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Il percorso della Moldova verso l’UE è un test del sostegno di Bruxelles all’Ucraina

16 Settembre 2025 15 min lettura

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Il percorso della Moldova verso l’UE è un test del sostegno di Bruxelles all’Ucraina

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Di: Andrea Braschayko (Valigia Blu, Italia), Sofia Nazarenko (24tv.ua, Ucraina), Laurentiu Plesca (Agora.md, Moldova)

Il 28 febbraio 2022, appena quattro giorni dopo l’invasione russa, l’Ucraina, in quello che all’epoca sembrava più un gesto simbolico che politico, aveva ufficialmente presentato la sua domanda per entrare nell’Unione europea. Pochi giorni dopo, il 3 marzo, Georgia e Moldova facevano lo stesso. I tre Stati post-sovietici sembravano, almeno inizialmente, essere accomunati nella loro agognata corsa verso Bruxelles.

Appena tre mesi dopo, tuttavia, le loro strade hanno iniziato a divergere. Nei suoi pareri sui paesi candidati, emessi il 17 giugno 2022, la Commissione europea ha lasciato indietro la Georgia, a causa dei ripetuti scontri del governo con lo stato di diritto. Ciò si è acuito negli anni successivi: a Tbilisi sono esplose proteste, poi represse dal governo, mentre le elezioni dell’autunno 2024 sono state funestate da accuse di brogli da parte dell’opposizione. Infine, nel novembre 2024, il primo ministro Irakli Kobakhidze ha annunciato la sospensione dello status di candidata della Georgia.

L’Ucraina e la Moldova, nel frattempo, hanno proceduto insieme. Il 23 giugno 2022, il Consiglio europeo ha concesso a entrambi i paesi lo status di candidati. Nel suo rapporto sull’allargamento alla fine del 2023, la Commissione ha raccomandato l’apertura dei negoziati con Kyiv e Chișinău, e le trattative sono state formalmente avviate il 14 dicembre di quell’anno. Da allora, in varie conferenze intergovernative sull’apertura dei cluster dell’acquis communautaire (il corpo di diritti, leggi e obblighi politici richiesti per l’adesione all’UE) le delegazioni ucraina e moldava si sono presentate fianco a fianco, sottolineando sfide comuni e complementari: dalla minaccia geopolitica posta dalla Russia, inclusa l’occupazione di parti dei loro territori, alla sicurezza energetica e alla transizione di mercato, fino alla decennale lotta alla corruzione.

Simbolicamente, l’Ucraina si batte per l’adesione all’UE da oltre un decennio; fin dalle proteste di Euromaidan del 2013, quando i manifestanti si sollevarono contro il governo autoritario di Viktor Janukovyč per chiedere un futuro europeo. Politicamente, l’obiettivo è stato sancito in Costituzione durante la presidenza post-Maidan di Petro Porošenko. 

Anche la Moldova ha reso l’adesione all’UE una sfida esistenziale. Il 21 ottobre 2024, lo stesso giorno in cui la presidente europeista Maia Sandu è stata rieletta, un referendum sull’adesione all’UE è passato per un soffio, con il 50,4 per cento, grazie soprattutto al sostegno della capitale e della diaspora moldava.

Nell’ultimo anno, tuttavia, voci (non ufficiali, ma circolanti nei circoli politici di Bruxelles) hanno avanzato l’ipotesi di “disaccoppiare” (in termini tecnici il processo è definito dagli esperti come decoupling) i percorsi di adesione di Kyiv e Chișinău, aprendo il primo cluster dei negoziati con la Moldova ma non con l’Ucraina, a causa del ricorrente veto dell’Ungheria su quest’ultima, aveva riportato Politico già lo scorso agosto.

“Bisogna trovare un modo per aprire il primo cluster”, aveva allora dichiarato Siegfried Mureșan, parlamentare europeo conservatore che presiede il Comitato di associazione UE-Moldova al Parlamento europeo. “Sarebbe un segnale alla Russia. Toglierebbe argomenti alla narrazione dei russi, secondo cui non c’è alcun progresso sul cammino verso l’adesione all’UE.”

