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La copertura mediatica di un incidente stradale

12 Gennaio 2020 29 min lettura

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La copertura mediatica di un incidente stradale

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29 min lettura

Nella notte tra il 21 e il 22 dicembre, intorno alle 00:25 una Renault Koleos guidata da Pietro Genovese, con a bordo due amici, ha investito due pedoni, le sedicenni Camilla Romagnoli e Gaia Von Freymann, mentre attraversavano Corso Francia, a pochi passi da Ponte Milvio, a Roma.

Una tragedia la cui dinamica appare fin da subito poco chiara. Le due ragazze, riassumono inizialmente gli inquirenti, “attraversavano la carreggiata, oltrepassando il guardrail, da destra verso sinistra per senso di marcia dell’auto investitrice, presumibilmente senza fare uso dell’attraversamento pedonale”. “Presumibilmente”: a oggi, resta uno degli aspetti di cui si stanno occupando gli inquirenti, avvalendosi anche di una “maxiconsulenza” tecnica.

Ma ce ne sono altri. “A pochi metri dal punto in cui sono state investite c’erano le strisce pedonali, regolate da un semaforo che – sempre secondo le prime ricostruzioni – era verde per il suv che le ha investite”, ha scritto il Post, raccontando anche come, di nuovo secondo le ricostruzioni, il ragazzo sarebbe stato lanciato a una velocità di 70-80 km/h (in un tratto dal limite di 50), e che il test alcolemico ha inoltre dimostrato una quantità di alcol nel sangue superiore al consentito (1,4 g/l, si apprenderà, contro un limite di 0 g/l per i neopatentati come Genovese).

Non negativo anche il risultato dei test antidroga, anche se da subito si chiarisce che ciò non significa che Genovese abbia assunto sostanze stupefacenti di recente. Il gip infatti escluderà l’aggravante per droga, pur disponendo gli arresti domiciliari per il ragazzo.

La vicenda occupa le prime pagine dei quotidiani, le homepage dei siti d’informazione, i telegiornali ininterrottamente dall’alba del 22 dicembre al 7 di gennaio — e una prima domanda potrebbe essere molto semplicemente: perché?

Ma una seconda, e perfino più sostanziale, riguarderebbe non tanto il perché di una così ostinata copertura, ma il come.

Valigia Blu ha provato a ricostruire, in modo necessariamente incompleto e lacunoso ma comunque a nostro avviso significativo, come questo tragico incidente è stato raccontato agli italiani, giorno per giorno, in ordine cronologico.

Lo facciamo nella convinzione che non si tratti di una isolata e balzana eccezione, ma dell’espressione di quella che attualmente va configurandosi come la regola nella trattazione di notizie di attualità. Il tentativo è dunque dare testimonianza concreta, tramite questa sorta di “archeologia giornalistica”, delle modalità di funzionamento dell’ecosistema di produzione e diffusione delle notizie nell’Italia che entra nel nuovo decennio.

Al lettore il compito di trarne un giudizio.

***

22 dicembre

Alle 2:24 del mattino, l’Ansa batte la notizia della tragedia:

“++ Roma, due ragazze investite e uccise a Ponte Milvio ++
Tragedia nel cuore della movida, sul posto la municipale

(ANSA) - ROMA, 22 DIC - Due ragazze sono morte dopo essere state investite a Ponte Milvio, cuore della movida romana. Al momento non si conoscono ulteriori dettagli sull'incidente. Sul posto è intervenuta la polizia locale di Roma Capitale e il 118.”

L’agenzia precisa fin da subito che “la strada era bagnata dalla pioggia che è scesa copiosa sulla città già da ieri sera”.

Più tardi, in mattinata, si scopre che le due vittime avevano 16 anni: “+ ++Investite e uccise a Roma: vittime avevano 16 anni++ ++”.

A ora di pranzo un’agenzia sempre dell’Ansa riporta la testimonianza di un anonimo “amico” e “compagno di classe” di Gaia e Camilla. Secondo lui, “qui a Corso Francia corrono tutti e spesso passano col semaforo rosso”. Diventerà il fondamento per giorni di speculazione — prive di reale fondamento — sul “giochino” dell’attraversare la strada in quel punto. Scopriamo anche che “Gaia faceva sport, giocava a pallavolo”. Sempre l’Ansa riporta un’altra testimonianza — da cui apprendiamo che Gaia era “sorridente”, mentre Camilla “più timida” — il cui lancio titola: “viste poche minuti prima, erano felici”.

Nel pomeriggio “ricordano alcuni amici” che Gaia e Camilla erano “compagne di banco” e “amiche del cuore”. Continuano i dettagli caratteriali e personali, che evidentemente per l’agenzia rilevano al fine di comprendere la dinamica dell’incidente: “Gaia, figlia unica, era molto sportiva: prima faceva canottaggio e da qualche tempo giocava a pallavolo. Camilla aveva una sorella più grande, di circa vent’anni, ed era più timida e silenziosa”. “Sono morte a pochi metri da casa e dal liceo classico De Sanctis che frequentavano”. “Alcuni compagni di classe” raccontano ad AGI che le due erano “diverse ma complementari” e “si volevano tanto bene”.

Sul luogo dell’incidente, intanto, si moltiplicano i fiori, “soprattutto rose di colore rosa”, o anche “diverse rose, di colore rosa”.

Testimonianze multiple vengono raccolte anche su dettagli che si riveleranno in seguito problematici: “un residente in Corso Francia” dice all’AGI che i corpi delle due ragazze erano “lontani dalle strisce”. “Qualcuno racconta che le giovani avrebbero attraversato con il semaforo verde per le auto e non sulle strisce pedonali”, riassume LaPresse. Un altro “ragazzo” reperito sul luogo dell’incidente afferma che dopo l’impatto con l’auto di Pietro Genovese, “poi sono arrivate altre macchine, penso che almeno tre le abbiano colpite”.

L’Ansa riporta il parere del fondatore dell’Associazione Lorenzo Guarnieri Onlus, Stefano Guarnieri, secondo cui si tratta di un episodio all’interno di una “mattanza” di pedoni, una “guerra” che va fermata.

Vengono anche riportate le reazioni dei genitori delle vittime. Alle 17.33, l’Ansa fa questo lancio:

“++ Morte investite: mamma Camilla, avevamo tanti progetti ++”.

