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Violenze e denunce: dopo Hollywood travolto il mondo dei media

3 Novembre 2017 14 min lettura

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Violenze e denunce: dopo Hollywood travolto il mondo dei media

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Nelle ultime settimane, dopo lo scandalo Weinstein, negli Stati Uniti accuse di molestie sessuali stanno coinvolgendo altri settori, e in modo particolare quello del giornalismo. Quello che The Atlantic ha chiamatoThe Harvey Effect” ha colpito alcuni nomi importanti dei media USA e sta costringendo a una riflessione sulla cultura sessista all’interno delle redazioni: che danni ha prodotto un sistema che tollera abusi sessuali e affida a molestatori il compito di influenzare il racconto di politica, cultura e società?

In Italia non solo non si parla di molestie sul luogo di lavoro (e tanto meno nel mondo dei media), ma manca anche una copertura giornalistica su quanto sta accadendo oltreoceano.

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Le accuse ai giornalisti USA

Lo scorso 26 ottobre la CNN ha pubblicato le testimonianze anonime di cinque donne che accusavano il giornalista politico Mark Halperin – molto noto e influente negli Stati Uniti – di averle molestate sessualmente quando era direttore della sezione politica di ABC News. Gli episodi, rimasti fino a questo momento sconosciuti, si sarebbero verificati tra la fine degli anni ‘90 e la metà degli anni 2000 e vanno da proposte di incontri sessuali a baci o palpate non desiderate.

Queste accuse sono state negate dal giornalista, che però ha ammesso di aver avuto in quel periodo relazioni con donne che lavoravano con lui, incluse alcune sottoposte: “Adesso capisco che il mio comportamento è stato inappropriato e ha causato disagio ad altri. Per questo sono profondamente dispiaciuto e mi scuso”, ha detto in un comunicato. La MSNBC, con cui attualmente Halperin stava collaborando, ha fatto sapere di aver sollevato il giornalista da ogni ruolo finché la vicenda non sarà chiarita.

Le donne che hanno parlato con la CNN hanno spiegato di aver scelto l’anonimato a causa del grosso peso di Halperin nel mondo dei media e della politica. Alcune hanno aggiunto di sentirsi ancora “imbarazzate riguardo quello che era accaduto” e di non voler “essere pubblicamente associate” a quegli episodi. Una di loro ha raccontato di essere stata invitata da Halperin nel suo ufficio nei primi anni 2000, con la scusa di bere una soda. “Mi ha baciata e mi ha toccato il seno”, ha detto la donna, che ha aggiunto di essersi sentita “pietrificata”.

Un’altra ex dipendente di ABC News ha invece ricordato come nel 2004, mentre si trovava seduta nello studio di Halperin per chiedergli di essere mandata a seguire la campagna per le presidenziali, lui sia arrivato da dietro, premendo i genitali sulle sue spalle attraverso i vestiti. “Ero ovviamente scioccata, non ricordo neanche come sono andata via da lì (…) Ero giovane e appena arrivata, non ero certa che quello fosse il tipo di cose che ci si deve aspettare se si vuole qualcosa da una figura maschile nel giornalismo”.

Successivamente il Washington Post ha parlato con altre nove donne che hanno avuto esperienze o erano a conoscenza del comportamento di Halperin mentre lavorava ad ABC News.

Pochi giorni prima, accuse di molestie sessuali erano state rivolte nei confronti di Leon Wieseltier, noto critico letterario e per trent’anni editor della sezione dedicata di New Republic. Dopo il caso Weinstein, riporta POLITICO, alcune donne che lavoravano precedentemente per la rivista avevano iniziato a scambiarsi alcune email, raccontandosi le proprie esperienze con il comportamento di Wieseltier fuori e dentro la redazione. Secondo le ex dipendenti il critico era solito dare baci sulla bocca alle colleghe (talvolta davanti altri membri dello staff), metterle in imbarazzo raccontando la propria vita sessuale o chiedendo dettagli sulla loro. Wieseltier, scrive il New York Times citando un’ex dipendente, spesso commentava il modo in cui le donne venivano vestite in redazione, dicendo che i loro abiti non erano abbastanza aderenti. Una di loro ha raccontato di aver trovato una volta un biglietto sulla scrivania, in cui l’editor la ringraziava per la minigonna che indossava per quel giorno. Da quel momento, ha spiegato, non ne ha più messe in ufficio.