Analogamente, Susan Stewart della Stiftung Wissenschaft und Politik di Berlino ha affermato che disaccoppiare il processo di adesione della Moldova da quello dell’Ucraina “dimostrerebbe la chiara intenzione dell’UE di allargarsi, consentendo agli Stati in cui l’adesione è più semplice di avanzare relativamente in fretta. Questo, a sua volta, aiuterebbe l’UE e i suoi Stati membri — comprese le loro società — ad adattarsi gradualmente a un’Unione più ampia e complessa, rendendo più facile contemplare ulteriori allargamenti. Trasmetterebbe inoltre agli attori esterni la serietà dell’UE nel perseguire i propri obiettivi, geopolitici e non solo.”

Un altro argomento è che la Moldova è più avanti nei 33 capitoli dell’acquis (è pur sempre un paese di appena 2,6 milioni di abitanti, e non è in guerra aperta con un vicino ostile), sebbene Chișinău non abbia mai chiesto apertamente una separazione dei percorsi di adesione fra i due paesi.

Per riconoscenza verso l’Ucraina, i leader moldavi hanno spesso sottolineato che non sarebbero affatto su questo percorso senza l’ondata di solidarietà post-invasione, che ha ridisegnato l’allargamento dell’UE. Eppure, progressi tangibili per la Moldova sarebbero una spinta potente in vista delle incerte elezioni parlamentari del 28 settembre 2025, in cui la vittoria di Sandu e dei partiti pro-europeisti è tutt’altro che scontata. In vista della corsa presidenziale di Sandu, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva visitato Chișinău, promettendo un pacchetto di investimenti da 1,8 miliardi di euro tra il 2025 e il 2027, una somma enorme per la piccola economia moldava; un impegno che fu probabilmente decisivo per la rielezione di Sandu col 55%.

Il percorso dell’Ucraina, al contrario, rischia di essere bloccato da altri vicini ostili: non Mosca ma in particolare l’Ungheria di Viktor Orbán, prevedibilmente l’unico Stato membro dell’UE (ufficialmente) favorevole allo scenario del “disaccoppiamento”. Il ministro degli Esteri Péter Szijjártó ha dichiarato che il suo paese si opporrebbe all’adesione dell’Ucraina “anche se Mosca la sostenesse”, citando una controversa consultazione popolare organizzata da Fidesz quest’anno.

Eppure le elezioni parlamentari ungheresi sono previste per aprile 2026 — mancano poco più di sei mesi — e lo sfidante di Orbán, Péter Magyar, un protetto del Partito popolare europeo, il gruppo più numeroso al Parlamento UE, è passato in vantaggio nei sondaggi da mesi. Potrebbe questo indurre un approccio strategico attendista che eviti il disaccoppiamento, temuto da Kyiv e contrastato dai suoi alleati?

Da luglio 2025, la Danimarca detiene la presidenza di turno del Consiglio dell’UE, succedendo alla Polonia, un altro stretto alleato dell’Ucraina. La ministra danese per gli Affari europei Marie Bjerre ha affermato di recente che sarebbe “ingiusto” separare i percorsi di adesione di Ucraina e Moldova.

La Moldova avanza, ma non rompe i ranghi

La Commissaria europea per l’Allargamento Marta Kos è apparsa al desk del telegiornale di TV8 durante la sua visita a Chișinău la scorsa settimana, la terza del 2025, per rivolgersi direttamente ai moldavi. Ha lanciato un messaggio chiaro e deciso in vista delle cruciali elezioni parlamentari del 28 settembre: “Il vostro paese è pronto ad avviare i negoziati con l’Unione Europea, avendo soddisfatto tutti i criteri per aprire il primo cluster non appena sarà completato lo screening. Il posto della Repubblica di Moldova è nell’Unione Europea.”

Questo forte endorsement arriva in un momento di solidarietà europea senza precedenti verso la Moldova. Nel Giorno dell’Indipendenza, il 27 agosto, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz e il primo ministro polacco Donald Tusk si sono tutti recati a Chișinău per l’occasione. La loro presenza congiunta è stata più che un cerimoniale: ha inviato un segnale potente che il futuro della Moldova è saldamente in Europa e che il baricentro politico dell’UE si sta stringendo attorno a Chișinău in un momento decisivo. 

Solo due mesi prima, il vertice UE–Moldova a Bruxelles aveva rafforzato questo messaggio. I leader hanno sottolineato che i negoziati di adesione potrebbero ufficialmente aprirsi una volta che le elezioni del 28 settembre confermassero la scelta europea della Moldova. Eppure, dietro queste dichiarazioni di unità, emerge un dibattito più delicato: il percorso di adesione della Moldova deve rimanere legato a quello dell’Ucraina, o Bruxelles può valutare di far avanzare Chișinău in modo indipendente?