Al suo interno, si apprende che ““è stato il papà (di Gaia, “un ufficiale di complemento dei carabinieri in congedo”, ndr), costretto su una sedia a rotelle per un incidente stradale, a riconoscere la figlia”, racconta un amico di Gaia”. Quanto a Camilla, “il papà Marino lavora per una ditta di generi alimentari e, fatalità, da circa dieci anni rifornisce anche uno dei locali che affacciano proprio sul luogo in cui è avvenuto il terribile incidente”.

Viene fornita anche una prima descrizione di Pietro Genovese, di cui i media ancora non conoscono né lo stato di ebbrezza né i precedenti per uso personale di droga, che diventeranno poi cruciali nel caratterizzarne il profilo. Alle 18.56 del 22 dicembre, invece, l’Ansa ne parla così: “figlio del regista Paolo. Un dramma anche per lui e per la sua famiglia, nonostante sia rimasto indenne. Ex studente del liceo classico Mameli, amante del cinema e appassionato di rugby”, ha pubblicato “sul suo profilo Facebook diversi scatti che lo ritraggono sorridente in compagnia di amici e durante alcuni viaggi”.

Mezz’ora più tardi, si scopre che il ragazzo risulta “positivo agli esami alcolici e tossicologici”. Scrive però da subito Dire: “Solo i successivi esiti degli ulteriori esami, che perderanno nei prossimi giorni, potranno stabilire i parametri, tipologia ed il livello di sostanze rinvenute”.

A sera, Mario Tedeschini-Lalli denuncia un uso scorretto delle foto presenti sui profili social delle ragazze:

“In linea di massima l’uso di fotografie e materiali tratti da profili/account sui media sociali di protagonisti di fatti di cronaca, in particolare di vittime o persone accusate in eventi di cronaca nera, deve essere evitato o dovrebbe avvenire solo in casi eccezionali previa autorizzazione di una funzione direttiva della redazione (…)
“Prima di tutto, anche in questi casi le foto hanno degli autori che sono titolari di diritti morali ed economici. (…)
“Nei rari casi nei quali si decida per usare quei materiali, il giornalista deve farlo con grande parsimonia e con il massimo rispetto delle persone coinvolte, valutando con attenzione il valore informativo delle immagini che si riproducono. In particolare è sbagliato creare intere gallerie fotografiche con immagini di questo tipo.”

Nel caso specifico mi chiedo:

se l’opportunità di pubblicare queste foto sia stata discussa in redazione o sia stata presa in automatico;
se ci sia stato un tentativo di raggiungere i detentori dei diritti;
se, una volta deciso comunque di pubblicare foto delle giovani vittime prese dai loro account social, queste fossero le uniche disponibili, o se siano state scelte - proprio queste - tra altre, magari esteticamente meno “da modelle”.

Il giorno seguente, Tedeschini-Lalli sarà costretto a un aggiornamento:

“AGGIORNAMENTO/2 (23.12.19): ho appena appreso che le foto sono state riprese e fatte circolare dall’ANSA, con le indicazioni “Credit: ANSA” “Firma: Facebook”. !!!”

Intanto, alle 20:02 l’Ansa batte il riepilogo. E conclude: “Decine di mazzi di fiori sono stati lasciati da conoscenti e amici delle due ragazze sul luogo dell’incidente e anche un cappellino di Babbo Natale”.

23 dicembre

La notizia arriva sui giornali del mattino. Fabrizio Roncone ne scrive sul Corriere della Sera. Attacco: “Camilla e Gaia erano felici. Avevano progetti. Avevano 16 anni. A Natale bisognerebbe raccontare solo storie belle. Ma questa scena è delimitata da un nastro di plastica bianco e rosso”; chiusa: “Sono venuti a legare un Babbo Natale di peluche al guardrail. Ma non è Natale così.”

Repubblica titola: “Autista drogato”, tra virgolette in prima pagina. Federica Angeli scrive che Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, risulta “segnalato nei terminali come “possessore” di droga (nel corso di tre controlli nel 2016, 2017 e 2019 è stato trovato con hashish in tasca per uso personale)”. Positivo al referto “di narco e alcol test”, scrive, anche se “non si sa ancora il livello né la tipologia della sostanza rinvenuta”.

Maria Latella sul Messaggero scrive che “i dati dell’Asaps (Associazione amici e sostenitori della polizia stradale) sono feroci: tra ottobre e novembre, in Italia, 50 ragazzi sono morti per incidenti stradali. Cinquanta in due mesi. Come in una guerra”. Di Genovese scrive: “risultato positivo alla cannabis”. E continua a ribadire che è colpa delle droghe: “Fin quando si penserà che consumare droghe, pesanti o “leggere” (leggere ancora?) non abbia effetti sui nostri comportamenti”.

A mezzogiorno, AdnKronos riporta il parere espresso dal fondatore del Popolo della Famiglia, Mario Adinolfi, secondo cui “il contesto ricco di Roma Nord è particolarmente indulgente verso le droghe”. “Si parte dalla cannabis diffusissima tra i minorenni e si arriva agevolmente a mdma, ecstasy, fiumi di cocaina consumata dagli adulti. Se volete le cause della tragedia di corso Francia, eccole qua: affrontatele”.

Si parla, poi, anche di numeri.

Sempre il Messaggero ricorda: “Sulle strade otto morti al giorno. Pedoni, a Roma 43 vittime nel 2019”. E si legge: “Rispetto agli anni scorsi, che avevano visto un calo del numero dei morti sulle strade, il 2019 è stato un anno decisamente negativo. Perché dalle stime di Istat e Aci, basate sui dati preliminari relativi al primo semestre 2019, emerge che la mortalità stradale è in crescita, soprattutto sulle autostrade, dove si raggiunge un +25%”.

Quanto ai pedoni uccisi dai pirati della strada, “le vittime sono diminuite rispetto al 2018, ma la media è comunque allarmante: 82 incidenti al giorno. In tutta Italia e per tutti gli incidenti stradali, “emerge che nei primi sei mesi del 2019 sono leggermente diminuiti i sinistri con lesioni e feriti (rispettivamente -1,3% e -2,9%), mentre sono aumentate le vittime (+1,3%)”. Ancora: “rispetto al 2010 — quando si contarono addirittura quattromila vittime della strada — il calo degli incidenti mortali supera il 20%”.

