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Il piano di Trump per Gaza: un tentativo di impresa coloniale nel XXI secolo

1 Ottobre 2025 14 min lettura

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Il piano di Trump per Gaza: un tentativo di impresa coloniale nel XXI secolo

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L'accordo tra Israele e Hamas sulla prima parte del piano di pace di Trump

Aggiornamento 9 ottobre 2025: Come annunciato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per avviare la prima fase del piano di pace, sospendere i combattimenti e garantire il rilascio degli ostaggi e dei prigionieri. In base all'accordo, Hamas dovrebbe rilasciare nei prossimi giorni 20 ostaggi sopravvissuti in cambio dei detenuti palestinesi, mentre le forze israeliane inizieranno a ritirarsi dalla maggior parte di Gaza.

Khalil al-Hayya, alto funzionario di Hamas, ha dichiarato che il gruppo “ha ricevuto garanzie dai mediatori e dall'amministrazione americana, e tutti hanno confermato che la guerra è completamente finita. L'accordo prevede l'ingresso degli aiuti, l'apertura del valico di Rafah e lo scambio di prigionieri”. Il governo israeliano ha annunciato l’approvazione del quadro per il rilascio di tutti gli ostaggi.

La notizia ha scatenato i festeggiamenti tra i palestinesi a Gaza e tra gli israeliani, anche se in molti ricordano ancora che i precedenti cessate il fuoco sono durati poche settimane. A Tel Aviv, le famiglie hanno abbracciato gli ostaggi precedentemente rilasciati mentre la piazza continuava a riempirsi di israeliani. I palestinesi a Gaza hanno reagito alla notizia con un misto di gioia, incredulità e timore che la tregua possa essere temporanea e che Gaza possa trasformarsi in un luogo di caos governato da bande e milizie. 

L'esperto di Medio Oriente e sicurezza HA Hellyer, senior fellow presso il Royal United Services Institute, ha dichiarato ad Al Jazeera che il cessate il fuoco è stato raggiunto grazie alla pressione esercitata dagli Stati Uniti su Israele e da parte tutti i paesi amici e dalla popolazione palestinese su Hamas. 

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha invitato tutte le parti a “rispettare pienamente” i termini del piano di Trump anche se l’accordo resta fragile. Molti dei dettagli sono ancora poco chiari. Se è vero che i negoziatori hanno colmato le divergenze tra Hamas e Israele sulla prima fase, non è chiaro se le parti abbiano compiuto progressi su questioni più spinose, come il disarmo di Hamas, richiesto da Netanyahu, e l'eventuale governance di Gaza.

Alcuni mediatori arabi impegnati nei negoziati hanno dichiarato al New York Times in condizione di anonimato che Hamas potrebbe accettare di consegnare alcune delle sue armi, a condizione che il presidente Trump garantisca che Israele non riprenderà i combattimenti. Izzat al-Rishq, direttore dell'ufficio stampa di Hamas con sede in Qatar, ha rifiutato di commentare in risposta a domande dettagliate su questo aspetto delle trattative.

I leader arabi hanno chiesto garanzie che la forza di stabilizzazione internazionale che alla fine entrerà a Gaza abbia un mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU e che ci sia un piano chiaro per trattare Gaza e la Cisgiordania come un'unica entità politica.

L’accordo raggiunto non è quello che il governo di Netanyahu avrebbe accettato di sua spontanea volontà. Eppure, si tratta della vittoria più vicina a una vittoria assoluta per Israele che si potesse immaginare negli ultimi due anni, osserva un editoriale di Vox. “Se l'accordo effettivamente attuato sarà simile a quello annunciato da Trump all'inizio del mese, Israele manterrà una presenza militare a Gaza e la capacità di lanciare periodicamente attacchi contro i militanti presenti sul territorio. Hamas non controllerà Gaza né, per il prossimo futuro, lo farà l'Autorità Palestinese. È molto probabile che saranno attori esterni, e non Israele, a dover pagare per la ricostruzione di Gaza”. 

