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#OccupyWallStreet: una grande opportunità per il giornalismo in rete

31 Ottobre 2011 5 min lettura

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#OccupyWallStreet: una grande opportunità per il giornalismo in rete

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A Foster Kamer non piace occuparsi dei movimenti di protesta.
Kamer, redattore capo del New York Observer, racconta di una conversazione recente avuta con Jack Shafer, opinionista della Reuters. “Mi raccontava quanto detestasse seguire la protesta”, mi dice Kamer al telefono, “ed ho pensato fosse lo stesso per molti altri redattori di settimanali. Almeno questa è stata la mia esperienza con Tony Ortega [redattore al Village Voice]. Ogni volta che ci siamo occupati di una protesta diventava matto. Il punto è: “La gente è arrabbiata per qualcosa – quindi?”. 

E così il mio istinto – che penso sia lo stesso di una marea di reporter – mi porta a pensare che la protesta sia generalmente una non-notizia." 
Per fortuna, quando è emersa l’idea di seguire le persone che avevano cominciato a radunarsi a Zuccotti Park, Adrianne Jeffries, che di solito scrive per BetaBeat dell’Observer, ha colto al volo l’opportunità di andarci. “Ha pensato fosse estremamente interessante” racconta Kamer. “E ci è stata fin dal primo giorno”. 
Il riscontro è stato quasi immediato. Poiché l’Observer era l’unico giornale a seguire Occupy Wall Street, aveva una sorta di monopolio sulle notizie. E fin dall’inizio è apparso evidente che i lettori fossero estremamente curiosi di quel movimento nascente. Quando il 1° ottobre un gruppo di dimostranti ha cercato di attraversare il ponte di Brooklyn - evento che ha determinato oltre 700 arresti e numerose accuse di abusi nei confronti della polizia - i media nazionali improvvisamente si sono catapultati sull'argomento. Il traffico del sito dell’Observer si è impennato. “Di solito, quando racconti per un po' una storia – costruendo un dossier con gli aggiornamenti degli articoli su un particolare argomento – la sua evoluzione ha due sole possibilità” sostiene Kamer “o che l'interesse diminuisca come accade in base alla legge di riduzione dei profitti, oppure che cresca”. 
In questo caso ci troviamo ad avere a che fare con la seconda possibilità. “Più stai vicino al centro della questione, meno si satura il campo d’azione e più il risultato cresce”. 
Mentre sto scrivendo, sul sito del New York Observer quattro delle cinque storie più seguite riguardano Occupy Wall Street. La scorsa settimana Gawker ha scritto 25 post sul movimento. È impossibile aprire il mio Twitter o la mia pagina di Facebook senza leggere i nuovi sviluppi di Occupy Wall Street. Google News ha contato 42.000 menzioni la scorsa settimana (una ricerca sul ‘Tea Party’ ne ha segnalate la metà). 
Considerato che i dimostranti inizialmente hanno accusato i media di ignorare Occupy Wall Street, come è possibile che oggi si dimostri tanto interesse? C’è ancora abbastanza spazio per notizie che emergano dalla protesta che possano giustificarlo? 
Per descrivere la miriade di modi con cui i mezzi di informazione possono coprire OWS, Kamer usa l’immagine del ragno che tesse la tela: “È come quando si rompe un punto del parabrezza dell'auto con un sassolino che crea tutte quelle differenti linee e crepe”. 
Nel caso di Occupy Wall Street ci sono stati i dimostranti della prima ora, che da soli hanno rappresentato una piccola parte del ben più ampio racconto. Quando si sono verificati gli arresti è subentrato sulla scena improvvisamente un nuovo personaggio: la polizia. Una volta che la storia ha preso il largo i giornalisti sono stati liberi di affrontare l’argomento da vari punti di vista: i dimostranti, la polizia, i dirigenti di Wall Street, le celebrità sul luogo della protesta, la politica fiscale e, alla fine, la corsa per la presidenza. E come la protesta si è allargata a dozzine di città, ci sono state immediatamente dozzine di altri punti di osservazione locali che hanno generato a loro volta copertura nei media regionali. 
