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Myanmar sull’orlo di una guerra civile: arresti, torture e uccisioni da parte dell’esercito hanno spinto le comunità a ricorrere alle armi

6 Giugno 2021 10 min lettura

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Myanmar sull’orlo di una guerra civile: arresti, torture e uccisioni da parte dell’esercito hanno spinto le comunità a ricorrere alle armi

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Sono passati quattro mesi da quando i militari hanno destituito in Myanmar con un colpo di Stato il governo di Aung San Suu Kyi per presunte frodi nel corso delle elezioni che si sono svolte a novembre 2020 e che hanno visto una vittoria schiacciante del partito della ex leader di fatto.

In base ai dati forniti dal gruppo no profit Assistance Association for Political Prisoners Burma (AAPP Burma) – che per la sua attività di denuncia subisce insistenti minacce dall'esercito, come dichiarato da Human Rights Watch – sarebbero almeno 847 le persone uccise dai militari mentre più di 4.500 quelle attualmente detenute, spesso in luoghi sconosciuti dove rischiano di subire torture.

Il paese è ormai sull'orlo di una guerra civile. Sempre più comunità, infatti, imbracciano le armi per proteggersi da una feroce e violenta campagna militare che non conosce fine.

Già da decenni il conflitto anima le zone di confine del Myanmar, con una miriade di gruppi armati etnici alla conquista di maggiore autonomia, schierati contro i militari. Da quando il colpo di Stato ha sconvolto il paese a febbraio, nuove forze di difesa popolare sono emerse per contrastare la giunta partecipando a scontri che avvengono in aree del paese finora pacifiche.

Se fino a qualche tempo fa il conflitto era concentrato prevalentemente nello Stato di Rakhine e in quello settentrionale dello Shan, attualmente si è diffuso in maniera ampia in tutto il paese.

Secondo l'Armed Conflict Location and Event Data Project (Acled), un'organizzazione no-profit che raccoglie dati sui conflitti, sono almeno 58 le forze di difesa che si sono formate in Myanmar, di cui 12 attive. Questi gruppi, costituiti a livello locale, non sono necessariamente legati in maniera ufficiale al governo di unità nazionale del Myanmar (NUG), istituito il 16 aprile da parlamentari pro-democrazia destituiti, membri di gruppi etnici e attivisti delle proteste anti-golpe.

Si conosce poco sulla natura della loro formazione e varie sono le risorse e le forze messe in campo.

Alcuni gruppi etnici armati hanno offerto sostegno alle forze anti-golpe, altri si sono mostrati ambivalenti, probabilmente per cercare di sfruttare il golpe per proprie ambizioni territoriali, complicando così ulteriormente la crisi.

La popolazione che ha cercato di manifestare più e più volte il proprio dissenso pacificamente (ancora oggi vengono organizzate piccole proteste) è stanca, stremata, spaventata, incattivita.

«Il popolo del Myanmar non ha altra scelta. Semplicemente, non ha un'altra scelta», ha detto Dr. Sasa, portavoce del NUG alle Nazioni Unite.

Per Sasa, la costante minaccia di incursioni militari, arresti, torture e uccisioni ha spinto le comunità a ricorrere alle armi.

«È solo l'inizio. La situazione sarà presto fuori controllo. Anche se si tratterà di un unico uomo in un intero villaggio, non si piegherà facilmente a questi assassini. Tutto il paese è sulla strada della guerra civile», ha proseguito Sasa, come riportato dal Guardian.

Nelle scorse settimane, decine di migliaia di persone sono state sfollate nello Stato orientale di Kayah (chiamato anche Karenni) a causa di intensi combattimenti tra i militari, la neonata Karenni People's Defense Force (KPDF) e l'esercito Karenni, un gruppo armato etnico già consolidato. Lunedì le forze armate hanno usato elicotteri per bombardare e sparare contro i combattenti civili, come dichiarato ai media locali dalla KPDF. «Abbiamo attaccato con armi leggere, ci hanno risposto con proiettili di artiglieria», ha detto al media indipendente Myanmar Now un membro del nuovo nucleo di combattimento.

La Karenni People's Defense Force è un gruppo di difesa formato da giovani combattenti karenni per lo più armati con armi tradizionali, come i fucili fatti a mano, nato per difendere la propria regione dall'offensiva della giunta militare. Nelle dichiarazioni rilasciate a Myanmar Now la KPDF ha affermato che 106 soldati del regime sono stati uccisi negli scontri avvenuti a Demoso, una città del Kayah, e a Loikaw, la capitale, così come a Moebye, nel sud dello Stato Shan, dove sono scoppiati nuovi disordini il 21 maggio.