Repubblica, accanto al pezzi di cronaca, ha un approfondimento che titola: “Un pedone ucciso ogni 14 ore. E la metà muore sulle strisce”. Il dato Istat-Aci diventa “un aumento di incidenti mortali in genere del 25 per cento nei primi sei mesi del 2019” (ma è solo sulle autostrade, come scrive il Messaggero, o “in genere”, come scrive Repubblica?, ndr).

Un terzo pezzo su Repubblica titola: “Gaia e Camilla, compagne di banco che a scuola prendevano tutti nove”.

Dettagli, reazioni, video, ricostruzioni sono ovunque.

Su fanpage.it c’è un video dal titolo: “Ragazze investite a Roma, il padre di Gaia: ‘Non ho più ragione di vivere’”

E ancora Fanpage ha una galleria fotografica intitolata: “la foto dell’ultimo campo scuola portata da compagni di classe”. Attacco del pezzo a supporto: ““Gaia e Camilla riposate in pace. Una parte di voi sarà sempre con me… oggi due anime del 3CL sono volate in paradiso e la classe non sarà più la stessa. Che da lassù possiate essere serene e vegliare su di noi". È la frase riportata su un bigliettino lasciato da una campagna di classe (e immortalato e pubblicato da Fanpage, ndr) sul luogo del terribile incidente nel quale Gaia e Camilla hanno trovato la morte”.

Dal pezzo scopriamo anche il contenuto dell’“ultimo messaggio ai genitori”:

“L'ultimo messaggio ai genitori, poi lo schianto
"Mamma, papà, stiamo tornando". Le due amiche avevano avvertito i genitori che erano dirette verso casa, ed entro breve sarebbero arrivate. La loro vita è invece finita su Corso Francia, poco dopo la mezzanotte”

Il tutto è anche in video.

Dello schianto il Corriere fa una ricostruzione 3D tramite Google Maps.

Askanews batte la notizia che è stata disposta l’autopsia del cadavere delle due giovani. Attacco: “Ci sono tanti fiori accanto al guardrail per Gaia e Camilla”.

Lancio AGI: “Sedicenni morte: striscione per Gaia e Camilla a Corso Francia”. Scopriamo che c’è scritto “Gaia e Camilla sempre con noi” e che “tantissimi amici sono andati sul luogo dell’incidente portando fiori, soprattutto rose rosa”.

Si diffonde poi notizia che il tasso alcolemico di Genovese era di 1,4 g/l a fronte di un limite di 0,5 (zero per un neopatentato). AGI scrive che “sul passato del 20enne ci sarebbero” — non è precisata la fonte del condizionale, né se si debba convertire in indicativo e perché — “anche due casi di possesso di droga”.

Alle 18.37, l’Ansa descrive il ritorno dei genitori di Gaia e Camilla “sul luogo in cui si sono spezzate, a soli 16 anni, le vite delle loro figlie”. “Davanti a loro”, si legge, oltre al già citato striscione anche “decine di mazzi di fiori, stelle di Natale, biglietti e anche un cuscino di peluche a forma di cuore con su scritto “TVTB””.

Alle 19.32 sempre l’Ansa smentisce le prime ricostruzioni: le ragazze “sono morte per lo sfondamento della scatola cranica”, mentre — come si legge nel titolo del lancio — non c’è “nessun segno di altri investimenti”. O almeno, così sembrerebbe, perché il corpo della notizia è molto più dubitativo: “Sul corpo sono state trovate altre fratture ma non segni di trascinamento il che farebbe supporre che le due ragazze, che sono morte sul colpo, non sarebbero state colpite da altre auto”.

AGI batte la stessa notizia: “== Sedicenni morte: autopsia, decesso per sfondamento cranio ==“.

Secondo Ansa, alle 19.59, la posizione di Genovese “si aggrava” per via dei riscontri su “alcool e stupefacenti”. Ma mentre lo stato di ebbrezza non appare in questione, sulle droghe si dice: “Evidenziata anche la “non negatività” ad alcune sostanze stupefacenti, ma su quest’ultimo aspetto, anche alla luce di alcuni farmaci che il ragazzo assumeva regolarmente, serviranno ulteriori esami per stabilire, viene sottolineato da fonti investigative, i “parametri, la tipologia e il livello di sostanze rinvenute”. Torna anche il condizionale sul passato: “Nel passato di Genovese ci sarebbero anche due episodi di possesso di droga, in relazione ai quali sembra gli sia stata sospesa la patente, restituita solo di recente”.

24 dicembre

Il Corriere scrive su carta che il ragazzo ha un tasso alcolemico di 1,4 grammi/litro (non avendo ancora compiuto 21 anni, il tasso alcolemico per legge sarebbe zero). E sarebbe risultato positivo “a più sostanze stupefacenti”, anche se “la positività non implica per forza lo stato di alterazione, perché l’assunzione potrebbe essere avvenuta anche alcuni giorni prima, lasciando tracce nel sangue”.

Per Repubblica, sarebbe risultato positivo a cannabis e cocaina. “Al giovane era stata sospesa per 15 giorni la patente lo scorso ottobre per un cumulo punti che aveva sommato (in negativo) con comportamenti alla guida poco corretti: multe per eccesso di velocità, sorpassi quando non era consentito, soste selvagge. Era anche segnalato come “assuntore” di droghe leggere: per tre volte era stato fermato, nel 2016, 2017 e 2019 dalle forze dell’ordine che lo avevano trovato con piccoli quantitativi di stupefacenti per uso personale, durante controlli avvenuti mentre era in strada a piedi. Sabato scorso però le negligenze stradali si sono sommate al consumo di droga. Un mix che ha generato una tragedia indelebile” (Federica Angeli — che in sostanza sostiene che il consumo di droga abbiano avuto un ruolo, ndr). Accanto, focus sul dolore delle famiglie: “Ho perso mia figlia. Non cervo vendetta, ma voglio giustizia”.

Segue approfondimento AGI dal lancio “Sedicenni morte: droga e no regole, quando sangue macchia movida”.