Tuttavia, gli ultimi due anni lasciano anche una Israele più isolata politicamente. Come scrive Yaroslav Trofimov del Wall Street Journal, sempre più spesso “la solidarietà con la causa palestinese e l'ostilità verso il sionismo sono diventate i tratti distintivi politici di una nuova generazione”. La portata completa delle conseguenze per Israele potrebbe non essere evidente per anni. Inoltre, “indipendentemente dal destino finale di Hamas, è difficile immaginare che molti abitanti di Gaza abbiano un atteggiamento più positivo nei confronti di Israele alla fine di questa guerra rispetto all'inizio”. 

Gaza potrebbe forse essere vista come la prima guerra di controinsurrezione dell'era post “ordine internazionale liberale”, in cui le istituzioni globali sono più deboli e le norme relative alle leggi di guerra, alla democrazia e ai diritti umani stanno svanendo, conclude Trofimov.

 

Hamas accetta il piano di Trump ma chiede ulteriori negoziazioni su alcune questioni

Aggiornamento 4 ottobre 2025: Hamas ha risposto al piano di 20 punti per la pace e la ricostruzione di Gaza, proposto da Trump. Il presidente statunitense aveva dato un ultimatum di tre o quattro giorni preannunciando gravi conseguenze in caso di rifiuto. Il piano prevede il disarmo di Hamas, il rilascio degli ostaggi israeliani, la fine graduale degli attacchi, l’ingresso di aiuti umanitari e la ricostruzione. Gaza sarebbe governata da un’autorità transitoria di tecnocrati, supervisionata da un “Consiglio di pace” internazionale guidato dallo stesso Trump.

Hamas ha affermato di accettare il piano, di essere pronto a rilasciare a tutti gli ostaggi e a cedere l'amministrazione di Gaza a un organo palestinese di “tecnocrati”, ma chiede di poter negoziare alcune questioni.

Poco dopo la comunicazione di Hamas, Trump ha chiesto a Israele di “interrompere immediatamente i bombardamenti su Gaza”, aggiungendo che Hamas era “pronto per una pace duratura”. “Vedremo come andrà a finire”, ha detto Trump: “È molto importante, non vedo l'ora che gli ostaggi tornino a casa dai loro genitori”. Il Forum delle famiglie degli ostaggi ha chiesto “al primo ministro Netanyahu di avviare immediatamente negoziati efficaci e rapidi per riportare a casa tutti”.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha affermato che Israele si preparerà ad attuare la “prima fase” del piano di Trump per il rilascio degli ostaggi e si è impegnato a lavorare “in piena collaborazione con il presidente e il suo team per porre fine alla guerra”.

Il piano statunitense prevedeva che, una volta che Israele avesse accettato pubblicamente l'accordo, si sarebbe aperto un periodo di 72 ore per il ritorno di tutti gli ostaggi.

Andando nel dettaglio, Hamas ha dichiarato che rilascerà gli ostaggi “secondo la formula di scambio contenuta nella proposta del presidente Trump e una volta soddisfatte le condizioni sul campo per lo scambio”, senza però specificare quali sono queste condizioni. 

Per quanto riguarda il futuro di Gaza, il gruppo accetta “di cedere l'amministrazione della Striscia di Gaza a un organo palestinese composto da tecnocrati indipendenti, sulla base del consenso nazionale palestinese e del sostegno arabo e islamico”. Non è chiaro se Hamas veda un posto per sé o per i suoi membri all'interno di tale organo di tecnocrati.

La dichiarazione chiarisce che Hamas vuole svolgere un ruolo nella discussione sul futuro del popolo palestinese. Hamas vuole un dibattito tra i palestinesi sulle questioni “relative al futuro della Striscia di Gaza e ai diritti intrinseci del popolo palestinese”. Ha inoltre affermato che “Hamas prenderà parte” a tale discussione e “contribuirà in modo responsabile” alla stessa.