Sebbene non sia stata presa alcuna decisione ufficiale, tali dichiarazioni lasciano spazio a interpretazioni, così come a potenziali campagne di disinformazione da parte della Russia. Il mandato dell’attuale Commissione Europea non esclude che la Moldova possa andare avanti da sola, e a Bruxelles crescono le voci secondo cui Chișinău potrebbe progredire nonostante il veto ungherese sull’Ucraina. In particolare, il veto dell’Ungheria è stato menzionato anche dal presidente statunitense Donald Trump nelle discussioni sui negoziati di pace tra Ucraina e Russia, a riprova della complessità geopolitica che incornicia la traiettoria europea della Moldova.

Da un punto di vista morale, la Moldova non può avanzare sul suo percorso europeo senza l’Ucraina. I due paesi hanno collaborato strettamente e l’Ucraina è diventata uno scudo per la Moldova, proteggendola dall’aggressione russa. La Moldova è riluttante a rompere i ranghi e avanzare da sola mentre l’Ucraina è bloccata nel processo, poiché ciò potrebbe essere percepito come un tradimento dello sforzo congiunto contro l’influenza russa. 

Quindi, la Moldova non può permettersi di spingere pubblicamente per il disaccoppiamento, poiché l’attenzione dell’Unione europea verso la Moldova è stata in larga misura determinata dall’aggressione in corso della Russia contro l’Ucraina. Inoltre, le sofferenze degli ucraini e la loro lotta per l’integrazione Europea hanno reso l’UE più determinata a proteggere la Moldova nella propria sfera d’influenza, per garantire la stabilità della regione.

Come ha sottolineato la Commissaria all’Allargamento Marta Kos, il suo compito è “assicurare che continuiamo ad attenerci al processo basato sul merito, in modo che entrambi i paesi possano avviare il percorso il più rapidamente possibile”. Questa affermazione è importante perché rassicura sia Chișinău sia Kyiv che Bruxelles non sta abbandonando il principio di equità. Un processo basato sul merito significa che la Moldova sarà giudicata sulle riforme, non solo dalla cruda geopolitica, e che l’Ucraina non verrà lasciata indietro nonostante il veto ungherese e le difficoltà create dall’invasione.

In breve, l’insistenza di Kos su un processo basato sul merito mantiene Moldova e Ucraina sullo stesso percorso, ma la responsabilità ricade sui moldavi: con il voto, decidono se il paese entra nei negoziati con pieno sostegno europeo o se il processo si ferma. Il messaggio da Bruxelles è chiaro: l’Europa è pronta, ora tocca alla Moldova esserlo.

Dal punto di vista moldavo, il tempismo è cruciale. Alla vigilia delle elezioni, l’apertura dei primi cluster non è solo una decisione tecnica, ma un segnale politico che l’Europa si fida delle istituzioni moldave e del loro impegno per le riforme. Rafforza la mano delle forze europeiste, mostrando agli elettori che il cambiamento porta risultati.

Allo stesso tempo, la Moldova non può permettersi di apparire come se si volesse disaccoppiare dall’Ucraina nel processo di adesione. Come ha ricordato Cristina Gherasimov, “un’Ucraina stabile e sicura è cruciale per la sicurezza della Moldova e la stabilità regionale”. La solidarietà non è solo simbolica: è una vera e propria garanzia di sicurezza. Anche il presidente del Consiglio europeo, António Costa, ha sottolineato che “dopo le elezioni del 28 settembre, ci saranno le condizioni per aprire ufficialmente i negoziati”. Questa sequenza rende il voto stesso un banco di prova del destino europeo della Moldova.

Un altro aspetto importante del percorso europeo della Moldova riguarda il modo in cui l’adesione all’UE potrebbe offrire una soluzione alla questione della Transnistria. Funzionari europei, come Marilena Raouna, ministra per gli Affari europei di Cipro, il paese che assumerà la presidenza del Consiglio dell’UE nel gennaio 2026, sottolineano che “l’adesione della Moldova è tecnicamente possibile insieme alla regione secessionista, utilizzando strumenti come il Protocollo 10 all’Atto di adesione”. 