26 dicembre

Genovese è arrestato e gli viene disposta la custodia ai domiciliari. L’Ansa ripete che “nel passato di Genovese ci sarebbero anche due episodi di possesso di droga, in relazione ai quali sembra gli sia stata sospesa la patente, restituita solo di recente” (evidentemente, nonostante l’affermazione sia ripetuta al condizionale da giorni l’agenzia non ha avuto modo di verificare, ndr). E aggiunge: “A convincere i pubblici ministeri a chiedere la misura cautelare, infatti, ci sarebbe proprio la positività del ragazzo ai drug test”. Difficile crederlo, visto che il giorno dopo l’aggravante per droga salta.

27 dicembre

Repubblica titola: “Arrestato l’investitore di Gaia e Camilla. Salta l’aggravante della droga”. Scrive sempre Federica Angeli: “L’ordinanza con cui il gip ha deciso per i domiciliari è di 9 pagine e sono sostanzialmente due i motivi che hanno fatto scaturire la misura cautelare: l’alta velocità e la guida in stato di ebbrezza alcolica. Il giudice ha escluso l’aggravante della guida sotto effetto di stupefacenti, pur essendo risultato il ventenne positivo sia alla cannabis che alla cocaina, in quanto “non si sa se l’assunzione dello stupefacente fosse recente””. L’ordinanza parla di “stato confusionale e alito vinoso”.

Sotto, di nuovo approfondimento sulle reazioni delle famiglie. Questa volta il tenore è diverso: “L’ira della mamma. “Solo domiciliari? Meritava di peggio”.

Parte poi la copertura a reti unificate del funerale delle due ragazze. Rai News, in un pezzo dal titolo “Funerali a Collina Fleming: "Ciao angeli", l'ultimo saluto degli amici a Gaia e Camilla”, riporta le parole, durissime verso i giornalisti, dei genitori di Gaia:

"La morte di un figlio è talmente innaturale da aver reso la nostra condizione indicibile, è letteralmente qualcosa che non può essere detto. Anche per questo non abbiamo finora parlato con nessuno e oggi chiediamo rispetto per il nostro dolore e il nostro silenzio", dicono attraverso il loro avvocato Giulio Bongiorno, Gabriella Saracino e Edward von Freymann. "Quando troveremo le parole giuste parleremo e diremo la nostra sulle tante ricostruzioni che in questi giorni sono state diffuse dai media con troppa leggerezza. Per il momento, invitiamo alla prudenza e alla scrupolosità chi scrive di questa tragedia”.

Si apprende anche che “Le telecamere sono restate fuori dalla chiesa come richiesto dai familiari delle ragazze”. Rai News raggiunge comunque alcuni compagni di classe delle vittime presenti al funerale in un video dal titolo “I compagni di Gaia e Camilla: “Hanno lasciato un grande vuoto”".

Repubblica Tv, come molti altri, ha comunque il video dell’“arrivo delle bare bianche tra le lacrime di parenti e compagni”; “l'ultimo saluto dei genitori e degli amici sulle note di 'A te’”

Il Tg2 delle 13, nel servizio di cronaca, attacca a questo modo: “Due bare bianche, una accanto all’altra per l’ultima volta, come se si tenessero ancora per mano, entrano in una chiesa stracolma.” (le bare si tengono la mano?, ndr). Durante il servizio, si precisa che “Camilla, ha ricordato il sacerdote, aveva chiesto pochi giorni fa in famiglia quale fosse il senso della vita. Il senso della vita, ha concluso il sacerdote, non è bere o fumarsela”.

La notte prima del funerale, sempre Repubblica aveva pubblicato un altro video: “Roma, in preghiera per Gaia e Camilla. Le mamme dei compagni: "I nostri figli non dormono più””.

Nella stessa notizia scritta per il Corriere da Ilaria Sacchettoni non c’è menzione dell’esclusione dell’assunzione di droga come aggravante. Si ricordano però tutti i precedenti. A darne menzione è invece Fiorenza Sarzanini nel pezzo accanto: l’aggravante per droga è esclusa perché “non è in alcun modo provato lo stato di alterazione psicofisica dovuto all’uso delle droghe, infatti le sostanze riscontrate sebbene presenti ben potevano essere state assunte da Genovese in epoca precedente all’incidente”.

Lo stesso giorno, Libero scrive per voce del vicedirettore Pietro Senaldi: “I tossici al volante uccidono e lo Stato liberalizza la droga” (sulla decisione della Cassazione riguardo la coltivazione a uso personale di cannabis).

28 dicembre

Repubblica ha la notizia del funerale delle ragazze in prima pagina. All’interno: “Gaia e Camilla, l’accusa del prete: “La vita non è guidare sbronzi””. Foto della madre di Gaia che bacia la bara, del papà di Camilla che piange. Si riportano le parole di amiche e amici. “Cosa mi darebbe speranza? Vedere Pietro Genovese in carcere”, dice tale “Paola”. “Ma accanto Matteo scuote la testa”, e dice che “è una tragedia per tutti”.

In un’intervista, sotto, “l’amica Cecilia” dice: “Anche io ho attraversato a quel modo”. Che sia un vero e proprio “gioco”?

A tutta pagina, nella pagina accanto, lungo commento di Concita De Gregorio. Il tono è il seguente: “È un’ecatombe che ha il suono di un rumore di fondo, la roulette russa dei figli che escono di casa e non tornano”. C’è qualcosa che possiamo fare, si chiede, “per evitare che i nostri figli considerino la vita una specie di videogioco dove ogni azione si può mettere in loop, tornare indietro e rifarlo quando no, invece. È un attimo, non si torna indietro. Non hai tre vite, non ne puoi comprare online neppure una”.

Il Tempo scrive che altri “accertamenti” da parte dei “periti” sono in arrivo: un esame “di secondo livello” sui “cannabinoidi e la cocaina (di cui si hanno unicamente riscontri giornalistici, a quanto mi risulta, ndr) già rinvenuti nel sangue dell’indagato”, per capire se siano state consumate “la sera stessa dell’incidente” — cosa che secondo l’ordinanza del gip è invece esclusa.

