Chi è Kirill Dmitriev, l’uomo di Putin cresciuto in California inviato per trattare la pace
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«Probabilmente lo avrà ricevuto da K.» - una frase, pubblicata forse per errore dall’inviato speciale di Donald Trump per i rapporti con Mosca, Steve Witkoff, su X e cancellata poco dopo (ma ormai già fissata dagli screenshot del giornalista americano Michael Weiss), testimonia come attorno alla figura di Kirill Dmitriev, a cui la K. si riferiva, vi sia una certa riverenza: il direttore del Fondo sovrano d’investimenti russo, rappresentante del Cremlino per le relazioni Oltreoceano, è riuscito in questi mesi a metter nell’ombra il ministero degli Esteri e un personaggio particolarmente rilevante quale Sergei Lavrov e ad emergere come il vero punto di riferimento nelle prove tecniche di negoziato tra Mosca e Washington. Un’ascesa repentina quella di Dmitriev, al di fuori dei canali ufficiali della diplomazia russa, che tra entusiasmi e malumori ha segnato questi tentativi di riavvicinamento, con un costante lavoro mai interrottosi anche quando tra Trump e Putin vi è stato l’allontanamento seguito al vertice di Anchorage, naufragato tra buone intenzioni e annunci roboanti.
Da Kyiv a Mosca, passando per Stanford: il giovane Dmitriev
Classe 1975, Kirill Dmitriev è nato a Kyiv e almeno fino al 2000 ha avuto la cittadinanza ucraina (secondo alcuni media ucraini sarebbe ancora in possesso del passaporto), figlio di un importante biologo, Oleksandr, già membro dell’Accademia nazionale delle scienze d’Ucraina e direttore del Laboratorio immunologico botanico, è stato uno di quei ragazzi sovietici che ha visto il proprio destino definito dall’apertura seguita alla perestrojka: nel 1989, a soli 14 anni, si trasferisce in California al Foothill College grazie a uno dei primi programmi di scambi scolastici.
Una “fortuna” particolare, legata al ruolo di Oleksandr Dmitriev nell’apparato del Partito comunista dell’Unione Sovietica, dove era responsabile del settore delle scienze esatte del Comitato centrale ucraino: K. è un rampollo di quel settore dell’establishment sovietico che ha conservato, senza troppi scossoni, le proprie posizioni anche dopo il crollo del socialismo reale, grazie ai legami costruiti su base personale e su interessi reciproci, e, secondo l’oligarca ucraino Viktor Pinchuk, a pagare il viaggio del quattordicenne era stata la Fondazione Soros, una circostanza emersa pubblicamente nel 2007 durante un ricevimento a Kyiv con il miliardario statunitense a cui intervenne anche Kirill, che in futuro smentirà seccamente ogni rapporto con le strutture del filantropo, illegali oggi nella Federazione Russa.
Nel 1996 si laurea in economia a Stanford, quattro anni dopo ottiene un MBA a Harvard, dove Dmitriev arriva già con una carriera ben avviata, avendo lavorato nel settore investimenti di compagnie quali McKinsey e Goldman Sachs: a venticinque anni il giovane ucraino sembrerebbe ben introdotto negli ambienti finanziari, e si trasferisce a Mosca, in un momento in cui nella capitale russa si aprivano nuove possibilità dopo la devastante crisi economica scaturita dal default del 1998.
Arrivato a Mosca, il giovane acquista un appartamento nel sud-est della città, ad Okskaya ulitsa, e una Land Rover di seconda mano: dettagli apparentemente insignificanti, a prima vista, ma nel 2023 un’inchiesta di Sergei Kanev, giornalista del media indipendente The Insider, ha rilevato un elemento non da poco, la macchina è stata comprata con un documento di riconoscimento militare russo, un tesserino da ufficiale, che pone interrogativi sul perché un cittadino ucraino ne fosse in possesso. A cavallo tra gli anni Novanta e Duemila procurarsi dei documenti di qualsiasi tipo in Russia non era difficile, e le fonti ascoltate da The Insider avevano confermato questa possibilità, eppure, conoscendo le entrature nell’élite sovietica di Dmitriev, la questione sul perché fosse in possesso di un tesserino da ufficiale senza esser stato sotto le armi nell’esercito russo resta quantomeno opaca, utilizzato poi solo per l’acquisto di un’automobile.