Non ci sono riferimenti, infine, sul disarmo del gruppo e sulla proposta di amnistia per i membri che si impegnano a coesistere.

I leader mondiali hanno accolto con favore la dichiarazione di Hamas che – ha commentato a BBC Oliver McTernan, che che da oltre vent'anni si occupa di risoluzione dei conflitti in Medio Oriente – “ha rimesso la palla nel campo di Trump e di Netanyahu, chiedendo loro di decidere se accettare la richiesta di Hamas di ulteriori negoziati su alcuni aspetti del piano di pace”.

L’immediata risposta di Trump sembra aumentare, a sua volta, la pressione su Israele, già alta dopo l'attacco israeliano del 9 settembre contro i rappresentanti di Hamas in Qatar che aveva spinto il presidente statunitense a premere su Netanyahu affinché sostenesse un accordo quadro per porre fine alla attacchi su Gaza. Come rivelato da Axios,  Trump ha firmato lunedì scorso un ordine esecutivo per fornire al Qatar una garanzia di sicurezza degli USA con condizioni simili a quelle dell'articolo 5 della NATO. È stato uno degli elementi chiave che hanno portato all’appoggio di Israele al piano di Trump.

Dopo la dichiarazione di Trump, un giornalista della stazione radio militare ufficiale israeliana Galatz ha riferito che l'IDF avrebbe ridotto al minimo l'attività delle truppe a Gaza. Tuttavia, diverse esplosioni sono state udite nelle prime ore di sabato. Gli attacchi continuano. 

Mentre a Gaza proseguono gli attacchi Israeliani e le uccisioni di civili – almeno 33 palestinesi nella sola giornata di ieri, riferiscono gli ospedali gazawi – Trump ha dato ad Hamas un ultimatum di “tre o quattro giorni” per rispondere al suo piano di pace e ricostruzione nella Striscia, preannunciando gravi conseguenze in caso di rifiuto. “Abbiamo bisogno di una sola firma, e chi non firmerà la pagherà cara”, ha detto Trump ai generali e agli ammiragli statunitensi riuniti in una base militare a Quantico, in Virginia. Il presidente ha già affermato che sosterrà Israele nel proseguimento degli attacchi su Gaza se Hamas rifiuterà la proposta o rinnegherà l'accordo in qualsiasi momento.

La proposta di cui si parla è quella annunciata da Trump il 29 settembre in una conferenza stampa congiunta a Washington con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Trump lo ha presentato come un accordo storico per portare la pace dopo due anni di violenze catastrofiche ma, scrivono sul New York Times Luke Broadwater e Shawn McCreesh, è parso più un ultimatum ad Hamas.

Il piano di 20 punti prevede il disarmo di Hamas e l’esclusione da ruolo politico futuro a Gaza, che sarebbe gestita da un’autorità di transizione composta da tecnocrati apolitici guidata da Trump. Nel caso in cui il piano venisse accettato da entrambe le parti, la fine degli attacchi sarà accompagnata dal rilascio di tutti i 48 ostaggi israeliani, sia vivi (circa le metà) che morti, “entro 72 ore”, e dal ritiro graduale delle forze militari israeliane in una zona cuscinetto concordata, all’interno di Gaza. 

In cambio del rilascio degli ostaggi, Israele rilascerà 250 palestinesi attualmente condannati all'ergastolo e 1.700 palestinesi detenuti a Gaza dal 7 ottobre 2023, dopo l’attacco terroristico di di Hamas contro Israele. Per ogni ostaggio israeliano i cui resti saranno restituiti, Israele restituirà i resti di 15 palestinesi deceduti. Durante il periodo di rilascio degli ostaggi saranno sospese tutte le operazioni militari, compresi i bombardamenti aerei e di artiglieria. 