Intanto il Messaggero parla di un “giochino del semaforo rosso”: «Lo chiamano il giochino del semaforo rosso e quando mia figlia e la sua amichetta me lo hanno spiegato dopo la morte di Camilla e Gaia, mi sono venuti i brividi. Si tratta di attraversare le due carreggiate di Corso Francia veloci mentre per i pedoni è rosso e per le auto che sfrecciano è verde, sfidando la sorte. Un gioco folle del sabato sera e non solo, in voga tra i giovanissimi di Ponte Milvio. Lo fanno per farsi grandi riprendendosi anche con gli smartphone, creando storie sui social che poi si cancellano nel giro delle 24 ore». A rivelarlo è M. L., 43 anni, un piccolo imprenditore del Labaro, quartiere a nord di Roma, le cui figlie, una sedicenne e l’altra ventenne, il sabato sera frequentano la zona dei locali non distante da Corso Francia. La più piccola è in contatto con la comitiva delle due liceali travolte e uccise una settimana esatta fa mentre attraversavano lo stradone con il semaforo pedonale rosso.”

Fonte dell’affermazione? Le figlie di “M.L.”: “«Quando domenica mattina - dice l’imprenditore - appresa le terribile notizia ho chiesto a mia figlia più piccola e a una sua amichetta che la sera prima erano state a Ponte Milvio “ma com’è possibile che sia successa una disgrazia del genere?” loro non erano affatto stupite. Anzi, mi hanno risposto: «Ma è il giochino, lo fanno tutti”». Il genitore non sa dire se anche Camilla e Gaia si fossero lanciate su Corso Francia per sfidare la sorte l’altro sabato notte quando il Suv le ha travolte, ma non si sente di escluderlo del tutto. «Quando gliel’ho chiesto a mia figlia, lei mi ha detto che era già andata via da Ponte Milvio a quell’ora, ma ha aggiunto che “lo fanno tutti, sempre”.”

Altra prova sarebbe un video di pochi secondi pubblicato online: “C’è un video girato dal passeggero di un’auto che passa a velocità moderata su Corso Francia, di giorno, all’altezza del distributore dell’Agip e del Mc Donald’s, a meno di trecento metri di distanza dal punto dove i corpi di Gaia e Camilla sono volati sull’asfalto, che dimostra come non fosse inusuale (nb: non “fosse usuale”, ma “non fosse inusuale”, ndr) scavalcare il guard-rail per tagliare da parte a parte lo stradone. Il passeggero riprende due ragazzini, sui 16/17 anni, coi giubbotti rossi e grigio, che, appena scavalcato il guard-rail centrale, correndo tra le auto che sfrecciano, finiscono di superare anche le ultime tre corsie della seconda carreggiata per approdare sul marciapiede.”

L’ipotesi, già in mostra in televisione (qui la testimonianza di un ragazzo, mantenuto anonimo, il 23 dicembre su Storie Italiane, Rai1) e su altri giornali sempre a partire da una testimonianza diretta, come per AGI) circola al punto che spuntano articoli per spiegare al pubblico il presunto fenomeno: per esempio su Open  (ma era stato lo stesso direttore di Open, Enrico Mentana, a commentare il “giochino del semaforo rosso” definendolo su Facebook “un risvolto davvero inquietante), e su Next Quotidiano .

Quest’ultimo linka a un video in cui si ripercorre — con musica strappalacrime — corso Francia alla velocità di 80 km/h, quella che con cui Pietro avrebbe investito le due ragazze. “Ecco cosa ha visto Pietro Genovese”, recita la descrizione del video pubblicato dal canale FoxLive.

Nel servizio “Gaia e Camilla, nessun gioco mortale”, il Tg1 indaga sentendo ragazzi di passaggio sul luogo dell’incidente. Per alcuni, “lo fanno”; per altri, invece, è solo “per fretta”, e “non è un gioco”.

Per Vittorio Feltri, direttore di Libero, le “responsabilità vanno divise tra tutti, ma a 16 anni a quellʼora si sta a casa”

29 dicembre

Repubblica dedica una pagina di cronaca al racconto dei “due giovani a bordo dell’auto di Genovese!”: “Davide ha urlato: Pietro fermati. Poi lo schianto, sembra un automa”. Sotto, intervista al giurista Azzariti sull’opportunità dei domiciliari.

Libero: “Pietro Genovese, il testimone chiave può alleggerire la sua posizione. “Cos’ho sentito gridare alle ragazze”

C’è poi un ulteriore “giallo”. Per il Tempo, “la verità” è “nei nuovi filmati”: quelli che “sono stati prelevati (…) dagli impianti di sorveglianza di alcuni esercizi commerciali”. Si legge: “I fotogrammi visionati dagli inquirenti a ridosso dei fatti non sono stati utili a ricostruire la dinamica dell’impatto. Tuttavia chi indaga ha deciso di prendere in considerazione anche altre telecamere. E non solo nella speranza che abbiano filmato il momento in cui Gaia e Camilla, tenendosi per mano, sono state uccise. Un filmato, anche precedente all’incidente, sarebbe utile per determinare con certezza la velocità a cui viaggiava Pietro, il figlio del regista Paolo Genovese.”

Open, in un pezzo dal titolo “C’è chi dice no. Corso Francia, troppa enfasi e troppa sociologia perché è successo a Roma?”, riprende alcuni dibattiti sorti su Twitter sulla copertura mediatica della tragedia e il fatto che “ci si è posti il problema di un’informazione romanocentrica, che ha coperto a tappeto la vicenda perché le era vicina in tutti i sensi”. Le molteplici critiche — di, tra le altre, Selvaggia Lucarelli e Barbara Carfagna — si concentrano in particolare sul titolo di apertura di Repubblica del 23 dicembre (“drogato”): “Nemmeno Libero”, sintetizza Mario Lavia. Risposta di Federica Angeli: “Persone che non hanno mai fatto un giorno di cronaca nera che danno lezioni di deontologia e di giornalismo su come andavano scritti pezzi e raccontati i fatti. Gente che con altri protagonisti non avrebbe esitato a fare irragionevoli commenti. Quanta ipocrisia, quanta. Troppa”. E ancora: “Ho avuto la sensazione che le tuttologhe opinioniste della qualunque abbiamo reagito male perché l’incidente non è avvenuto al Casilino con protagonisti stranieri. Due pesi e due misure nel giudicare gli articoli che da cronista mi indignano. Detesto l’ipocrisia”.