Negli incidenti almeno 26 civili, tra cui diversi membri della KPDF, sono stati uccisi.

Le autorità del regime hanno bloccato gli ingressi nello Stato di Kayah dallo Stato di Shan a nord e anche le vie di trasporto per Loikaw sono state interrotte.

A causa dell'intensificarsi dei combattimenti decine di migliaia di abitanti karenni sono fuggiti dalle loro case e hanno urgente bisogno di cibo e accesso alle cure mediche.

Ieri, secondo quanto riferito da alcuni media indipendenti tra cui Khit Thit Media e Delta News Agency, le forze di sicurezza hanno ucciso 20 persone e provocato il ferimento di altri civili durante uno scontro nel villaggio di Hlayswe, che si trova 150 km a nord-ovest di Yangon, nella regione del delta del fiume Irrawaddy, un'importante area di coltivazioni di riso in cui vivono sia il gruppo etnico Bamar che quello della minoranza Karenni. Abitanti armati di catapulte e balestre si sono opposti ai militari che avrebbero attaccato il villaggio alla ricerca di armi. Se confermato, il bilancio delle vittime sarebbe uno dei peggiori nel paese negli ultimi due mesi.

I telegiornali della televisione di Stato hanno riferito che tre “terroristi” sono stati uccisi e due arrestati a Hlayswe durante la cattura di un uomo, accusato di complotto contro lo Stato, da parte delle forze di sicurezza che sono state attaccate con pistole ad aria compressa e frecce.

Il mese scorso nella cittadina di Mindat, nello Stato di Chin, una delle zone più povere del paese, volontari armati di fucili da caccia si sono opposti ai militari. In altri Stati e regioni, giovani abitanti delle città sono fuggiti nelle foreste per imparare a fabbricare esplosivi. Tra loro anche personalità del mondo dello spettacolo tra cui Htar Htet Htet, ex reginetta di bellezza che ha rappresentato il Myanmar al concorso Miss Grand International, e Han Htoo Lwin, noto come Kyar Pauk, il cantante della band punk rock Big Bag.

Per i giovani che si stanno addestrando per combattere e contrastare il potere della giunta, la violenza è ormai l'unico linguaggio compreso dai militari. Con le armi disponibili e con la forza provano ad opporsi ai soldati che entrano nelle loro comunità per arrestare, picchiare e torturare i cittadini. Si tratta per lo più di persone semplici: albergatori, ristoratori, gestori di bar che hanno lasciato le rispettive attività per unirsi ai combattimenti.

Una giovane studentessa di medicina – racconta il Guardian – è fuggita nella foresta per addestrarsi. Aver assistito all'uccisione dei suoi amici da parte dei militari, all'omicidio di persone arse vive sotto i propri occhi, l'ha spinta a prendere in mano una pistola. Non c'è altra via di uscita.

Intanto, varie scuole in tutto il paese – che avrebbero dovuto riaprire le porte agli studenti l'1 giugno – sono state occupate dai militari o bombardate o incendiate da ignoti, in quello che potrebbe essere un tentativo di rafforzare la chiusura del sistema educativo da parte di manifestanti anti-golpisti. Nonostante la giunta abbia ordinato ai genitori di iscrivere i propri figli, la stragrande maggioranza non lo ha fatto. Per i media locali, più della metà degli insegnanti che lavorano nelle scuole statali è in sciopero.

Per Richard Horsey, consigliere senior per il Myanmar della ONG International Crisis Group, gli attacchi alle scuole e quelli contro individui sospettati di collusione con i militari, sono una tendenza preoccupante. «Sarà difficile contenerli una volta che questo tipo di violenza diventerà normalità. Sarà complicato porre fine a queste dinamiche», ha detto.

Il NUG, che ha previsto l'istituzione e l'addestramento di un nuovo esercito federale, ha esortato i gruppi anti-golpe a seguire linee guida etiche e a non prendere di mira scuole o ospedali.

L'esercito militare birmano, che può contare su 400.000 membri armati, è il secondo più grande nel sud-est asiatico, dopo quello del Vietnam. Le armi sono fornite principalmente da Cina e Russia che vengono pagate attingendo a generosi finanziamenti statali e a redditizie reti commerciali, che gli attivisti dei gruppi per i diritti umani stanno cercando di indebolire esercitando pressioni sulle società internazionali.

Per far sì che compagnie petrolifere e del gas, come Total e Chevron, paghino i funzionari democratici piuttosto che finanziare i generali dell'esercito, Dr. Sasa ha chiesto alla comunità internazionale di riconoscere il NUG come leader ufficiale del Myanmar.

