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OnlyFans sospende il ban al porno, ma la vita di chi fa sex work sulle piattaforme rimane appesa a un filo

27 Agosto 2021 6 min lettura

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OnlyFans sospende il ban al porno, ma la vita di chi fa sex work sulle piattaforme rimane appesa a un filo

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di Roberta Cavaglià

Dopo aver annunciato venerdì scorso la sua decisione di bandire i contenuti sessualmente espliciti dal sito, OnlyFans è tornato sui suoi passi in seguito all'ondata di indignazione da parte della comunità dei sex worker attivi sulla piattaforma. "Come prima reazione ho provato rabbia, più di quanto io stessa mi sarei aspettata. Poi ovviamente è arrivata l'ansia: hanno dato la notizia prima ai giornali che a noi, non c’era nulla di chiaro e sui social tutti dicevano il contrario di tutto”, aveva raccontato dopo l'annuncio della scorsa settimana, Elettra Arazatah, sex worker e content creator. 

Nel comunicato ufficiale, la compagnia inglese aveva spiegato di voler cambiare le sue linee guida per "assicurare la sostenibilità della piattaforma sul lungo periodo e continuare a ospitare una community inclusiva di creator e fan", per poi precisare qualche linea dopo il vero motivo della decisione: "Rispondere alle richieste dei nostri partner bancari e fornitori di servizi di pagamento".

Ventiquattr'ore dopo l’annuncio, era arrivata la conferma via mail: sì alla nudità se non "estrema o offensiva", ma addio a foto e video porno. E poi un tweet di scuse: "Cari sex workers, la comunità di OnlyFans oggi non sarebbe la stessa senza di voi". con tanto di hashtag #SexWorkIsWork. 

Due giorni fa il colpo di scena con un'ultima dichiarazione che rimescola ancora una volta le carte in tavola: le linee guida, che soli pochi giorni fa avrebbero dovuto subire un drastico ripensamento per "rispondere alle richieste dei nostri partner bancari e fornitori di servizi di pagamento", rimarranno invariate e il ban ai contenuti espliciti è ufficialmente sospeso.

"I nostri partner finanziari ci hanno assicurato che OnlyFans può sostenere qualsiasi tipo di creator", spiega la compagnia nell'ultima mail agli iscritti. Sono quelle stesse istituzioni su cui Tim Stokely, fondatore di OnlyFans, solo fino a poche ore prima puntava il dito sulle pagine del Financial Times, accusando in particolare Metro Bank, Bank of New York Mellon e JP Morgan Chase di rifiutare pagamenti e chiudere senza preavviso gli account dei sex worker.

"Non escludo a priori che non si tenterà qualche mediazione tra le parti. Siamo di fronte a una forte frammentazione e incertezza", aveva commentato dopo il primo annuncio Valentine aka Fluida Wolf, autrice di “Postporno” (Eris Edizioni, 2020), attivista e performer postporno, quasi presagendo gli ultimi sviluppi. Un clima di incertezza legato alla consapevolezza condivisa che OnlyFans non sarebbe quello che è oggi senza i milioni di sex worker che hanno contribuito al suo enorme successo in tutto il mondo. 

Nato nel 2016 e cresciuto a ritmo regolare fino all'inizio del 2020, il sito ha visto i suoi numeri aumentare vertiginosamente durante la pandemia, quando milioni di persone si sono trovate senza lavoro e costrette a reinventarsi. Nella primavera del 2020, la piattaforma veniva usata da 30 milioni utenti e 450mila creator, mentre oggi raggiunge più di 130 milioni di utenti e ospita i profili di più di 2 milioni di creator dal mondo della musica, dello sport, della cucina e di tanti altri settori. Tra questi, anche moltissimi lavoratori e lavoratrici del sesso che hanno trovato in OnlyFans una vera e propria ancora di salvezza. "Dal momento che tutta una serie di 'luoghi del lavoro sessuale' non erano più accessibili a causa delle restrizioni legate al covid, chi ha potuto ha intrapreso la via dello smart working anche in questo campo", spiega Valentine.

Per chi è dentro al mondo del lavoro sessuale, i cambiamenti improvvisi alle linee guida delle piattaforme non sono una novità. I primi episodi risalgono al 2018, quando durante la presidenza Trump furono approvate il FOSTA (Fight Online Sex Trafficking Act) al Congresso e il SESTA (Stop Enabling Sex Traffickers Act) al Senato: due leggi contro il traffico di esseri umani che contengono un precedente importante. Da quel momento infatti, i siti Internet diventano legalmente responsabili della pubblicazione da parte di terzi di contenuti legati alla prostituzione, anche nel caso di sex work consensuale.