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In seguito alle accuse, Laurene Powell Jobs, filantropa e vedova del fondatore della Apple, ha cancellato un progetto editoriale della sua organizzazione, la Emerson Collective, in cui Wieseltier era coinvolto. Il direttore di The Atlantic, con cui il critico collaborava, ha invece annunciato la fine dei suoi rapporti con la rivista.

Wieseltier non ha commentato nulla e ha risposto solo con un messaggio in cui chiedeva perdono alle ex colleghe: “Le donne con cui ho lavorato sono persone brillanti e buone. Mi vergogno di aver fatto sentire alcune di loro umiliate e non rispettate. Voglio dire loro che non sprecherò questo momento in cui abbiamo messo in chiaro le cose”.

Le accuse a Wieseltier erano contenute anche in un Google spreadsheet [ndr foglio elettronico] anonimo che per qualche giorno a metà ottobre è circolato tra le caselle email delle giornaliste americane, prima di essere rimosso. Il documento, “Shitty media men”, conteneva una lista di uomini del panorama dell’informazione accusati di insistenti inviti a cena, molestie, stalking, tentativi di violenze sessuali a colleghe e dipendenti.

“Ho visto alcuni nomi e ho pensato: fucking finally. Finalmente gli uomini più schifosi del mondo dei media saranno smascherati”, ha scritto la giornalista di BuzzFeed Doree Shafrir, secondo la quale non è una coincidenza che il documento sia venuto fuori dopo il caso Weinstein e in un momento in cui sempre più donne stanno raccontano le loro esperienze: “Il mondo dei media si è a lungo protetto (…) e molti di quei nomi lavorano ancora nei media. La loro reputazione non li precede. O forse sì ma non importa, il che è ancora più deprimente”.

Nonostante Wieseltier e Halperin siano probabilmente i nomi più grossi, nelle ultime settimane altre personalità del mondo dell’informazione hanno ricevuto addebiti di questo tipo. Lockhart Steele, direttore editoriale di Vox Media, è stato licenziato a causa delle accuse di molestie sessuali sollevate da un’ex impiegata con un post su Medium in seguito al quale l’azienda aveva aperto un’inchiesta interna. Knight Landesman, editore della rivista Artforum e figura di spicco del mondo dell’arte, ha dato le dimissioni dopo che nove donne hanno agito in giudizio accusandolo di molestie sessuali. In seguito a quest’ultimo caso, oltre 150 tra artiste, curatrici di musei ed editor di riviste di arte hanno scritto una lettera pubblica – firmata da oltre duemila persone – in cui annunciavano che non sarebbero più rimaste in silenzio di fronte a certi comportamenti.

Hamilton Fish, direttore generale ed editore di New Republicsi è preso un periodo di congedo: su di lui pendono le accuse di diverse dipendenti. Win McCormack, il proprietario del magazine, ha fatto sapere in una lettera di aver chiesto a Fish di allontanarsi: “Sono stato informato di un certo numero di dipendenti che nei giorni scorsi hanno espresso preoccupazioni rispetto a certe interazioni sul luogo di lavoro che hanno creato un ambiente di disagio”.

Infine, Michael Oreskes, direttore editoriale di National Public Radio (NPR), ha rassegnato le dimissioni in seguito ad accuse di molestie sessuali presentate da due giornaliste. Entrambe le donne hanno raccontato di essere state baciate improvvisamente da Oreskes durante una riunione di lavoro alla fine degli anni Novanta, quando lui era a capo dell'ufficio del New York Times. Un'altra accusa è arrivata da una dipendente di NPR, per un episodio risalente al 2015.

"Sono profondamente dispiaciuto per le persone che ho ferito. Il mio comportamento è stato sbagliato e imperdonabile, e me ne prendo la piena responsabilità", ha fatto sapere Oreskes con un comunicato. Il CEO dell'azienda, Jarl Mohn, ha quindi chiesto le dimissioni del giornalista. Secondo quanto riporta il Washington Post, però, sia Mohn che il responsabile dell'ufficio legale, erano a conoscenza da tempo delle accuse verso Oreskes, ma si sono mossi solo quando lo scandalo è arrivato sui giornali. Per questo motivo decine di donne dipendenti dell'azienda stanno preparando una lettera in cui esprimono "profonda preoccupazione per come NPR ha gestito le accuse di molestie sessuali" e per gli "sforzi insufficienti" dei dirigenti nel "creare un ambiente di lavoro libero da molestie che garantisca pari opportunità per tutti i dipendenti".

