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Le agenzie ai tempi di twitter: @Reuters_Italia vs @fgoria. Cosa dice la legge

23 Febbraio 2012 6 min lettura

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Le agenzie ai tempi di twitter: @Reuters_Italia vs @fgoria. Cosa dice la legge

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Bruno Saetta
@valigiablu - riproduzione consigliata

La recentissima querelle tra l'agenzia Reuters ed il giornalista finanziario Goria ha innescato un dibattito in rete riguardo la liceità della diffusione di notizie tramite tweet. Il dibattito si è svolto tramite varie declinazioni, ma appare comunque stranamente incentrato sulla presunta violazione del diritto d'autore.

La vicenda è semplice: il giornalista finanziario viene accusato dalla Reuters di pubblicare illecitamente, tramite il suo account Twitter, i lanci dell'agenzia riservati ai clienti paganti. Goria, che ha al suo attivo circa 15mila follower, incorpora nei suoi messaggi il lancio di agenzia inserendo il link all'articolo o citando la fonte. Egli, inoltre, prende le notizie da un account basic, per i quali non vi è alcuna anticipazione, anzi le notizie vengono pubblicate contestualmente alla diffusione sul sito, per cui il reporter si difende dalle accuse sostenendo di non "rubare", prima perché non anticipa nulla, e poi perché cita la fonte (quindi ne farebbe anche pubblicità), e non fa altro che riproporre ai suoi follower contenuti già di dominio pubblico. (Qui lo storify di Gabriele Orsini)

Precisiamo fin da subito che la Reuters poi ha porto le sue scuse al giornalista, come da lui stesso twittato, ma questo non ha placato il dibattito "legale" in rete.

Sgombriamo il campo da qualche equivoco, non si tratta di retweet che sono assolutamente leciti in quanto l'utente (anche azienda) che si iscrive al noto social, accetta espressamente tale forma di diffusione dei contenuti immessi. Si tratta di messaggi presi dall'abbonamento Reuters, inseriti su Twitter spesso per la prima volta.

A tal proposito si è subito adombrata l'applicazione dell'articolo 101 della legge 633 del 1941 (legge sul diritto d'autore), che vieta la diffusione di lanci di agenzia, senza autorizzazione, prima che siano trascorse 16 ore dalla diramazione del bollettino, ed anche la diffusione sistematica di notizie a fine di lucro.

In realtà nel caso specifico, data la limitazione di caratteri prevista da Twitter, non si ha una divulgazione completa della notizia o del lancio di agenzia, quanto piuttosto viene diffuso il titolo oppure una breve descrizione dell'articolo.

Si potrebbe dire che siamo in presenza di una sorta di rassegna stampa, laddove il termine deve essere inteso, secondo la Convenzione di Berna, come un insieme di citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata allo scopo. È evidente che la sola rassegna stampa cosiddetta"parassitaria", cioè la riproduzione integrale degli articoli, deve ritenersi illecita, mentre l'elencazione o citazione di articoli (abstracts) con un denominatore comune è lecita in quanto non configura alcuna concorrenza sleale, poiché la testata citata non ne risulta danneggiata, ma anzi usufruisce di una forma di pubblicità.

In questo caso, però, non si tratta di una vera elencazione di articoli, quanto piuttosto di una serie di messaggi (tweet) più o meno lontani nel tempo.

Ciò che probabilmente chiede la Reuters appare non tanto una rivendicazione di un diritto autoriale, quanto piuttosto una tutela contro forme di eventuale concorrenza sleale. Probabilmente pretende che la citazione avvenga non tanto ai flash d'agenzia quanto al sito ufficiale, dove del resto le notizie apparivano in contemporanea con l'account basic. In tal modo sicuramente non c'è alcun problema di citazione.

Non si tratta, quindi, di stabilire quanto la notizia in sé diventa di pubblico dominio, e quindi è citabile (o twittabile se preferite), perché sulla notizia in sé non esiste né può esistere mai alcun diritto autoriale (il diritto sorge casomai sulla forma con la quale la notizia viene diffusa), e non sembra che la Reuters abbia intenzione di limitare alcuna forma di citazione o comunque uso degli hyperlink online.

