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Perché si continua a morire nel Mediterraneo

28 Febbraio 2023 7 min lettura

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Perché si continua a morire nel Mediterraneo

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Sono trascorsi quasi dieci anni da quando circa 600 persone persero la vita in due naufragi, il 3 e l’11 Ottobre 2013 al largo di Lampedusa. In quello dell’11 persero la vita almeno 60 minori, tanto che venne definita “la strage dei bambini”. Dal 2016, il 3 ottobre è stata istituita Giornata della memoria e dell’accoglienza, a monito che tali tragedie non si ripetessero.

Dal 2014, quasi oltre 26.000 persone sono scomparse nello stesso modo nel Mar Mediterraneo nel tentativo di raggiungere le coste europee, secondo i dati forniti dal progetto Missing Migrants dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM).

Mappa delle persone morte nel loro percorso di migrazione nel mondo dal 2014 ad oggi
via Missing Migrants Project

L’ultima strage è avvenuta all’alba del 26 Febbraio: decine di corpi sono stati trascinati dalle onde del mare in tempesta sulla spiaggia di Steccato di Cutro, in Calabria, dopo il naufragio di un peschereccio partito da Smirne, in Turchia, con oltre 200 persone a bordo. Sono oltre 60 i morti di quest’ultimo naufragio alle porte dell’Europa: tra loro molti bambini, anche un neonato.

In meno di due mesi, dall’inizio dell’anno, i morti di frontiera nel Mediterraneo sono già oltre 220 (dati OIM). Oltre 2.400 persone migranti sono scomparse nel Mediterraneo nel 2022: più di sei morti al giorno se si volesse fare una media. E questi numeri raccontano solo delle morti accertate, impossibile quantificare le vittime dei “naufragi fantasma” difficili da documentare.

Solo poche settimane fa altri 13 migranti erano stati inghiottiti dal mare al largo delle coste tunisine. A settembre 2022, una bambina di quattro anni era morta di stenti dopo che il peschereccio su cui viaggiava con la madre e altre 60 persone, partito dal Libano, era rimasto in avaria per dieci giorni, ignorato dalle autorità marittime competenti di Grecia e Malta, nonostante le richieste di aiuto. Nello stesso periodo almeno altre 90 persone avevano perso la vita dopo che un barcone si era capovolto al largo delle coste siriane, nel tentativo di raggiungere l’Europa.

A fronte di queste tragedie e di fronte alla conta delle morti in crescita nel Mediterraneo non può che risultare stridente l’ultimo decreto legge del governo Italiano in tema di immigrazione (1/2023) approvato il 23 Febbraio. Il decreto, a cui il Consiglio d’Europa ha contestato il rischio di violazione di diritti fondamentali dei migranti, ha introdotto nuove regole per il salvataggio dei migranti in mare effettuati dalle ONG, riducendo la possibilità di salvataggi multipli e introducendo sanzioni e provvedimenti amministrativi in caso di violazioni. Proprio due giorni prima del tragico naufragio al largo di Steccato di Cutro, il prefetto di Ancona aveva infatti imposto venti giorni di fermo amministrativo alla nave di ricerca e soccorso di Medici Senza Frontiere (MSF). Scelta che appare per lo meno infausta, considerando che la nave di MSF, da sola, ha portato in salvo più di 5.700 vite in meno di due anni di attività. Venti giorni di assenza dal mare potrebbero significare altre morti nel Mediterraneo centrale.

La nuova strategia del governo contro le ONG che salvano vite in mare

 

Se qualcosa è cambiato negli utlimi dieci anni, è la presenza nel Mediterraneo Centrale della “Civil Fleet”, la flotta civile di assetti di ricerca e soccorso finanziati e gestiti da associazioni, organizzazioni umanitarie, attivisti e privati cittadini che dal 2015 hanno soccorso migliaia di migranti in difficoltà. Da oltre sette anni non solo le imbarcazioni e i velieri di Iuventa, Sea-Watch, Open Arms, SOS Méditerrnée, MSF, Emergency, Aita Mari, ResQ, SOS Humanity ma anche gli assetti aerei di Pilotes Volontaires e il centralino per le segnalazioni di natanti in difficoltà di Alarm Phone collaborano in uno sforzo collettivo di coordinamento e pattugliamento del Mediterraneo Centrale per salvare vite, sopperendo al vuoto lasciato dall’Unione Europea e gli stati membri che dal 2014 si sono svincolati dagli impegni di ricerca e soccorso in acque internazionali, in favore di attività di monitoraggio e protezione delle frontiere.

Mare Nostrum, la missione militare ed umanitaria diretta del l’Italia tra 2013 e 2014, aveva infatti soccorso 159.362 migranti in un anno di operazioni di ricerca e soccorso in acque nazionali e internazionali, coinvolgendo mezzi della Marina Militare, della Guardia costiera, dell'Aeronautica e della Guardia di finanza. A fine 2014 il vento però è cambiato. 

Mare Nostrum si è conclusa il 21 Ottobre 2014 per lasciare spazio a una serie di successive operazioni militari con obiettivi di sorveglianza e difesa delle frontiere, lasciando sguarnito il Mediterraneo di un’attività coordinata e istituzionale di ricerca e salvataggio. 

Alla militarizzazione della frontiera meridionale dell’Europa, è coincisa anche la progressiva criminalizzazione degli attori della società civile, da parte dei governi degli Stati membri dell’Unione Europea. Se da un lato infatti singoli cittadini, attivisti, operatori umanitari negli ultimi anni sono stati oggetto di procedimenti penali per aver soccorso e assistito migranti alle frontiere in Italia, Grecia e Francia, le ONG nel Mediterraneo hanno visto le loro attività di ricerca e soccorso continuamente ostacolate da provvedimenti amministrativi, legislativi e legali, impedimenti burocratici, ritardi e lunghe attese nell’assegnazione dei porti di sbarco. Nel nostro paese, l’ultimo decreto legge sulla la gestione dei flussi migratori, il “cosiddetto” decreto ONG, è solo il più recente tassello di una strategia politica che sembra voler ostacolare le attività di documentazione, ricerca e soccorso delle ONG nel Mediterraneo. 

