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Grillo e l’esca del ‘sono tutti uguali’

26 Maggio 2012 4 min lettura

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Grillo e l’esca del ‘sono tutti uguali’

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Andrea Zitelli
@valigiablu - riproduzione consigliata

“Votateli, loro sono voi e voi siete loro”. Queste le parole con cui Beppe Grillo invitava a votare, prima dei ballottaggi, gli esponenti del Movimento 5 Stelle. Concetto ripetuto dall'ex comico dopo la vittoria di Pizzarotti nel capoluogo emiliano “non ha vinto Pizzarotti a Parma, ma hanno vinto i cittadini di Parma”. Agli occhi di Grillo, infatti, “Il Movimento 5 Stelle è uno strumento che serve ai cittadini per amministrare loro stessi” e proprio per questo la retorica politica dell'equivalenza tra cittadini e esponenti del Movimento si fa muro maestro che regge l'intera struttura del movimento. Cercare di analizzarla, pertanto, risulta essere davvero interessante, visto che ci troviamo di fronte una nuova forza politica che sta conquistando sempre più terreno nel consenso generale del Paese.

In Italia, l'uscita del libro di Stella e Rizzo, La Casta, ha fornito all'indignazione popolare il giusto vocabolo da scagliare contro i soprusi, le malefatte e le incapacità di quella mala politica che ha governato il Paese negli ultimi vent'anni. Una genuina rabbia sociale verso di essa ha, però, incrinato il patto sociale tra elettori ed eletti, fino a separare gli uni dagli gli altri, con quest'ultimi divenuti non più rappresentanti dei primi, ma dell'odiata casta.

Scrivendo ciò non voglio certo attutire le colpe e le responsabilità di quella politica che, nonostante l'evidente difficoltà economica e sociale di vari strati della popolazione, ha continuato a gestire affari, privilegi e rendite di potere, quanto piuttosto evidenziare come quella rabbiosa e giusta indignazione, non ricevendo risposte politiche all'altezza, sia degenerata in una reazione emotiva che ha portato l'opinione pubblica a diffidare non solo della mala politica, ma dell'uomo politico in sé.

Ed è proprio qui che il concetto di Grillo, citato nell'incipit, ha messo radici, classificandosi come quella retorica politica che, più delle altre, è riuscita a cavalcare e impersonificare l'emotività descritta, sovrapponendosi alla genuina e rabbiosa disillusione nei confronti della cattiva gestione della cosa pubblica, con la finalità di canalizzare tale disillusione in voti. Il rischio concreto, però, è che sulla complessità della realtà si imponga una narrazione semplicistica e inutilmente manichea. 

Nel nostro caso, all'assolutizzazione in negativo della figura del politico in sé, con la corruzione presentata come aspetto inscindibile dell'apparato partito – a prescindere dalla competenza e dall'onestà delle persone che lo compongono – viene contrapposto il cittadino – unico elemento di libertà – che, elmetto in testa, deve riprendersi il proprio Paese, scardinando quel Sistema corrotto e corruttivo che lo tiene al giogo delle cricche di potere, per ottenere una partecipazione diretta alla democrazia. Insomma, una vera e propria guerra tra il Male e il Bene, che va oltre i concetti di nuovo modo e vecchio modo di fare politica. Un esempio concreto si può riscontrare nell'iniziativa Vietato l'ingresso ai politici, sponsorizzata dallo stesso Grillo, dove, per l'appunto, si professa questa dicotomia - quasi antropologica - tra i cittadini e le “facce di merda” dei politici.

In un Paese come l'Italia, dove la corruzione ha un alto costo per la collettività, dove ogni giorno c'è qualche azione di qualche politico - o corrente di partito - che, nella propria incompetenza, continua a essere sordo alle richieste di cambiamento che arrivano dalla società, una retorica politica di questo tipo incontra facilmente il consenso dell'opinione pubblica. L'appoggio civico intorno a essa, però, non può certo coprirne la fragilità nel momento dello scontro con la realtà e le sue variabili. 

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Ma siamo proprio sicuri, infatti, che tale divisione etica tra cittadini e partiti sia l'unica strada verso un reale cambiamento? Chi l'ha detto che il cittadino rappresenti quest'oasi di libertà dentro un Sistema gerarchico e verticistico? 

Il caso di Parma, in cui Federico Pizzarotti, neo sindaco del Movimento, avrebbe informato Casaleggio - che con la propria società cura il blog di Beppe Grillo - riguardo a una nomina nel Comune, non sgretola forse tale visione? L'elettore potrebbe giustamente chiedersi se chi ha votato prenda le decisioni in piena autonomia e in suo nome - "Votateli, loro sono voi e voi siete loro" - o se per farlo si debba confrontare con figure estranee al volere elettorale.

Può bastare veramente un metaforico elmetto per cambiare la qualità della partecipazione civica in un Paese dove, ad esempio, l'evasione fiscale sembra ormai una questione fisiologica del nostro background culturale? Non si rischia di ripercorrere l'idea presente nel manifesto del primo berlusconismo, secondo cui era sufficiente essere un outsider dei partiti per incarnare un cambiamento? Quando, invece, abbiamo appreso sulla nostra pelle che in questo modo non vengono considerate tutte quelle dinamiche culturali che, nel corso degli anni, hanno influenzato nel profondo i comportamenti, il linguaggio, la quotidianità, dei cittadini, rendendoli non più soluzione ma parte del problema, in un continuo oscillare tra convivenza e connivenza con il degrado culturale di questo Paese e della sua classe dirigente?

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