«È un insulto che il gas proveniente dalla terra del Myanmar sia utilizzato dai generali militari e pagato dalla società Total o da altre società occidentali, per acquistare armi dalla Russia e dalla Cina per uccidere la gente del Myanmar», ha commentato Sasa.

Il 27 maggio il gruppo petrolifero francese Total e la società energetica statunitense Chevron hanno sospeso alcuni pagamenti che sarebbero arrivati nelle mani della giunta militare birmana, guadagnandosi il plauso degli attivisti pro-democrazia per aver compiuto un importante primo passo.

In una dichiarazione, Total ha reso pubblico, “alla luce del contesto instabile in Myanmar”, di aver votato per la sospensione della distribuzione degli utili tra gli azionisti dopo una proposta congiunta avanzata con Chevron alla riunione della Moattama Gas Transportation Company, una società registrata alle Bermuda, di cui è il maggiore azionista con il 31,24%, seguito da Chevron, con il 28,26%, dalla compagnia petrolifera tailandese PTT Exploration and Production Public Company Limited (PTTEP), con il 25,5%, e da quella statale birmana Myanmar Oil and Gas Enterprise (MOGE) con il 15%.

“Total condanna le violenze e le violazioni dei diritti umani che si verificano in Myanmar e ribadisce che seguirà qualsiasi decisione che sarà presa dalle autorità internazionali e nazionali competenti, comprese le sanzioni applicabili emesse dall'UE o dalle autorità statunitensi”, si legge nella nota.

In un comunicato separato Chevron ha scritto: “La crisi umanitaria in Myanmar richiede una risposta collettiva che migliori il benessere della popolazione del paese”.

La compagnia statunitense ha inoltre affermato che “qualsiasi azione deve essere attentamente valutata per garantire che il popolo del Myanmar non sia ulteriormente penalizzato da conseguenze indesiderate e imprevedibili decisioni assunte in buona fede”.

Readul Islam, analista di Rystad Energy, una società indipendente di ricerca energetica e business intelligence che fornisce dati, strumenti, analisi e servizi di consulenza, ha affermato che la decisione delle società energetiche sembra aprire nuovi scenari, considerato che finora non sono state previste sanzioni internazionali contro le attività di idrocarburi in Myanmar.

«La musica sembra essere cambiata, vista la storia passata di  Total che ha sempre difeso con fermezza le sue operazioni in Myanmar», ha detto.

Justice for Myanmar, un gruppo di attivisti che si batte per i diritti della popolazione birmana, ha accolto con favore la decisione che ridurrà le entrate della giunta.

“Sottolineiamo, però, che si tratta solo di una piccola parte di entrate che la giunta militare riceve dalle operazioni di Total in Myanmar, che includono la quota statale delle entrate del gas, delle royalties e delle imposte sul reddito delle società”, ha detto il portavoce di Justice For Myanmar, Yadanar Maung.

Situati al largo della costa sud-occidentale del Myanmar, nel Golfo di Martaban, i giacimenti di Yadana – importante fonte di entrate dell'esercito gestita dalla Moattama Gas Transportation Company  – producono gas per le centrali elettriche in Thailandia, fornendo anche il mercato interno del Myanmar, attraverso un oleodotto costruito e gestito da Myanmar Oil and Gas Enterprise.

Nella sua dichiarazione Total ha affermato di aver voluto mantenere attiva la produzione di quei giacimenti “per non interrompere la fornitura di energia elettrica che è vitale per le popolazioni locali del Myanmar e della Thailandia”.

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La recente decisione di Chevron e Total è un passo nella giusta direzione, ma incide su meno del 5% delle entrate che la giunta del Myanmar riceve per il gas naturale», ha affermato John Sifton, direttore del programma Asia di Human Rights Watch. «Per avere un impatto reale, i governi e le aziende devono fare di più per impedire alla giunta di ricevere fondi o accedere a conti bancari dove arrivano i pagamenti».

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La presa di posizione dei due giganti dell'energia è arrivata all'incirca tre settimane dopo la pubblicazione di un'inchiesta di Le Monde intitolata “Myanmar: come Total finanzia i generali attraverso conti offshore” in cui il colosso petrolifero francese è stato accusato di presunti finanziamenti al regime golpista attraverso un sistema di spartizione dei proventi con i generali al potere con centinaia di milioni dirottati, attraverso il conto offshore della Moattama Gas Transportation Company, alla Myanmar Oil and Gas Enterprise, la società pubblica controllata dai militari.

La risposta della Total alle accuse mosse dal quotidiano francese è stata immediata: annullata una campagna pubblicitaria del valore di 50.000 euro prevista a giugno. La ragione? Ufficialmente, nessuna.

Foto anteprima Ninjastrikers via Wikimedia Commons sotto licenza CC BY-SA 4.0

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