, ha mantenuto un profilo basso anche durante la prima parte del summit arrivando poi a concludere l’accordo quando l’utilizzo degli asset russi aveva perso ormai slancio. Questo avrebbe messo all’angolo la Commissione e la Germania di Merz e il loro piano per l’utilizzo degli asset russi. 

Dall’altra però, come suggerito anche da Alberto Alemanno, Jean Monnet professor di diritto europeo all’HEC di Parigi, la decisione segnala anche la capacità dell’Europa di agire in maniera unitaria riuscendo a colmare le differenze e gli interessi dei singoli Stati dell’Unione.

Su questo fronte è necessario sottolineare l’importanza della gestione del Consiglio da parte del Presidente António Costa. La sua determinazione nel raggiungere un accordo all’unanimità, pur con le clausole già discusse, in un solo giorno di consiglio invece che protrarsi per tutto il weekend, è fondamentale. A differenza della commissione, Costa in queste settimane ha avuto un atteggiamento più pragmatico, senza sposare una soluzione per il finanziamento all’Ucraina. Questa celerità nelle decisioni del Consiglio rappresenta un segnale importante di coordinamento in seno all’Europa e di prontezza nel prendere decisioni di importanza fondamentale.  

Tuttavia, il ruolo dei paesi più euroscettici e la clausola che li esenta dal finanziamento all’Ucraina fornisce un quadro più sfumato. Per quanto una parte di paesi riesca a coordinarsi e giungere a una soluzione condivisa in tempi rapidi, questo può avvenire solo grazie al lasciapassare dei paesi euroscettici che vengono esentati. Soprattutto in ottica futura, visti i sondaggi che danno in vantaggio i partiti euroscettici in vari paesi europei, questo rappresenta un aspetto di cui si deve tenere conto. Una forte componente euroscettica al Consiglio europeo metterebbe in stallo i progressi fatti in questi anni per una maggior efficacia dell’Europa nel rispondere alle crisi - non solo quella Ucraina, ma anche quella indotta dalla diffusione del Covid. 

Un passo in avanti, ma con cautela per il futuro

Nel complesso, la decisione del Consiglio Europeo segna un avanzamento concreto nella capacità dell’Unione di agire come attore politico e finanziario in un contesto di crisi. Il ricorso al debito comune per sostenere l’Ucraina non risponde soltanto a un’esigenza immediata, ma contribuisce a rafforzare la credibilità dell’Europa sui mercati e il suo ruolo nello scenario internazionale, soprattutto in una fase di crescente sfiducia da parte dell’alleato storico, gli Stati Uniti. 

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La rapidità con cui è stato raggiunto l’accordo e la scelta di strumenti finanziari condivisi indicano una maggiore consapevolezza della necessità di risposte coordinate a sfide sistemiche. Infatti, come riporta Il Sole 24 Ore citando un funzionario europeo, non si tratta di certo della prima volta che l’Unione Europea emette debito comune. A differenza però di quanto avvenuto durante la pandemia, l’accordo su questo strumento è stato ottenuto nel giro di qualche ora, non di giorni di negoziati. 

Allo stesso tempo, la presenza di clausole di esenzione e il peso dei veti politici ricordano come questi progressi restino ancora legati a equilibri fragili. È proprio su questo terreno che si giocherà la portata di questa decisione: se resterà un intervento emergenziale oppure se rappresenterà l’inizio di una traiettoria più stabile verso un’Unione capace di sostenere, anche finanziariamente, le proprie scelte politiche.

 

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