Un matrimonio fortunato
Lavorando nella filiale russa del fondo d’investimento americano Delta Private Equity, Kirill Dmitriev acquisisce una rete di contatti in tutto il mondo del business a Mosca e nello spazio post-sovietico: nel 2007 ritorna in Ucraina, dove è a fianco dell’oligarca Viktor Pinchuk, genero dell’ex presidente Leonid Kuchma, nell’Icon Private Equity, per cui collabora fino al 2011, quando – ancora cittadino ucraino – viene nominato a capo del Fondo russo d’investimenti, mentre un anno prima era stato incluso nella lista dei Young Active Leaders del World Economic Forum di Davos, assieme a nomi quali Sergey Brin, cofondatore di Google.
La repentina ascesa del talentuoso capitano d’assalto, capace di attrarre investimenti a Kyiv e a Mosca di multinazionali di peso quali General Electric, Société Générale, Fidelity Investments in asset ucraini e russi, non è dovuta solo alle sue capacità ma a una lezione appresa lavorando con Pinchuk: i rapporti personali e il sostegno della politica e degli apparati statali sono le chiavi del successo per la propria affermazione e garantiscono affari ben più vasti. Nel caso di Dmitriev a esser determinante è il legame tra la moglie Natalia Popova e Katerina Tikhonova, quest’ultima figlia di Vladimir Putin: probabilmente conosciutesi durante gli studi all’Università statale di Mosca, l’amicizia ha consentito alla Popova di entrare in un circuito completamente diverso dalla vita di una ragazza di provincia, originaria di Dedovsk, cittadina a una quarantina di chilometri dalla capitale.
La coppia Dmitriev-Popova così è riuscita a inserirsi in un ambiente dove le relazioni personali rappresentano collegamenti tra strutture statali, mondo della finanza e imprese attive nei settori cruciali dell’economia, dove Tikhonova, attiva nel campo dell’innovazione tecnologica e figlia del presidente russo, è al centro di una fitta rete di interessi.
Popova è la principale beneficiaria della sincera amicizia della figlia di Putin, come dimostrato da una serie di inchieste giornalistiche, dove viene mostrato come la gestione delle tante attività legate al Fondo russo per gli investimenti diretti fornisca enormi opportunità di costruire rapporti e soprattutto clientele, e questo ruolo ha enormemente facilitato il lavoro del marito, arrivato alla guida dell’RFPI come figura estranea agli ambienti del Cremlino e del governo. Una circostanza testimoniata proprio dalla scalata avvenuta poco dopo il matrimonio: Popova, con un curriculum iniziale modesto, in cui la posizione più significativa era la sua collaborazione da freelance al quotidiano Komsomolskaya Pravda, riesce nel giro di pochi anni a ricoprire ruoli che richiedono accesso diretto ai vertici amministrativi, giungendo a ricoprire l’incarico di vicedirettore generale della compagnia Innopraktika, diretta dalla Tikhonova e specializzata nell’innovazione tecnologica ad ampio raggio, dalla proprietà intellettuale alla biologia.
Parallelamente, Dmitriev consolida la propria presenza nei circuiti del potere esecutivo, facendo ricorso a quelle “risorse amministrative” che caratterizzano il sistema putiniano, ed entrando in una serie di consigli d’amministrazione e board of trustees delle principali holding russe, dall’azienda petrolchimica Sibur, dove a occupare il ruolo di vicepresidente era l’allora marito di Tikhonova, Kirill Shamalov, fino alla stessa Innopraktika: una serie di luoghi del potere economico e finanziario, dove l’accesso diretto a figure apicali forse è ben più importante dei ricchissimi gettoni di presenza.
Le mail tra Shamalov e Dmitriev, dove tra un appuntamento per nuotare assieme e una cena tra coppie si progettavano affari in cui erano coinvolte la Sibur e l’RFPI, sono state pubblicate come parte di una più corposa serie di corrispondenze dell’ex genero di Putin dal media indipendente Vazhnye Istorii nel 2020 e forniscono uno spaccato dell’intreccio tra familismo, ambienti finanziari e legami statali presente in Russia oggi. La capacità di costruire relazioni extralavorative è uno dei tratti principali di Dmitriev, emerso anche in questi mesi di trattative, e già sottolineato, nel corso di un’inchiesta di Meduza sull’RFPI e il vaccino Sputnik V, da uno dei suoi conoscenti: «Dmitriev è una di quelle persone che sanno insinuarsi sotto la pelle. È tutto relazioni, amicizie con le persone giuste, immagine pubblica (…) venivo invitato ai suoi compleanni, ai ricevimenti per pochi eletti: tutto sfarzo e opulenza, con la presenza, naturalmente, di (Gennadij) Timchenko, amico del presidente (e tra i principali oligarchi), e dei vicepremier russi».