30 dicembre

Repubblica: “I nuovi testimoni: “Erano sulle strisce”. Acquisiti i video delle telecamere”. Inizialmente alcuni testimoni avevano affermato che una macchina si era fermata per far passare Gaia e Camilla nonostante fosse verde, comprendo la visuale a Genovese. Per Repubblica “ora tocca ai video” delle telecamere presenti sulla via. Saranno loro a dirimere: “Sarà la consulenza cinematica disposta dalla procura, dunque, a stabilire punto esatto e velocità”.

Messaggero: “Le indagini su Gaia e Camilla: non passarono sulle strisce” (ma erano sulle strisce come dicono i nuovi testimoni o no come dicono le indagini?, ndr). Qui le immagini sono già state vagliate e giudicate insufficienti: “le immagini raccolte dagli agenti della polizia locale nei sistemi di videosorveglianza di ristoranti, bar e attività commerciali (…) non hanno dato risposta (ma quindi non è vero che “ora tocca ai video”, ndr). Nulla che possa aiutare a rimettere insieme, al netto delle testimonianze raccolte, quei secondi drammatici”. E dunque la ricostruzione sarebbe quella originaria: “le due sedicenni non avrebbero raggiunto il semaforo attraversando regolarmente”.

Lo stesso giorno Giulia Bongiorno, ex ministro della PA nel governo Conte I e ora avvocato difensore dei genitori di Gaia, dice al Corriere: “questa tragedia si sta trasformando, giorno per giorno, in una fiction”.

“Si va alla ricerca spasmodica di novità, di dettagli a effetto. Proliferano testimoni mediatici che raccontano fatti spesso in contrasto tra loro. E ogni elemento, nonostante le contraddizioni, viene amplificato come fosse la verità”. “(…) c’è chi ha addirittura inventato di sana pianta una sorta di “roulette russa” stradale”. “(…) resistete alla tentazione di trattare queste ragazze come i personaggi di una fiction”.

Le critiche si moltiplicano.

E un commento dello stesso tenore giunge dall’Osservatore Romano: “Ci siamo chiusi nel salotto buono delle nostre convinzioni, del nostro pedagogismo fuori tempo massimo, del solito giornalismo voyeuristico, dell’affrettato giustizialismo da quattro spiccioli”. Insomma, “Avvocati, giornalisti, pedagogisti da bar hanno riempito il vuoto di questi giorni con un ciarlare disperato”.

Sempre Repubblica invece ha un pezzo di apertura intitolato così: “Fiori, pianti, biglietti. E il guardrail di Gaia e Camilla diventa un altare”. Attacco: “I lumini, i rosari, i biglietti, le foto, i fiori, i giocattoli. Nella notte gelida il guardrail sembra un altare. Strano altare di strada e di sogni spezzati.”

Ma soprattutto, nella pagina accanto si legge che gli incidenti sono in diminuzione: “Incidenti, ecco i veri dati. Le stragi del sabato sera sono in diminuzione”.

31 dicembre

Repubblica dedica ancora una pagina al caso, come ogni giorno dal 23 a questa parte. Questa volta è il legale difensore della famiglia Romagnoli a sostenere che il semaforo della scena del delitto “non diventa mai giallo”: “Dal verde passa direttamente al rosso, limitandosi a lampeggiare per poco più di 3 secondi e mezzo prima di cambiare colore” (a riprova della sua tesi, Repubblica riporta anche il “video dell’avvocato dei Romagnoli”). Secondo la difesa delle ragazze, insomma, è vero che Genovese aveva semaforo verde, ma è altrettanto vero che lo era anche per le ragazze quando hanno cominciato ad attraversare la strada.

Diverse testimonianze vengono riportate, contraddittorie: per alcuni, hanno attraversato “in mezzo alla strada”, per altri sulle strisce pedonali. Si riporta che l’Osservatore Romano ha “bacchettato un certo “giornalismo voyeuristico””.

Repubblica dice anche che il regista Genovese, padre del ragazzo incriminato, avrebbe scritto ai genitori delle due ragazze. Cosa? Non viene detto, perché lo stesso Genovese ha chiesto anche ai suoi legali di non diffonderne il contenuto: “È un gesto di dolore troppo privato, troppo intimo per poter essere raccontato”. Ma Federica Angeli può comunque dirne qualcosa: “Persone vicine al regista sanno che quelle due missive, identiche, sono il frutto della sofferenza di un uomo, di un padre che non intende sottrarsi ad alcuna responsabilità.”

1 gennaio

Il Giornale fa un primo bilancio delle testimonianze raccolte: “Una tragedia piena di chiaroscuri, funestata da dichiarazioni e smentite talvolta contrastanti. A parlare sono, ancora una volta, i testimoni dello schianto fatale alle due giovani romane. Otto, in totale, sarebbero le persone ascoltate dalla Polizia municipale subito dopo l'impatto e solo due avrebbero confermato che le ragazze stavano attraversando sulle strisce. Ma soltanto il prosieguo delle investigazioni, a torto o ragione delle parti in causa, potrà definire con inequivocabilità le dinamiche esatte dell’accaduto.”

2 gennaio

SkyTg24 lancia la copertura mediatica del giorno: “attesa per l’interrogatorio di Genovese”.

Repubblica pubblica un video che illustra, seguendo dall’interno di una vettura la strada percorsa da Genovese prima dell’impatto con le due ragazze, lo “scontro sulla dinamica” dell’incidente: “le vie, le strisce pedonali e il semaforo anomalo”

La caccia investigativa collettiva a ciò che non torna campeggia anche in un pezzo di Open, che su Twitter viene annunciato così: “A quale velocità viaggiava la sua auto? In che punto precisamente stavano attraversando Gaia e Camilla?”

Quando poi Genovese viene interrogato dal giudice, il sito del Corriere della Sera ne fa il titolo di apertura: “Pietro Genovese interrogato dal giudice: “Sono partito con il verde””. Accanto, “le immagini”. Ovvero, una photogallery della tragedia, accompagnata da un testo che recita una sequela di “forse”: “L’autista, Pietro Genovese, figlio del regista Paolo, un ragazzo di 20 anni sotto choc e sottoposto a tutti gli esami di rito, si è subito fermato a prestare soccorso (altre testimonianze sostengono che la macchina si sia semplicemente fermata poco più in là, ndr). Da chiarire le dinamiche dell’incidente: in quel momento sulla Capitale si stava abbattendo un nubifragio, quindi forse l’autista aveva una visibilità ridotta. Dalle prime ricostruzioni sembrerebbe che l’auto sia passata col verde e che le ragazze abbiano scavalcato il guard rail per attraversare. Sequestrato il cellulare di Genovese: forse era al telefono”.