Bob Cohn, redattore online del The Atlantic, mi dice che il 10% dei 100 post più seguiti del mese di ottobre riguarda Occupy Wall Street – di gran lunga la più vasta concentrazione su un unico argomento. “L’intero catalogo del vocabolario digitale - video, gallerie, articoli - funziona benissimo. Penso rappresenti il riflesso perfetto dell’interesse del lettore”. 
La crescente copertura da parte dei mezzi di informazione, prosegue Cohn, indica anche l’evoluzione di OWS da singola protesta a movimento autentico. Cohn ritiene che molti giornalisti siano rimasti sorpresi quando ha cominciato a crescere: tre o quattro settimane prima nessuno avrebbe potuto predire che la copertura si sarebbe sviluppata in ciò che è oggi. E parte del motivo per cui i media vedono così tanta forza di trazione è perché si tratta di un movimento che si presta bene ad Internet. “Penso che storie come queste, che si muovono velocemente da città a città, siano davvero fatte su misura per la copertura attraverso la rete”, spiega. “D’altra parte sono convinto che per molti giornali cartacei ci sia un’eccellente opportunità per una copertura di lunga durata. Ma nei primi giorni è stata così dinamica da costituire una grande opportunità per il giornalismo della rete”. 
Per Mike Alissi, editore del periodico libertario Reason, le proteste sono sempre state una fonte ricca di contenuti. Nello scorso luglio il periodico ha avuto una considerevole quantità di riscontri quando un suo corrispondente ha incontrato l’attore Matt Damon durante una manifestazione a Washington. L’editore stima che Reason abbia pubblicato, il mese scorso, più di trenta video su OWS e tra essi ci sono i quattro più visti del mese (perfino Remy, artista noto su You Tube, ha contribuito con la partecipazione in un video). “Non appena le manifestazioni hanno preso piede era ovvio che per noi fosse molto interessante comprendere meglio cosa stesse accadendo, per capire fin dove arrivino gli obiettivi di chi vi partecipa e cosa vogliano” ha dichiarato Alissi. 
“Per noi tutte le proteste sono sexy” dice ancora. “Questa di OWS non è necessariamente più sexy di altre. Abbiamo trovato il Tea Party molto interessante. Siamo interessati ad ogni manifestazione politica per capire chi ci sia dietro o chi vi partecipi, cercando di parlare con le persone coinvolte per avere una visione migliore. Forse molti altri media sono interessati da questo movimento più che da altri, ma noi pensiamo che valga la pena seguirli tutti”. 
Certamente Foster Kamer non concorderebbe con questa posizione. E sebbene ammetta che questa protesta sembri essere un’eccezione, non esclude la possibilità che la copertura dei media di Occupy Wall Street possa portare alla saturazione. “Ora che tutti i media seguono la vicenda dobbiamo stare attenti a non diventare parte della saturazione. Per non partecipare alla legge della riduzione dei profitti”. 
Per sottolineare questo punto mi segnala un pezzo dell’Observer pubblicato il 12 ottobre che propone “50 ritratti di Occupy Wall Street” e che va oltre la semplice galleria fotografica riportando frasi e informazioni sulla biografia dei soggetti. Il 14 ottobre, soltanto due giorni dopo, il New Yorker ha pubblicato la propria galleria fotografica con citazioni e informazioni sui manifestanti. Perfino il titolo era simile: “Ritratti di Occupy Wall Street”. Forse le prospettive dalle quali seguire il movimento, dopotutto, non sono così illimitate.
Simon Owens - Nieman Journalism Lab 
(Traduzione di Roberta Aiello - ha collaborato Piero Filotico)
@valigiablu - riproduzione consigliata

Photo by Chris Rojas used under a Creative Commons license.

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