Il punto nodale è che con l'attività del giornalista finanziario gli utenti di Twitter avrebbero avuto accesso ai contenuti dell'abbonamento Reuters, in modo gratuito, per cui, sempre a detta di Reuters, si poteva innescare una forma di concorrenza sleale.

Stranamente, quindi, la twittersfera si è scatenata impropriamente sulla violazione del diritto d'autore.

Come abbiamo precisato, si tratta di persona che esercita attività giornalistica professionale, e la sua posizione non è in alcun modo paragonabile con le usuali attività svolte da un internauta, cioè linkare, twittare e condividere. Il paragone non regge come non hanno senso le dichiarazioni degli internauti che, indispettiti dalla vicenda, sostengono di ritwittare “BBC, CNN e Ansa”, e di rilanciare “agenzie e tutto il resto”, ma “se lo fa un giornalista affidabile e stimato la cosa darebbe fastidio a qualcuno”.

In effetti il punto è proprio quest'ultimo, il fatto che a farlo sia non un utente qualunque ma un soggetto che svolge la sua attività forse in concorrenza.

Ovviamente, sia chiaro che queste considerazione non sono rivolte al caso singolo, per il quale non siamo assolutamente competenti ad entrare nel merito, ma sono valutazioni generali per inquadrare il problema.

Il presupposto della configurabilità di un atto di concorrenza sleale è la sussistenza di una situazione di concorrenzialità, e la conseguente idoneità della condotta di uno dei concorrenti di arrecare pregiudizio all’altro, pur in assenza di un danno attuale. Secondo la Cassazione è sufficiente il contemporaneo esercizio di una medesima attività in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune per integrare astrattamente tale situazione. Ovviamente in rete l'ambito territoriale è comune per definizione.

Secondo la giurisprudenza, quando la riproduzione di articoli avviene nell'ambito dello stesso ramo di attività (giornalistica) si può sempre applicare la normativa sulla concorrenza sleale (artt. 2595 e ss. c.c.) in quanto non è concesso sfruttare l'attività altrui rendendo più agevole e proficua la propria (trib. Genova sentenza del 3 dicembre 1997). Per lo scopo di lucro, esso è stato ritenuto sussistente anche quando l'effetto dell'attività di riproduzione è solo la riduzione (sottrazione) del guadagno della testata giornalistica da dove vengono presi gli articoli. Il creare una rassegna di articoli che evita di andarseli a cercare sulla testata originale determina una riduzione delle possibilità di vendita della rivista, e la lesione può configurare  un atto di concorrenza sleale, come ha sostenuto il tribunale di Milano (trib. Milano ordinanza 8 aprile 1997) giudicando il caso di una società che pubblicava in tempo reale, ossia contemporaneamente all’uscita di quotidiani e riviste, gli articoli e le informazioni che specificamente interessavano i suoi clienti. Infatti, l'estrema diffusibilità della rete consente generalmente di ritenere configurata la concorrenza e quindi un evento dannoso consistente nello sviamento di clientela (trib. Milano sentenza 8 febbraio 2002).

Le premesse giurisprudenziali che stanno alla base delle pronunce in materia sono che internet (e quindi Twitter) è un mezzo di riproduzione come gli altri, non differente.

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Quindi, nel caso specifico quello che mancherebbe sarebbe la sistematicità della riproduzione dei contenuti e ci sarebbe da verificare se le parti possono ritenersi davvero in concorrenza tra di loro, alla luce di quanto sopra precisato, considerando probabilmente irrilevante la differenza grandezza dei due contraddittori, ma valutando l'idoneità della condotta.

 Appare di solare evidenza, però, che si tratta di ben altro argomento rispetto a quanto impropriamente discusso su Twitter, non stiamo parlando semplicemente di libertà di espressione o del sacrosanto diritto di manifestazione del pensiero, casomai esplicitato con un semplice tweet, quanto piuttosto ci troviamo nel campo dell'utilizzo commerciale o di lucro. Una cosa è difendere a spada tratta il diritto degli internauti di diffondere notizie, informazioni, opinioni e critiche, per partecipare al dibattito pubblico e democratico, per contribuire alla formazione delle pubbliche opinioni, o semplicemente per diletto; tutt'altra storia è se si tratta di realizzarci sopra una carriera od attività professionale. 

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