Una volta rilasciati tutti gli ostaggi, sarà concessa l'amnistia ai membri di Hamas che accetteranno la coesistenza pacifica e la consegna delle armi. A coloro che desiderano lasciare Gaza sarà garantito un passaggio sicuro verso i paesi che hanno accettato di accoglierli.

Per quanto riguarda gli aiuti umanitari, “l'ingresso avverrà senza interferenze da parte delle due parti attraverso le Nazioni Unite e le sue agenzie, la Mezzaluna Rossa e altre istituzioni internazionali non associate in alcun modo a nessuna delle due parti”. Il ripristino degli aiuti comporterà la riapertura del valico di frontiera nella città meridionale di Rafah, in gran parte rasa al suolo da Israele.

E la Gaza futura? Il piano parla di “una zona deradicalizzata e libera dal terrorismo che non rappresenti una minaccia per i paesi vicini”. In un altro punto, si dice che il territorio sarà “riqualificato a beneficio della popolazione di Gaza, che ha sofferto già abbastanza”.

Il piano promette che Israele non occuperà né annetterà il territorio e che nessuno sarà costretto a lasciare Gaza. Coloro che desiderano andarsene potranno farlo liberamente e potranno tornare.

Come detto, Hamas non potrà svolgere alcun ruolo, “direttamente o indirettamente”, nella futura governance del territorio. Il governo di Gaza passerebbe a un organo transitorio, definito “comitato palestinese tecnocratico e apolitico”, che a sua volta sarebbe controllato e supervisionato da un “Consiglio di pace” internazionale, guidato da Donald Trump. Il consiglio includerebbe altri capi di Stato e funzionari internazionali, tra cui l'ex primo ministro britannico Tony Blair. 

Questo organismo lavorerebbe per definire il quadro dei finanziamenti per la ricostruzione di Gaza, mentre l'Autorità palestinese, l'entità politica nominalmente responsabile degli affari palestinesi in Cisgiordania, dovrebbe intraprendere un processo di riforme.

Verrà convocato un gruppo di esperti per creare quello che il piano definisce un “piano di sviluppo economico di Trump per ricostruire e rilanciare” il territorio, che il presidente degli Stati Uniti aveva precedentemente immaginato di trasformare in una “riviera” con una serie di megalopoli high-tech.

Lo scenario di uno Stato palestinese resta una vaga possibilità. Alla fine del piano si parla dell’istituzione di un “processo di dialogo interreligioso” per promuovere “i valori della tolleranza e della coesistenza pacifica” e si dice che “con il progredire della ricostruzione di Gaza e l'attuazione fedele del programma di riforme dell'Autorità Palestinese, potrebbero finalmente crearsi le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese, che riconosciamo come aspirazione del popolo palestinese”.

Il piano è stato accolto con favore dalla comunità internazionale. Sostegno è arrivato dal cancelliere tedesco Merz, dal presidente francese Macron, dalla Russia e anche da Pakistan, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui affermano di essere pronti a collaborare in modo costruttivo con gli Stati Uniti e altri paesi per garantire la pace. L'Autorità palestinese, che esercita un'autorità parziale su alcune parti della Cisgiordania occupata da Israele, ma che potrebbe eventualmente assumere un qualche ruolo nel governo postbellico di Gaza, ha accolto con favore gli “sforzi sinceri e determinati” di Trump.

E i diretti interessati? “Nessuno ci ha contattato, né abbiamo partecipato ai negoziati”, ha dichiarato Taher al-Nounou, un alto funzionario di Hamas, in un'intervista televisiva. Secondo quanto dichiarato da una fonte di Hamas all’Agence France-Presse, il gruppo ha “avviato una serie di consultazioni all'interno della sua leadership politica e militare, sia in Palestina che all'estero”, che “richiederanno diversi giorni a causa della complessità delle comunicazioni tra i membri della leadership e i movimenti”. Turchia, Egitto e Qatar potrebbero esercitare pressioni su Hamas, hanno affermato gli analisti. Un funzionario qatariota ha dichiarato che il Qatar incontrerà Hamas e la Turchia per discutere il piano.