Ciò consente di applicare l’acquis communautaire solo nelle aree effettivamente controllate dal governo, sospendendone temporaneamente l’applicazione nella regione della Transnistria, seguendo il modello di Cipro nelle aree occupate dalla Turchia. Per l’Ucraina, una soluzione simile potrebbe essere presa in considerazione per le aree occupate o in conflitto, come il Donbas o la Crimea, ma il contesto è molto più complesso per via dell’estensione territoriale e del conflitto ancora in atto.

L’Ucraina teme di essere lasciata indietro (e bloccata dal veto ungherese)

L’Ucraina, che ogni giorno paga con il proprio sangue la propria scelta europea, deve ancora fare i conti con l’incertezza dell’UE. L’ondata di volontà politica e il calo della enlargement fatigue, che erano chiaramente emersi dopo l’inizio dell’invasione su larga scala della Russia, non sono più così evidenti. Dopo oltre tre anni e mezzo di guerra, nell’Unione Europea sono emerse molte domande sul futuro europeo dell’Ucraina: ciò potrebbe costare miliardi di euro non solo agli agricoltori di paesi come Francia, Polonia e Romania, ma anche ai contribuenti quando si tratta di ricostruzione.

Il processo che il presidente Volodymyr Zelensky voleva percorrere su una corsia accelerata è chiaramente in ritardo. De jure, i negoziati di adesione sono stati ufficialmente avviati lo scorso giugno, ma de facto inizieranno solo dopo l’apertura del primo, fondamentale cluster. Da oltre un anno l’Ucraina, insieme alla Moldova, attende che il primo ministro ungherese Viktor Orbán tolga il veto sui progressi dell’Ucraina verso l’UE. 

L’Unione Europea non ha un calendario chiaro per il prossimo allargamento, il che significa che esiste il rischio che Orbán continui a bloccare ulteriori progressi finché resterà al potere. La storia dell’allargamento dell’UE insegna che ottenere rapidamente lo status di candidato non significa avanzare altrettanto rapidamente lungo il percorso di integrazione. La Macedonia del Nord, che ha ottenuto lo status di candidata nel 2005, ha aspettato 17 anni per aprire il cluster “Fondamentali” a causa del veto della Grecia. Il paese ha persino cambiato nome per avvicinarsi all’UE.

Kyiv spera di percorrere questa strada molto più velocemente e sta negoziando attivamente con l’Ungheria. L’11 settembre, il vice primo ministro per l’Integrazione europea ed euro-atlantica, Taras Kachka, ha incontrato il ministro degli Esteri ungherese Péter Szijjártó. Dopo i colloqui, Szijjártó ha dichiarato che le relazioni con l’Ucraina non sono nelle migliori condizioni e ha attribuito la responsabilità a Kyiv. Dal 2024, Budapest presenta un elenco di 11 richieste a Kyiv per garantire i diritti della minoranza ungherese in Transcarpazia. Il governo Orbán vuole che la minoranza riacquisisca tutti i diritti di cui godeva prima del 2015, di fatto cancellando le leggi che l’Ucraina ha introdotto dopo l’inizio della guerra per contrastare il “soft power” russo e rafforzare la propria identità nazionale. 

Resta aperta la domanda se l’Ungheria sia davvero interessata a proteggere i diritti delle proprie minoranze nazionali, o se stia strumentalizzando la questione a fini gepolitici. Il paese ha ufficialmente vietato l’ingresso al soldato ucraino di etnia ungherese Robert “Madyar” Brovdi. L’Ungheria ha imposto tali sanzioni dopo gli attacchi guidati da “Madyar” all’oleodotto Druzhba, che fornisce materie prime russe ai paesi vicini.

A differenza della Macedonia del Nord, l’Ucraina non ha altri 17 anni per risolvere questioni politiche con i vicini. Riformare la legislazione secondo gli standard europei è un processo impegnativo, e i ritardi nell’apertura dei cluster non fanno che rallentarlo. Dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, è diventato evidente che l’onere della guerra della Russia contro l’Ucraina ricade interamente sull’Europa. Allo stesso tempo, mentre il presidente statunitense cerca di portare Zelensky e Putin al tavolo dei negoziati, una coalizione di attori interessati sta lavorando attivamente a garanzie di sicurezza. Una di queste potrebbe essere l’adesione all’UE — se non in senso militare, almeno in termini economici.