Ben prima dello scandalo Weinstein, nel 2016, un grosso caso di molestie sessuali aveva coinvolto Fox News. La giornalista televisiva Gretchen Carlson aveva agito in giudizio contro il CEO dell’azienda, Roger Ailes, denunciando il mancato rinnovo del contratto dopo essersi sottratta a insistenti avance. Le accuse sono state poi sostenute da nuove rivelazioni di altre giornaliste, e Ailes è stato costretto a dimettersi. Poco dopo, è toccato al commentatore televisivo di Fox News Bill O'Reilly, allontanato successivamente dalla rete: lo scorso aprile un’inchiesta del New York Times ha rivelato che l’azienda e il giornalista avevano trovato un accordo di 13 milioni di dollari con cinque donne che avevano accusato O’Reilly di molestie sessuali.

Nel Regno Unito un’indagine è stata aperta alla BBC: in seguito alle accuse di molestie sessuali presentate da diverse donne, George Riley, presentatore di BBC Radio 5 Live sports, è stato sospeso. Stando a quanto riporta il Times, molte donne all'interno del network si stanno scambiando messaggi e testimonianze in chat segrete riguardo a comportamenti inappropriati di altri dipendenti.

I media britannici, però, si stanno concentrando principalmente su un analogo scandalo che sta coinvolgendo il Parlamento, venuto fuori dopo che un gruppo di ricercatori di Westminster ha compilato un dossier anonimo – "High libido MPs" – contenente accuse di molestie, avance sessuali e comportamenti inappropriati con riferimento a diversi deputati. In seguito al caso, il ministro della Difesa, Michael Fallon, ha rassegnato le dimissioni.

Come ha ricostruito un articolo di Columbia Journalism Review, comunque, l'Harvey Effect ha colpito in diversa misura aziende del mondo dei media di molti altri paesi, come Canada, Svezia, Francia, Germania, Pakistan, Singapore. L'analisi - che ha preso in considerazione undici Stati - inserisce l'Italia tra quelli in cui il dibattito non ha portato a nessuna accusa concreta, e l'assunzione di responsabilità per abusi e molestie sessuali "resta un obiettivo sfuggente e distante".

In molti si stanno domandando se questa catena di testimonianze e accuse rappresenti un punto di non ritorno nel tollerare certi comportamenti. Secondo Jill Abramson, in passato executive editor del New York Times, c’è da essere scettici: “Ho trascorso le ultime due settimane investigando su accuse di molestie sessuali in un’altra azienda del mondo dei media. Ho parlato con molte donne spaventate che mi hanno raccontato di esperienze terribili, di cui però non parleranno pubblicamente perché hanno firmato accordi di non divulgazione o hanno paura che non le assumerà più nessuno (…) C’è ancora molta paura. E ci sono ancora molti shitty men nei media”.

Il dibattito sui media

Secondo un articolo di Vox sul caso Weinstein, quando "un sistema crea un esito così costante, così prevedibile, in così tanti spazi differenti, devi almeno considerare la possibilità che quell’esito sia voluto, che il sistema stia lavorando così come è stato progettato. Probabilmente va fatto qualcosa di più del tentativo di sradicare i peggiori molestatori". Il riferimento è alla società americana e al problema delle molestie, ma è un assunto applicabile anche al giornalismo: abusi sessuali e sessismo sono endemici al mondo dei media così come funziona oggi? Basta mandare via il direttore di qualche testata per risolvere il problema?

Lara Setrakian, una delle giornaliste che hanno accusato Mark Halperin di molestie sessuali, ha scritto sul Washington Post di essersi sentita quasi costretta a parlare perché è necessario "capire cosa è andato storto, e cosa [questo] ci dice della televisione e del giornalismo. Non possiamo aspettarci che la cultura delle nostre redazioni migliori se non siamo onesti su quello che sta succedendo. Non possiamo fare finta che questi episodi siano isolati e riguardino alcuni casi piccanti a Fox News o chiamare in causa con indignazione altre industrie e istituzioni imperfette. Dobbiamo pulire casa nostra".

Nella sua testimonianza Setrakian insiste sulla necessità che l’industria televisiva e tutti coloro che ci sono dentro "sappiano cosa succede alle donne nelle nostre redazioni", intendendo molestie e abusi non solo fisici. "Giovani giornaliste donne sui vent’anni – aggiunge – sono spesso sottoposte a una forte pressione per essere sessualmente attraenti e fisicamente impeccabili a giudizio dei loro superiori. Da questo può derivare ansia, disgusto di sé e disordini alimentari". Dall’altro lato, "giornaliste di trenta o quarant’anni possono sentirsi terrorizzate dalla stessa pressione” e dal fatto che sia una sorta di “data di scadenza” per loro. "Perdere il proprio sex appeal può significare perdere il posto come reporter. Questo brucia ancora di più perché gli uomini non solo possono invecchiare in pace, ma possono mentire, plagiare e aggredire le donne e rimanere al loro posto. Capisco che la televisione sia un media visivo. Ma siamo giornaliste, non modelle (…) Dovremmo aspettarci un po’ di dignità nel modo in cui veniamo trattate, sia in onda che fuori onda", scrive Setrakian, e aggiunge che "c’è qualcosa di tossico nelle redazioni quando gli uomini possono comodamente fare commenti su quanto le loro colleghe donne siano sessualmente attraenti".