Secondo quanto riportato dai media locali, le fazioni palestinesi alleate con Hamas sembrano aver inizialmente respinto il piano, mentre una fonte vicina ad Hamas ha definito i venti punti presentati da Trump “completamente sbilanciati a favore di Israele” con “condizioni impossibili” che hanno l’obiettivo di eliminare il gruppo. “In questo modo, Israele sta tentando, attraverso gli Stati Uniti, di imporre ciò che non è riuscito a ottenere con la guerra”, ha dichiarato la Jihad islamica.

In Israele, molti commentatori hanno accolto con favore la proposta. Tuttavia, i ministri di estrema destra hanno promesso di lasciare la coalizione di governo se Netanyahu interromperà l'offensiva israeliana a Gaza senza ottenere la “vittoria totale” o assicurarsi il territorio per gli insediamenti israeliani. Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze israeliano, ha affermato che il piano è un “clamoroso fallimento diplomatico” che “finirà in lacrime”.

Intanto, in una dichiarazione video pubblicata sul suo canale Telegram dopo la conferenza stampa congiunta con Trump, Netanyahu ha già fatto sapere che l'esercito israeliano rimarrà nella maggior parte di Gaza e che non è disponibile ad accettare la creazione di uno Stato palestinese. “Recupereremo tutti i nostri ostaggi, vivi e in buona salute, mentre l'esercito israeliano rimarrà nella maggior parte della Striscia di Gaza”, ha affermato.

Il piano funzionerà? Nel manifestare il proprio sostegno, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato che è compatibile con il piano per la Palestina definito nella dichiarazione di New York approvata questa settimana dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. In effetti, ci sono alcuni aspetti in comune che potrebbero far pensare a una convergenza: nessuno dei due piani prevede lo sfollamento di massa dei palestinesi da Gaza, assegna ad Hamas un ruolo nel futuro governo della Palestina e ulteriori annessioni israeliane in Cisgiordania. 

Ma poi iniziano le differenze, evidenzia Patrick Wintour sul Guardian. La dichiarazione di New York, approvata dall’ONU, propone un'amministrazione tecnocratica per un solo anno nella fase iniziale di transizione, ma poi pone l'Autorità Palestinese al centro di un nuovo governo unificato che copre Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. I paletti posti dal piano di Trump per arrivare a un nuovo governo sembrano invece circoscrivere e marginalizzare il ruolo dell’Autorità Palestinese. Inoltre, nessuno può dire quale tipo di leadership politica palestinese potrebbe emergere dopo due anni di attacchi su Gaza e di assalti in Cisgiordania. Per questo Trump è favorevole a un organismo tecnocratico di transizione che consulti l'Autorità Palestinese.

Altro punto di divergenza è la gestione degli aiuti umanitari. La dichiarazione di New York assegna un ruolo centrale all'agenzia di soccorso delle Nazioni Unite, l'UNRWA, la stessa agenzia accusata da Israele senza prove di terrorismo. C’è chi dice che Trump possa assegnare all’Autorità Palestinese il ruolo dell'UNRWA, ma dall'ottobre 2023 Israele sta esercitando pressioni finanziarie sull'Autorità Palestinese trattenendo le entrate fiscali che le spettano. “Come potrebbe Trump sostenere il ruolo di un'organizzazione che Israele sta cercando di mandare in bancarotta? La risposta è la riforma dell'Autorità Palestinese, un'espressione che risuona nelle sale diplomatiche da oltre 20 anni, ma che non è mai stata realizzata”, scrive Wintour.