“Comprendiamo già l’architettura delle garanzie di sicurezza. Sappiamo quali passi concreti possono funzionare. Consideriamo l’adesione dell’Ucraina all’UE una parte importante delle garanzie di sicurezza, in primo luogo garanzie di sicurezza economica per l’Ucraina”, ha sottolineato il presidente dell’Ucraina.

Vladimir Putin è categoricamente contrario all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, ma formalmente sembra non opporsi all’adesione all’UE. In realtà, ciò contraddice i suoi piani di creare un impero eurasiatico, di cui l’Ucraina farebbe parte. Di recente, l’ex presidente fuggitivo Janukovyč è apparso inaspettatamente nei media russi; nel 2013 aveva rifiutato di firmare l’Accordo di associazione con l’UE, sostenendo di “condurre l’Ucraina verso l’UE, ma i partner si sono comportati in modo scorretto”.

Amanda Paul, vicedirettrice del programma “Europe in the World” e senior policy analyst presso lo European Policy Center (EPC) di Bruxelles, sottolinea che non ci si deve fidare di una sola parola di Putin e che, per una pace duratura, affidarsi unicamente all’adesione all’UE non è sufficiente.

“L’adesione all’UE è importante, ma non è una garanzia di sicurezza nel senso reale del termine. L’Ucraina ha bisogno di garanzie di sicurezza vincolanti e robuste. Non credo che dovremmo credere a una sola parola che esce dalla bocca di Putin. È un bugiardo. Ricordiamo anche che era già contrario alla firma da parte dell’Ucraina dell’Accordo di associazione e del DCFTA. Quindi non bisogna essere ingenui”, ha detto.

Tuttavia, l’idea di separare l’Ucraina e la Moldova potrebbe rallentare un’integrazione europea per Kyiv già di per sé difficile. L’Ucraina, che dopo l’invasione su larga scala della Russia ha spinto con forza l’agenda dell’allargamento dell’UE, rischia di essere messa da parte. La Moldova, più piccola e con un sostegno europeo maggiore, potrebbe ottenere l’adesione più rapidamente dell’Ucraina, chiudendo la “finestra di opportunità” per l’espansione dell’UE a est. Taras Kachka ritiene che Ucraina e Moldova debbano avanzare insieme, soprattutto alla luce della stretta cooperazione e delle sfide regionali condivise.

“Penso che questa dimensione regionale dell’allargamento sia importante sia dal punto di vista geopolitico sia per come Ucraina e Moldova possano collaborare. È così che cooperiamo nell’energia, nei trasporti e in molte altre aree”, ha detto Kachka.

Un’altra questione è se il processo di integrazione europea dell’Ucraina possa arrivare a una conclusione logica insieme alla Moldova o separatamente. L’Ungheria, potenzialmente la Polonia o qualsiasi altro paese dell’UE possono porre il veto alla chiusura dei capitoli negoziali, che richiede il voto all’unanimità. Sono previsti 35 capitoli, il che significa 35 opportunità per dire no o per rinviare il processo. 

Inoltre, tutti i parlamenti degli Stati membri devono ratificare il trattato di adesione, quindi nella fase finale può riaffacciarsi una “cartellino rosso”. Sebbene nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2025 la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen abbia sottolineato che il voto in politica estera dovrebbe passare dall’unanimità alla maggioranza qualificata, non è chiaro se il Trattato sul funzionamento dell’UE verrà riformato a breve e se i voti sull’allargamento rientreranno in tali modifiche.

Tuttavia, il successo dell’integrazione europea dipende anche dalla capacità dell’Ucraina di tenere la rotta e continuare a implementare riforme. Amanda Paul osserva che lo scandalo dell’estate scorsa, legato al tentativo di minare l’indipendenza degli organi anti-corruzione NABU e SAPO, ha inferto un colpo alla fiducia nell’Ucraina.

“Ha dimostrato che l’UE deve esercitare una linea dura ma costruttiva. Tuttavia, è importante che l’UE intensifichi il monitoraggio delle riforme e chiarisca che ci saranno costi per ulteriori passi indietro o per l’indebolimento delle riforme democratiche cruciali per il percorso di adesione”, sostiene Paul.