Così come nel caso Weinstein, molte delle accuse mosse nel mondo dei media erano molto lontane dall’essere un segreto. Come si legge in un articolo su Splinter di Clio Chang, un’ex giornalista del New Republic, ad esempio il fatto che Leon Wieseltier "non abbia subito conseguenze nei suoi 30 anni al TNR mostra come sessismo e molestie possano diventare talmente intrinseche alla cultura di un’azienda da rendersi completamente banali". Dopo tutto, "molto del comportamento di Wieseltier era già di pubblico dominio, se solo si avesse voluto vederlo".

A conferma di questo, un ex editor di New Republic ha ammesso anonimamente all’Huffington Post di essere stato "cieco e complice" e "di non aver fatto nulla" per impedire le molestie, così come altri colleghi: "È una sorta di fallimento collettivo". Dall’altro lato, ha aggiunto, Wieseltier era percepito come qualcuno che poteva fare la carriera di un editor o distruggerla. Altri ex dipendenti hanno raccontato come il critico si dilettasse nell’essere crudele con coloro che percepiva come più deboli, inclusi uomini.

Secondo l’articolo di Chang su Splinter, a questo sproporzionato potere va aggiunta la presenza di "dinamiche di genere estremamente sbilanciate": le donne, infatti, "raramente hanno ottenuto posizioni senior al New Republic".

Molte persone con cui la giornalista ha parlato le hanno descritto il magazine come un "club per ragazzi". E in effetti come editor Wieseltier ha pubblicato davvero poche donne. Nell’analisi di Splinter vengono presi in considerazione i dati di VIDA (un’organizzazione non-profit che dal 2010 traccia le differenze di genere nelle pubblicazioni letterarie), secondo cui tra il 2010 e il 2014 il New Republic raramente ha pubblicato recensioni di libri scritte da donne. Nel 2012, ad esempio, sono state solo quattro.

"Molte delle persone con cui ho parlato hanno detto che Wieseltier semplicemente non considerava le donne come intellettuali pubblici", scrive Chang. E "se da un lato Wieseltier era molto duro con gli uomini che non gli piacevano, altre ex dipendenti raccontano di riunioni in cui passava molto tempo a parlare di donne che lui riteneva stupide".

Per questa ragione, chiedere ai dipendenti uomini cosa sapevano di quanto accadeva negli uffici di New Republic non centra il punto: anche chi non era a conoscenza specificatamente dei comportamenti di Wieseltier, non poteva ignorare il sessismo che permeava la redazione, esemplificato dal fatto che le donne quasi sempre occupavano posizioni di basso livello e che uno scarso numero di loro veniva pubblicato nella sezione gestita da Wieseltier. Questi sono “tutti segnali che conducono a un ambiente che è un porto sicuro per un molestatore”, conclude Chang.

Un’altra questione riguarda il peso che personaggi come Wieseltier, O’Reilly o Halperin hanno avuto nella vita politica e culturale degli Stati Uniti. Come ha notato Jodi Kantor, una dei reporter del New York Times che ha svelato lo scandalo Weinstein, sia il produttore che gli altri nomi potenti del mondo dei media “sono stati alcuni dei narratori chiave della nostra cultura, modellando le nostre idee su genere, autorità, potere e molto altro”.

Il fatto che questi uomini detenessero il potere letteralmente di definire la narrazione politica americana non è senza conseguenze. Come spiega Ezra Klein su Vox, “non c’è bisogno di scavare troppo a fondo nel lavoro di Halperin o Wieseltier per trovare eco del loro comportamento privato nei loro commenti pubblici”. In un articolo del New York Times del 2007, ad esempio, viene riportato un commento dell’ex editor di New Republic secondo cui Hillary Clinton era “come alcune casalinghe infernali che hanno visto qualcosa che vogliono davvero e non smettono di assillarti finché tu non dici, ok, prenditelo, diventa il dannato presidente, ma lasciami in pace”. Più recentemente, l’anno scorso Halperin ha praticamente ignorato le accuse di molestie sessuali mosse a Donald Trump sostenendo che “non ci fosse nulla di illegale”, e che comunque bisognava “essere scettici” circa il tempismo delle donne che avevano scelto di raccontare.