L'impatto sulle piattaforme è fortissimo: nell'arco di pochi giorni, la sezione dedicata agli appuntamenti di Craigslist scompare dal sito, mentre Reddit si affretta a bannare i vari subreddit a tema sex work. L'onda lunga di FOSTA-SESTA colpisce anche altre realtà ben più note al pubblico mainstream, come Tumblr e Patreon, che decidono di eliminare in toto la possibilità di pubblicare contenuti sessualmente espliciti. Nel frattempo, migliaia di sex worker perdono luoghi di incontro virtuali dove trovare clienti, promuovere il loro lavoro e scambiarsi consigli utili per la loro sopravvivenza (economica e non). Un esempio importante è quello di FetLife, un social media dedicato al BDSM, che cancella buona parte dei suoi contenuti, "inclusi interi forum in cui i sex worker si scambiano informazioni su pratiche considerate estreme, trasmettendo i saperi su come farle in sicurezza", racconta Valentine. OnlyFans li accoglie a braccia aperte, offrendo anche un modello di business innovativo e un'alternativa all'industria del porno classica, che nel frattempo è sempre più nel mirino per diffusione di materiale non consensuale.

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"La conseguenza è la nascita di una concezione diversa del porno, che diventa più personale, gestito autonomamente, creativo", spiega Elettra. Ma l'entusiasmo degli utenti non va di pari passo con quelli dei vertici della piattaforma: nonostante un fatturato da 2 miliardi di dollari nel 2020, Axios racconta che la compagnia non riesce a trovare investitori disposti a finanziarla. Nello stesso periodo, il suo primo "report mensile sulla trasparenza" rivela che solo a maggio 15 profili erano stati disattivati dopo aver diffuso contenuti pedopornografici. Il timore è che si ripeta quello che era successo a Pornhub e altri siti del colosso del porno MindGeek: a seguito dell'inchiesta del giornalista del New York Times Nicholas Kristof, intitolata "The Children of Pornhub", a dicembre 2020 infatti Visa e Mastercard avevano sospeso temporaneamente i pagamenti in arrivo sul sito, come era già successo anche al di fuori del mondo del porno ad alcune librerie indipendenti e siti di whistleblowing. Questo tipo di censura finanziaria, come spiega EFF, obbliga qualsiasi realtà a rispondere agli standard politici e morali imposti da un piccolo gruppo di  istituzioni, dato che i loro servizi di pagamento sono un passaggio obbligato per chiunque voglia  continuare a guadagnare online.

In seguito alle prime dichiarazioni di OnlyFans, il profilo ufficiale di Loverfans aveva già strizzato l'occhio a tutti i sex worker in fuga dalla piattaforma, mentre sui server di JustFor-Fans il traffico era triplicato dal giorno dell'annuncio. "Personalmente aspetterò di vedere come si mettono le cose e continuerò a usare OnlyFans perlomeno fino a dicembre, forse anche più a lungo, cambiando leggermente i contenuti che pubblico", aveva spiegato Elettra prima del contrordine ufficiale.

Per altre sex worker però, la situazione avrebbe potuto essere molto diversa. "Alcune avrebbero scelto di abbandonare il lavoro online e tornare a incontrare la clientela a tu per tu, con il nuovo coronavirus ancora in circolazione e quindi ritrovandosi molto esposte al contagio", puntualizza Valentine. Lo scenario del lavoro sessuale in Italia è infatti molto variegato e include anche persone che invece non hanno mai avuto la possibilità di trovare nella content economy un vero piano B.  "C’è tutta una fetta di chi fa sex work, quella composta dalle persone più marginalizzate, che spesso si ritrova a non avere documenti (quindi non potersi registrare sui siti, fare le verifiche, aprire conti bancari, etc.) e a non possedere gli strumenti per dotarsi di un’alfabetizzazione digitale. Anche l’esclusione linguistica ha un peso rilevante", racconta. Per tutte, "il denominatore comune rimane lo stigma", a cui si aggiungono la mancanza di tutele legata alla criminalizzazione del lavoro sessuale nel nostro paese.

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