Riporta Repubblica: “Questa è una tragedia per tutte e tre le famiglie coinvolte. Pietro Genovese non è il killer che è stato descritto e merita rispetto e comprensione come le famiglie delle due ragazze", hanno detto gli avvocati di Genovese, al termine dell'interrogatorio di garanzia.”

Titolo del sito di Libero: ““Sconvolto e distrutto”. La confessione di Genovese: cosa è successo quella notte”. All’interno del pezzo, non viene affatto spiegato “cosa è successo quella notte”.

Le foto, sia per le vittime che per Genovese, sono sempre quelle prese dai profili social dei ragazzi.

3 gennaio

Verrà disposta una “maxiconsulenza” per ricostruire la dinamica dell’incidente, scrive Rai News. “La consulenza tecnica punterà, in primo luogo, a chiarire la velocità a cui procedeva l'auto, il punto preciso dell'impatto con le due ragazze e se fossero sulle strisce pedonali. Verifiche anche sul funzionamento dei semafori (cioè per tutti quegli elementi che a vario titolo si sono dati per assodati nelle discussioni precedenti, e che hanno contribuito in modo decisivo, specie nelle prime ore, a indirizzare i giudizi sui media e nell’opinione pubblica rispetto alle vittime e a Genovese, ndr). Per quanto riguarda l'attività istruttoria nei prossimi giorni verrà ascoltato dagli inquirenti uno degli amici di Genovese che era a bordo dell'auto. In calendario anche l'audizione dell'automobilista che era a bordo di una Smart e che riuscì ad evitare le due 16enni che stavano attraversando”. La saga, insomma, continua.

4 gennaio

La notizia della “maxiconsulenza” finisce in prima pagina sul Messaggero, e in pagine interne su altre testate. Sia il Messaggero, che la definisce “perizia sulla velocità”, che Repubblica, che sul cartaceo titola sul “giallo sulla velocità dell’auto”, si concentrano su un aspetto che sembrava dato per acquisito già nella prima ricostruzione del gip, in cui si parlava della velocità del veicolo di Genovese come di uno “specifico addebito di colpa”: “un’andatura entro i limiti previsti e adeguata allo stato dei luoghi avrebbe verosimilmente evitato le tragiche conseguenze dell’impatto tra il suv e le due povere vittime”. Questa presunta certezza, oggi smontata dalla necessità di una “maxiconsulenza tecnica”, aveva giustificato giudizi sulle colpe di Genovese fin dalle prime ore in cui è stata data la notizia.

Scrive Repubblica: “Il procuratore aggiunto Nunzia D’Elia e il pubblico ministero Roberto Felici vogliono capire innanzitutto a che velocità viaggiava Genovese”. Per avere il parere degli esperti, aggiunge, “ci vorranno una sessantina di giorni”.

Nel dare la notizia, il Corriere della Sera in edicola scrive: “Fra le persone ascoltate in un primo momento dagli agenti della polizia municipale c’è anche chi ha tentato una stima più precisa” della velocità del veicolo di Genovese, “e ha parlato di ottanta chilometri orari, ossia trenta sopra il limite in quel tratto”.

Sia Corriere che Messaggero titolano tuttavia su un “possibile incontro” tra famiglie delle vittime e di Genovese. Ma “nessuna data fissata nel calendario”, specifica il quotidiano romano.

5 gennaio

“Saranno necessari almeno due mesi perché periti e consulenti di parte facciano chiarezza sulla dinamica dell’incidente”, attacca il Messaggero nell’edizione cartacea, spiegando nel dettaglio come gli inquirenti dovranno vagliare l’accaduto: “La polizia municipale ha già verificato che, sul luogo dell’incidente, non c’erano tracce di frenata”. Di conseguenza, “i calcoli, per stabilire la velocità di marcia del Suv, ora sotto sequestro, non potranno quindi basarsi sui segni rimasti sull’asfalto, ma, partendo dal tipo di danno sull’auto, dal punto in cui sono stati sbalzati i corpi e anche dal luogo esatto in cui si è fermata la Renault dopo l’impatto, indicheranno la velocità dell’auto al momento del drammatico incidente”.

“Gli accertamenti”, spiega con ulteriore dovizia di dettagli il Messaggero, “sarebbero stati più semplici se la Renault Koleos, intestata a una concessionaria della provincia di Milano e in comodato d’uso a Pietro Genovese, il regista, papà del ragazzo, fosse dotata di una scatola nera, circostanza che non è ancora stata verificata”.

Lo stesso giorno, il Corriere della Sera in edicola dedica una pagina a firma Antonio Polito e richiamata in prima, dal titolo “Corso Francia e i non luoghi dove vive Roma”. L’attacco è il seguente: “La cosa più incongrua nella tragedia di Corso Francia a Roma è che le due ragazze corressero tenendosi per mano. Una scena così, due adolescenti mano nella mano che tornano di fretta a casa nella notte, è talmente delicata, letteraria, che uno se la immagina altrove”.

“Roma, su Corso Francia un murale in ricordo Gaia e Camilla”, scrive poi il sito di Repubblica. Svolgimento: “Mano nella mano come quella maledetta sera. Su Corso Francia è apparso un murale dedicato a Gaia von Freymann e Camilla Romagnoli, le due sedicenni investite e uccise la notte tra il 21 e il 22 dicembre 2019. A realizzarlo sono stati gli amici delle due ragazze che da più di due settimane si incontrano accanto al luogo dell'incidente portando peluche, bigliettini, foto e fiori. Si sono dati appuntamento in mattinata, l'idea di disegnare qualcosa a ricordo delle due ragazzine, era nell'aria. Da giorni stavano decidendo come e quando farlo: prima hanno imbiancato la parete della rampa dove è avvenuto l'impatto e poi tratteggiato un grande cuore e le due amiche che si tengono per mano così come stavano attraversando la strada quel sabato notte quando il Suv le travolse uccidendole sul colpo”

6 gennaio

Le notizie su Gaia e Camilla scompaiono dai giornali, solo per diventare sinonimi, metafore di una situazione che i giornali dipingono come di estrema emergenza. A dimostrarlo, il caso di Valle Aurina, dove un altro autista “molto ubriaco”, come lo definisce sul cartaceo il Corriere della Sera, travolge e uccide sette persone (in quel momento sono sei). La sera prima ne aveva anche pubblicato un profilo sul proprio sito, insieme a una foto data come “esclusiva”, lanciato in home a questo modo: “Il 27enne sul bolide da 200 cavalli: chi è Stefan, che ha travolto i ventenni (e voleva togliersi la vita)” — attualmente titolato “Valle Aurina, chi è Stefan Lechner, l’uomo alla guida dell’auto che ha travolto i sei ragazzi a Lutago” ().