Secondo Vox, “regolarmente sottostimiamo cosa significa che il nostro sistema politico sia stato costruito e interpretato da uomini, che le nostre aspettative riguardo i politici siano state fissate da generazioni di politici maschi e formate da generazioni di esperti maschi”.

Sulla stessa linea, Rebecca Traister nota sul New York Magazine come “gli uomini che hanno avuto il potere di abusare di corpi e psiche delle donne durante le loro carriere siano in molti casi gli stessi che avevano il potere di raccontare la nostra storia politica e culturale”. Il punto è che, in questo caso specifico relativo alle molestie sessuali, i media non solo stanno coprendo la notizia ma sono anche profondamente implicati in questa. “La nostra – scrive Traister – è un’industria, come tante altre, dominata da uomini bianchi al comando; hanno preso decisioni su cosa coprire e come, e continuano a farlo. La pervasività di questo squilibrio di potere e il modo in cui influenza anche come questa stessa storia viene raccontata è molto istruttivo”. La questione, secondo la giornalista, è che “per ognuna di queste storie di molestie che finalmente vede la luce, i reporter ne stanno sentendo altre decine che non verranno pubblicate, perché le donne non si esporranno pubblicamente in un’industria ancora dominata dalle persone delle quali vogliono fare i nomi, o perché gli uomini in questione non sono abbastanza potenti da interessare coloro che sono abbastanza potenti da decidere quale notizia ha valore”.

Gli accusati, dunque, sono gli stessi che decidono o hanno deciso quali messaggi inviare al pubblico, come e cosa raccontare, quale tipo di prodotto artistico apprezzare. È chiaro che questo ha generato dei danni: “Non possiamo andare indietro nel tempo e avere una storia di Hillary Clinton scritta da persone che non sono state accusate di premere le loro erezioni sulle spalle di giovani donne che lavoravano per loro. Non possiamo riportare indietro le donne che hanno lasciato il loro lavoro, le loro intere carriere a causa di molestie e abusi. E neanche possiamo vedere i film che avrebbero fatto o l’arte che avrebbero promosso, o leggere le notizie che avrebbero prodotto”, scrive Traister, secondo cui “questo tsunami di storie non rivela solo il modo in cui gli uomini hanno molestato e umiliato le donne; ci mostra che l’hanno fatto mentre costruivano il mondo in cui dobbiamo ancora vivere”.

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Presa coscienza di ciò, questa cascata di accuse può costituire il punto di partenza per un reale cambio di rotta? Secondo un articolo di Margaret Sullivan sul Washington Post, le rivelazioni sono importanti, ma serve “qualcosa di più profondo e più difficile. Le aziende del mondo dei media devono affrontare la radicata disuguaglianza di genere che è alla base di tutto questo casino”. La presenza nelle redazioni di “una massa critica di donne che prende decisioni” potrebbe fare la differenza, permettendo che le idee nascano e che le voci vengano ascoltate in modi nuovi. E invece, sono gli uomini a fare la maggior parte del lavoro giornalistico nei giornali, nelle tv, nei media online. “Ed è in questo modo che si forma la nostra cultura. Chi vediamo in posizioni di potere in TV? Di chi sono i libri che ottengono visibilità? Quale punto di vista rispecchiano?”, domanda Sullivan.

I media si ritrovano oggi ad affrontare uno “strano cocktail emotivo” tra speranza, indignazione e paura. La giornalista auspica che tutto questo "porti a una crisi” dell’esistente. Secondo Nikki Usher, professoressa associata alla George Washington University’s School of Media and Public Affairs, in effetti “siamo in un momento di riflessione unico, ed è un’opportunità prendere in considerazione un grande cambiamento sistemico”. Un cambiamento che però, per Sullivan, non può essere superficiale: nonostante alcuni uomini potenti siano stati svergognati o privati della loro posizione, “i temi sottesi della disuguaglianza di genere delle dinamiche di potere persistono”. Le donne “rimangono sottorappresentate nei media, e le loro voci restano mute. Finché questi temi non saranno affrontati seriamente, niente cambierà. E questo momento di regolamento dei conti sarà perso e quest’opportunità sprecata”.

Foto anteprima di Rebecca Hendin/BuzzFeed

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