Gli affari
Il ruolo dell’RFPI diretto da Dmitriev, a capo del fondo dalla sua nascita, nell’economia russa è stato cruciale nel corso degli anni, e non solo per le connessioni familiari e amicali dell’economista, in Russia e all’estero: durante la pandemia di coronavirus a investire nello sviluppo e nella promozione del vaccino Sputnik V è stata proprio la compagnia, con lo stanziamento di circa 22 miliardi di rubli.
A spingere Dmitriev a promuovere il vaccino, oltre alla volontà del Cremlino, è stata la propria ambizione personale, elemento più volte emerso nelle varie conversazioni avute dai reporter con conoscenti del direttore dell’RFPI, e, dopo la pandemia, la guerra in Ucraina appare come il campo a cui dedicarsi, seppur non avendo alcuna esperienza in campo diplomatico. Ma ai canali ufficiali, nel metodo K., si può sopperire con i legami personali, come già avvenuto durante la prima presidenza Trump.
Nel gennaio 2017 un incontro alle isole Seychelles tra Dmitriev, il genero di Trump Jared Kushner e l’ex amministratore delegato della compagnia di contractors militari Blackwater Erik Prince avrebbe dovuto definire una roadmap per le relazioni russo-americane in vista dell’insediamento del tycoon newyorkese; contatti continuati per tutto il mandato trumpiano, come rilevato da The Daily Beast, si tentò di coinvolgere l’RFPI nella consegna di respiratori e ventilatori polmonari durante la pandemia. Una serie di circostanze che hanno fatto emergere Dmitriev come figura cruciale nei rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca, eclissando i tradizionali canali diplomatici (con grande irritazione del ministero russo degli Esteri) e proiettando la sua figura sullo scenario internazionale.
Un gentiluomo chiamato Kirill
A seguito della rielezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, Vladimir Putin ha nominato Kirill Dmitriev rappresentante del Cremlino per la cooperazione economica bilaterale e lo ha incluso nella delegazione russa che ha riaperto i contatti con Washington in Arabia Saudita, nel primo incontro ufficiale tra i due paesi dopo i colloqui di Istanbul della primavera del 2022. Immediatamente Dmitriev è stato indicato dai media come il principale promotore di un’impostazione negoziale fondata sugli interessi economici condivisi, provando forse a far gola agli interessi del presidente americano, con proposte in alcuni casi fantasmagoriche, quali la costruzione di un tunnel sotto lo stretto di Bering, per collegare la Russia agli Stati Uniti, da dedicare a Putin e Trump.
Tali dichiarazioni, spesso pubblicate sull’account X di Dmitriev, hanno il duplice scopo sia di rafforzarne l’immagine che provare a mantenere sempre un contatto Oltreoceano: non a caso, l’idea del tunnel è venuta fuori durante il momento più basso delle relazioni tra i due presidenti, dopo il vertice di Anchorage e l’annullamento del vertice di Budapest per «divergenze di aspettative», con l’introduzione di nuove sanzioni nel settore petrolifero. Secondo Aleksandr Baunov del Carnegie Center di Berlino, inoltre, nella logica del Cremlino Dmitriev agirebbe da “poliziotto buono”, alternandosi con il “cattivo”, rappresentato dal ministro degli Esteri Sergei Lavrov, quest’ultimo ritenuto tra i responsabili delle tensioni con la Casa Bianca nelle scorse settimane.
Proprio per provare ad appianare le divergenze emerse tra Trump e Putin, Kirill si è recato negli Stati Uniti per incontrare Steve Witkoff, con cui ha costruito un rapporto privilegiato – il rappresentante di Trump aveva definito, lo scorso febbraio, il capo dell’RFPI “un gentiluomo” – e dichiarando come in realtà le parti sarebbero state pronte a un accordo, parole ritenute quantomeno bizzarre, considerato il contesto in cui tra Putin e l’inquilino della Casa Bianca si era passati dai toni cordiali a una escalation verbale sulle capacità dei rispettivi arsenali.
Forse, in una modalità già vista in questi mesi, Dmitriev faceva riferimento alla proposta del piano di pace in 28 punti (già modificata, in alcuni passaggi radicalmente, negli scorsi giorni a Ginevra dall’incontro trilaterale tra Stati Uniti, Unione Europea e Ucraina), e a far filtrare alla stampa l’esistenza di quel documento sarebbe stato proprio l’ambizioso inviato di Putin, come già scritto in apertura. Un segnale non solo per quanto riguarda la politica estera del Cremlino, ma soprattutto sulle velleità del cinquantenne capo dell’RFPI, che probabilmente ambisce, come ricompensa per il lavoro svolto nel tessere una complicata relazione con Washington e con Trump, a incarichi ben più rilevanti, politicamente, per il futuro.
Immagine in anteprima via fanpage.it