Il Corriere, dopo avere dato notizia della tragedia, generalizza in un commento di Beppe Severgnini intitolato “Perché non riusciamo a fermare la strage dei pedoni indifesi”, che racconta di una vera e propria “strage silenziosa”. Severgnini scrive: “Se di Gaia e Camilla, le sedicenni travolte e uccise a Roma, ha parlato e parla ancora tutta Italia, di altri episodi conosciamo poco o nulla”. Significa che dovremmo trattare tutti gli omicidi stradali con la stessa evidenza della tragedia di Corso Francia?

La risposta sembra affermativa perché, durante la giornata, le homepage si riempiono di altri casi di pedoni investiti da autisti “ubriachi”. La homepage di Repubblica mette in fila “Senigallia, due donne investite e uccise fuori dalla discoteca da un ubriaco” e “La folle corsa di Stefan: ha travolto 6 ventenni mentre andava dalla ragazza che l’aveva lasciato. “Voglio uccidermi””. Il pezzo di cronaca a supporto titola “Auto su pedoni: morti sei 20enni e altri feriti. Alcolemia 4 volte oltre limite”. E ancora un terzo pezzo. “Il racconto. L’italiana ferita: “C’erano corpi ovunque, sembrava una scena di guerra”.

Nello stesso momento, in apertura c’è un’altra notizia riguardante un investimento: “Imola, investe e uccide un uomo perché aveva rubato cellulare al figlio: arrestato”.

Il Corriere pubblica anche un pezzo che indaga nelle vite delle vittime, e ne riporta le foto — senza attribuzione, e presumibilmente prese dai profili social dei ventenni uccisi in Alto Adige. Titolo: “Julius voleva fare il calciatore, Rita studiava medicina: le vittime dell’incidente di Lutago.” E poi: “La comitiva, il buio, la corsa: ricostruzione”. Una ricostruzione anche grafica che per alcuni ricorda i famigerati “plastici” di Bruno Vespa. Il disegno scelto dal Corriere per condividere la notizia su Facebook vede i corpi disegnati rimbalzare sul cofano come birilli.

Alla notizia della settima vittima, il sito del Corriere titola: “Valle Aurina, i morti ora sono sette. Julia Sophie, l’ultima vittima dell’incidente”, al cui interno si apprende: “A Chienes il clima è di completa chiusura. Appena sentono avvicinarsi i giornalisti si chiudono a riccio e iniziano a inveire contro la stampa. «Non c’è niente da dire» sbraita un energumeno barbuto seduto ai tavoli del bar Karo’s, proprio di fronte a casa di Stefan Lechner”.

A supporto, una galleria fotografica intitolata “I rottami dell’auto dopo l’impatto: le foto”.

Accanto al profilo di Lechner, appare poi un pezzo intitolato con un virgolettato: “Non avevo capito di aver bevuto tanto, ho provato a rianimarli”, in cui si racconta “La telefonata di Stefan Lechner all’avvocato qualche istante dopo la tragedia: «Ti prego aiutami»”. All’interno si legge: “Mani insanguinate dai vetri della sua auto in mille frantumi dopo lo schianto, in camera da solo e senza poter vedere nessun altro che il legale, Stefan gli ha raccontato di aver capito subito di aver provocato una strage”.

7 gennaio

Ormai sui giornali è allarme guidatori ubriachi al volante. Le prime pagine ne traboccano (di nuovo). “Contro le stragi dell’alcol le sanzioni non bastano”, scrive Avvenire. “Alcol al volante, strage costante”, scrive Libero, sempre in prima pagina. “Ubriaco falcia due donne, così la legge non serve”, ha in prima il Giornale. “Le stragi non si fermano”, annuncia il Messaggero, in prima pagina. Il Corriere della Sera, last but (absolutely) not least, racconta sempre in prima pagina “Le vite perdute dei ragazzi investiti”, e precisa, fin dal sommario, che “Janine aveva da poco sconfitto il cancro. Giulia, la settima vittima” della tragedia di Valle Aurina, “giocava a basket”.

Il sito del Corriere riporta, nel corso del giornata, anche una “fotosintesi” di Beppe Severgnini dal titolo “Si può bloccare il guidatore ubriaco? Certo, basta volerlo”. Alle spalle di Severgnini, l’auto distrutta dopo l’investimento e uccisione di sette persone in Valle Aurina. Attacco: “Questa non è un’auto, è una bomba”.

9 gennaio

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Nel pomeriggio, il sito di Repubblica dà notizia di un “protocollo d'intesa tra il Viminale e l'Anci per rafforzare i controlli e la sicurezza stradale”. Scrive il giornale, col titolo “Stragi del sabato sera, i controlli sulle strade alla polizia municipale. Etilometri usa e getta e pattuglie vicino alle discoteche”: “Troppe giovani vite spezzate negli incidenti stradali del fine settimana. Un'emergenza alla quale la ministra dell'Interno Luciana Lamorgese intende provare a dare una risposta urgente anche attraverso la firma di un protocollo d'intesa con l'Anci che prevede innanzitutto l'affidamento del controllo della viabilità alle polizie locali, soprattutto con pattuglie nei pressi di discoteche e punti di aggregazione”. “Ai rischi prodotti dal consumo di alcool o droghe”, dice il presidente Anci, Antonio De Caro, “si è aggiunto quello della distrazione da cellulare alla guida. E a farne le spese sono inevitabilmente gli utenti più deboli della strada: pedoni e ciclisti”. Lamorgese aggiunge: “Occorre una risposta urgente e concreta”.

Il 30 dicembre, come già riportato, Repubblica aveva scritto: “Le stragi del sabato sera sono in diminuzione”.

Foto di engin akyurt via Pixabay

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