La condotta del governo sui salvataggi in mare è disumana. Anche secondo il diritto internazionale

 

Tuttavia migliaia di persone continuano a rischiare la vita pur di arrivare in Europa e la presenza di assetti di ricerca e soccorso è più che mai necessaria. I flussi migratori sono in crescita; la militarizzazione delle frontiere sta corrispondendo alla nascita di nuove rotte migratorie sempre più pericolose, più mortali. 

Le dichiarazioni di alcuni esponenti del governo italiano in seguito all’ultima tragedia del mare insistono sulla necessità di “contrastare con fermezza le filiere dell’immigrazione irregolare, in cui operano scafisti senza scrupoli che pur di arricchirsi organizzano questi viaggi improvvisati, con imbarcazioni inadeguate e in condizioni proibitive”. Queste le parole del Ministro Piantedosi, a cui ha fatto eco la Presidente del Consiglio Meloni: “È criminale mettere in mare una imbarcazione lunga appena 20 metri con ben 200 persone a bordo e con previsioni meteo avverse”. 

 

Nessun riferimento però viene fatto alle responsabilità politiche dei governi europei sulle partenze, ai fattori e alle motivazioni che spingono migliaia di persone a mettersi nelle mani di trafficanti e scafisti pur di partire. Nell’assenza di via legali e sicure, scafisti e trafficanti rimangono l’unica possibilità di cercare salvezza, e di questo sono responsabili i governi.

Povertà estrema, assenza di servizi di base come istruzione e cure mediche, corruzione e mancanza di prospettive professionali così come violenze di genere, persecuzioni, conflitti, deterioramento ambientale e condizioni sempre più ostili alle attività di sostentamento rappresentano i principali fattori di spinta alla migrazione di generazioni sempre più giovani, tanto dall’Africa Subsahariana quanto dall’Asia Centrale. L’assenza di alternative migratorie sicure, l’inaccessibilità a vie legali, corridoi umanitari e procedure agevolate aumentano esponenzialmente la mortalità delle rotte migratorie; da questa responsabilità i governi europei non possono esimersi. 

Come fermare le morti in mare. Proposte per una gestione diversa dei flussi migratori

 

Se negli anni passati migliaia di persone tentavano di arrivare in Europa attraversando il tratto di mare tra Turchia e Grecia, la rotta nel Mediterraneo Est viene adesso percorsa più frequentemente, ancora più pericolosa: almeno 900 miglia nautiche dalla Turchia o dal Libano verso l’Italia, su velieri o pescherecci sovraccarichi, per un viaggio che può durare oltre una settimana. È il tentativo di chi cerca di fuggire da paesi come l’Afghanistan, l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, la Siria o il Libano per non finire in Grecia nei centri chiusi ad accesso controllato per i migranti e i richiedenti o di non essere intercettati e respinti dalle autorità greche verso la Turchia. Nel 2022 quasi 16.000 persone sono arrivate in Italia attraverso questa rotta secondo i dati forniti dall’UNHCR.

L’aumento della mortalità migrante così come l’assottigliamento, fino all’annullamento dei diritti di migranti e richiedenti asilo sono ormai il corollario dell’inasprimento delle politiche migratorie e dell’esternalizzazione del controllo dei flussi migratori a paesi come la Turchia e la Libia.

Nel 2017 il governo italiano ha sottoscritto un accordo con le autorità libiche, finanziato e supportato dall’Unione Europea, che prevede la fornitura di assetti tecnologici, formazione e supporto tecnico agli apparati militari libici per il contenimento del flusso di migranti verso l’Italia. Più semplicemente, l’Italia e l’Unione Europea appaltano alla Libia il compito di tenere migranti e richiedenti asilo nel paese nord africano e di intercettarli in mare per riportarli indietro così che non arrivino in Europa. L’accordo si è rinnovato da allora ogni tre anni. Ma a quale prezzo? 

Perché i partiti devono impegnarsi in campagna elettorale ad annullare il Memorandum Italia Libia sui migranti

 

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Oltre ad almeno 44,5 milioni di euro di fondi europei, di cui l’Italia ha fornito di tasca propria circa 2 milioni, transitati verso i gruppi di potere libici sotto forma di forniture e supporto, questo accordo avalla un sistema diffuso e consolidato di sfruttamento, estorsioni, lavoro forzato, abusi, violenze, torture e trattamenti disumani e degradanti ai danni di migranti e richiedenti asilo in Libia. Inoltre, se si considera che lo stretto legame (talvolta persino di parentela tra milizie oggi al potere in Libia e i gruppi armati responsabili di trafficare migranti è stato più volte riportato e documentato, gli appelli alla lotta ai trafficanti di molti esponenti politici appaiono per lo meno incoerenti. 

La creazione di muri di muri e confini, la militarizzazione e l’esternalizzazione del controllo delle frontiere a discapito dei diritti umani, la criminalizzazione delle ONG e i tentativi di svuotare il Mediterraneo da chi salva vite stanno presentando il conto in vite umane perse. I cadaveri che continuano ad affiorare sulle coste del Mediterraneo mostrano con orrore il fallimento delle politiche migratorie europee che si stanno accartocciando su sé stesse, e invocano un cambiamento urgente.

Immagine in anteprima via RaiNews

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