Le incognite sono così tante che il piano è lungi dal poter avere successo, osserva il diplomatico statunitense Michael Ratney su Haaretz. Due aree sono particolarmente problematiche, scrive Ratney: il ritiro militare di Israele e il percorso verso uno Stato palestinese.

Il ritiro militare israeliano da Gaza sarà “basato su standard, tappe fondamentali e tempistiche legate alla smilitarizzazione che saranno concordati tra l'IDF” e la Forza di stabilizzazione internazionale creata per Gaza, nonché gli altri garanti del piano e gli Stati Uniti. Ciò lascia essenzialmente qualsiasi ritiro dalla Striscia quasi interamente a discrezione di Israele. Secondo Netanyahu, ciò significa che, per quanto riguarda Gaza, “Israele manterrà la responsabilità della sicurezza, compreso un perimetro di sicurezza per il prossimo futuro”. 

Per quanto riguarda la statualità palestinese, il piano afferma che “mentre la ricostruzione di Gaza avanza e quando il programma di riforma dell'Autorità Palestinese sarà fedelmente attuato, potrebbero finalmente esserci le condizioni per un percorso credibile verso l'autodeterminazione e la statualità palestinese”. Quindi, anche se l'Autorità Palestinese attuerà le riforme, la statualità non è garantita. “Alle orecchie della maggior parte dei palestinesi, questo suona molto simile a ‘mai’, riflette Ratney.

La riuscita del piano, infine, è particolarmente problematica perché chiede di fatto ad Hamas di smettere di essere Hamas e di impegnarsi al disarmo come condizione preliminare, prima ancora che siano attuate le altre misure (e nonostante il fatto che, secondo centinaia di ex funzionari della sicurezza israeliani, la capacità militare di Hamas sia stata ridotta al punto da non rappresentare più una minaccia strategica per Israele già da molti mesi).

Perplessità raccolte anche da Jason Burke sul Guardian. È improbabile che Hamas guardi con favore a un piano che afferma esplicitamente che deve rinunciare a tutte o alla maggior parte delle sue armi e stare a guardare mentre un “Consiglio di pace” tecnocratico guidato dallo stesso Trump prende il controllo di Gaza. E “anche il collegamento tra il ritiro israeliano e il ritmo e la portata del disarmo e della smilitarizzazione è vantaggioso per Israele”, osserva Burke. “Tutti i territori ceduti sono stati rasi al suolo dall’offensiva incessante di Israele. Un ritiro lento costa poco. Israele potrebbe alla fine ritirarsi in un perimetro, ma non è chiaro quanto tempo ci vorrà. Le mappe pubblicate sono vaghe. Tutto questo è molto lontano dalle richieste di Hamas nei recenti negoziati. Né c'è stata alcuna promessa di qualcosa che si avvicini a uno Stato palestinese”.

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Più netto è il commentatore americano M.J. Rosenberg. Il piano di Trump è il primo tentativo di impresa coloniale di XXI secolo, scrive Rosengberg. “Non offre nulla ai palestinesi, nulla alla pace e tutto ai due gruppi che dovrebbe servire: la leadership israeliana e gli investitori miliardari (...) Israele può dire di aver ‘vinto’ fingendo di aver sradicato Hamas, anche se mesi di bombardamenti non sono riusciti a sconfiggere una forza di guerriglia. Il capitale straniero ottiene l'accesso alle migliori terre del Mediterraneo, liberate dai loro abitanti grazie all'assedio e agli attacchi aerei”.

Ecco perché questo piano è peggio che inutile, conclude Rosenberg. “Non fa avanzare di un millimetro la pace. Non riconosce i diritti dei palestinesi né la loro sovranità. Non garantisce nemmeno la sopravvivenza, figuriamoci la dignità, dei gazawi. È un piano per riciclare la sconfitta di Israele in una ‘vittoria’ di pubbliche relazioni e consegnare la terra palestinese a imprenditori miliardari.

Immagine in anteprima: frame video YouTube via BBC

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