Perché il tandem Moldova-Ucraina conta ancora

L’idea di separare i percorsi di adesione di Moldova e Ucraina non è nuova. Non nasce a Budapest, anche se l’Ungheria utilizza il suo potere di veto per rendere l’opzione più appetibile in tutta l’Unione. La Commissaria all’Allargamento Kos ha sollevato la possibilità di un “disaccoppiamento” formale in un’intervista a RFE/RL questa primavera, e l’idea ha guadagnato terreno durante l’estate, come detto, dopo la controversa mossa di luglio del presidente Volodymyr Zelenskyy di limitare l’indipendenza degli organismi anticorruzione NABU e SAPO, decisione poi revocata.

Lo scandalo ha verosimilmente rafforzato i sostenitori del decoupling, riemerso con maggiore forza nell’agenda di Bruxelles. E non sarebbe senza precedenti: decisioni politiche simili sono già avvenute in passato, più recentemente quando all’Albania è stato consentito di avanzare con i negoziati mentre i veti della Bulgaria e della Grecia bloccavano la Macedonia del Nord.

Eppure, quando i ministri europei si sono riuniti in Danimarca all’inizio di settembre, l’opzione del disaccoppiamento è stata scartata. Almeno per ora.

Il ministro per gli Affari europei ceco Martin Dvořák ha chiarito che il mandato di Praga era opporsi all’idea del decoupling, insistendo sul fatto che Kyiv e Chișinău devono avanzare insieme per inviare un forte messaggio politico, e sottolineando la necessità di convincere l’Ungheria a togliere il veto sull’Ucraina. Il collega Joakim Strand, dalla Finlandia, è andato oltre, sostenendo che il primo cluster avrebbe già dovuto essere aperto per entrambi i candidati. 

Il tedesco Gunther Krichbaum ha inoltre evidenziato le più ampie implicazioni geopolitiche: l’allargamento, ha detto, non riguarda solo Ucraina e Moldova ma anche i Balcani occidentali, e solo un’Europa unita può offrire una risposta chiara alla Russia, alla Cina e perfino agli Stati Uniti. Pur riconoscendo la mancanza di consenso a causa dell’opposizione ungherese, Krichbaum ha insistito sull’urgenza di mantenere allineati i due vicini e di offrire all’Ucraina un sostegno visibile in un momento critico.

Gli esperti hanno fatto eco a questo scetticismo verso il disaccoppiamento. Steven Blockmans, associate senior research fellow presso il Centre for European Policy Studies (CEPS), avverte che dare priorità alla Moldova sarebbe un errore strategico, minando la solidarietà e la credibilità dell’UE, rischiando al contempo risentimento a Kyiv e disillusione nei Balcani occidentali. Accelerare Chișinău, sostiene, apparirebbe meno come una ricompensa per le riforme e più come una punizione per essere in prima linea nella guerra della Russia. 

Anche Nikola Xaviereff, project manager per i Balcani occidentali al DGAP’s Center for Order and Governance in Eastern Europe, Russia, and Central Asia, sostiene che la candidatura della Moldova sia profondamente legata alla spinta dell’Ucraina: sebbene il disaccoppiamento tra Albania e Macedonia del Nord nel 2024 abbia mostrato che un allargamento basato sul merito a volte può funzionare, la dimensione in Europa orientale è diversa. Senza l’Ucraina come motore, la Moldova potrebbe perdere rilevanza strategica e sostegno politico, rimanendo più esposta all’ingerenza russa e alla fragilità interna.

Altri esperti adottano una posizione più equilibrata. “Sarebbe preferibile che Moldova e Ucraina avanzassero insieme, ma non è essenziale”, ci ha detto Amanda Paul. Tuttavia, “senza integrazione nell’UE, la Moldova resterà più esposta alla pressione economica, politica e di sicurezza della Russia e a tutte le forme di interferenza ibrida. Nel complesso, qualsiasi ritardo rischia di incoraggiare le forze filorusse interne e di indebolire la sovranità della Moldova.”

La questione rimane dunque aperta, con possibili sorprese nei giorni che precederanno (o seguiranno) le elezioni moldave di fine mese. Ma per Kyiv, qualsiasi mossa per far avanzare solo Chișinău apparirebbe meno come pragmatismo e più come un tradimento; ancora più amaro, dopo tre anni e mezzo di retorica sulla difesa fronte orientale dell’Europa.

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Questo articolo è stato realizzato nell'ambito delle Reti tematiche di PULSE, un'iniziativa europea che sostiene le collaborazioni giornalistiche transnazionali

Immagine in anteprima: frame video euronews via YouTube

 

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