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La manovra economica del governo serve a Giorgia Meloni non al paese

23 Ottobre 2025 12 min lettura

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La manovra economica del governo serve a Giorgia Meloni non al paese

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Il 17 ottobre il Consiglio dei Ministri ha approvato la bozza della Legge di Bilancio per il 2026, dopo settimane di dichiarazioni discordanti tra i membri della maggioranza. Ora la bozza dovrà poi passare per la commissione Bilancio e le camere che potranno apportare modifiche al testo. Dopo l’approvazione, la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, assieme ai leader di maggioranza Matteo Salvini e Antonio Tajani e al Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti, ha tenuto una conferenza stampa in cui ha spiegato le ragioni della manovra e i principali interventi. 

Meloni ha parlato di una manovra “molto seria ed equilibrata”. Il ministro Giorgetti ha invece toccato il tema portante dell’aumento del contributo da parte del settore bancario. Per Giorgetti le banche hanno confermato che la misura non avrà alcun contraccolpo. 

Che cosa sappiamo della manovra?

La manovra di quest’anno si contraddistingue per la sua dimensione: vale infatti solo 18.7 miliardi, numeri molto più contenuti rispetto alle precedenti di tutti i governi degli ultimi dieci anni. 

Al centro della manovra c’è il provvedimento sull’IRPEF. Da tempo la Presidente del Consiglio aveva ribadito la necessità di un intervento a favore del ceto medio, dopo quelli degli ultimi anni che hanno interessato soprattutto i redditi più bassi falcidiati dall’inflazione. Per questo motivo, la bozza della manovra contiene una riduzione dell’aliquota IRPEF per i contribuenti che dichiarano dai 28 mila ai 50 mila euro. Si tratta di un taglio di 2 punti percentuali: l’aliquota passa così dal 35 al 33 per cento. 

Sempre in ottica redditi, si trova un provvedimento fortemente voluto da Fratelli d’Italia: la flat tax sugli aumenti di stipendio. Per i lavoratori dipendenti che guadagnano meno di 28 mila euro, gli aumenti di salario stipulati dal rinnovo di alcuni dei contratti collettivi sul lavoro saranno tassati al 5 per cento. Anche per i redditi da straordinari, festivi e lavori in notturna è prevista un'aliquota unica al 15 per cento fino a 40 mila euro di reddito. 

Sul fronte pensioni, il provvedimento principale è il congelamento dell’aumento dell’età pensionabile fino al 2027. La revisione, basata sull’aspettativa di vita, avrebbe portato a un incremento fino a tre mesi nel 2028. Inoltre ne saranno esclusi, qualora presentino i requisiti, coloro che svolgono lavori usuranti. Alcune misure come Ape Sociale restano, ma non verranno rinnovati-almeno dalla prima bozza- provvedimenti come Opzione Donna e Quota 103. 

Una delle battaglie della Lega di Matteo Salvini trova spazio nella manovra: nella bozza è presente infatti una nuova “Pace Fiscale”, per coloro che hanno presentato la dichiarazione dei redditi ma non hanno versato, mentre non vale per chi è stato accertato di evasione. 

Sul versante Sanità il governo intende potenziare il comparto con un aumento del Fondo Sanitario Nazionale, salari più alti e l’assunzione di infermieri. Come rilevano i dati dell’OECD, proprio su questo aspetto il nostro paese soffre di particolare carenza. 

All’interno si trovano anche vari finanziamenti al fondo per le mamme lavoratrici, quello per le donne vittime di violenza e l’istituzione di uno appositamente per il sostegno abitativo ai genitori divorziati.

La situazione è più fumosa quando si guarda alle coperture. Il governo ha già previsto aumenti per le sigarette e un allineamento delle accise su gasolio e benzina. Oltre a questo ci saranno dei tagli ai ministeri, anche se la questione è complessa, e a diversi settori, come ad esempio il cinema.

Riguardo l’aumento delle spese per la difesa, Giorgetti e Meloni hanno dichiarato che intendono ricorrere al programma SAFE, lanciato dalla Commissione Europea. Questo permette prestiti per progetti riguardanti la difesa. 

Ma i due provvedimenti principali sul lato coperture, quello sulle banche e assicurazioni e quello sulla cedolare secca, stanno causando dissidi all’interno della maggioranza. 

I dissidi nella maggioranza su banche e affitti brevi

Partiamo dall’aumento della cedolare secca sugli affitti brevi per località turistiche. La proposta iniziale era di cancellare le agevolazioni introdotte l’anno scorso che abbassavano l’aliquota al 21 per cento e riportarla al 26 per cento sia per i privati sia per intermediazioni immobiliari. 

Questo ha generato malumori all’interno di Lega e Forza Italia. Si parla di una manina che avrebbe inserito il provvedimento per fare cassa, indicandolo nel Ministero dell’Economia. 

Il leader di Forza Italia ha dichiarato che se non ci saranno cambiamenti il suo partito modificherà la norma in Parlamento. Anche Salvini ha ribadito che in Parlamento si interverrà sulla norma, che scoraggia l’iniziativa privata. 

Per ora, c’è stato solo un cambiamento rispetto alla prima bozza. La cedolare secca resterà al 21 per cento per affitti brevi di una sola unità immobiliare a patto che non vi siano intermediari immobiliari o ricorso a piattaforme come ad esempio Airbnb o Booking. Su questo bisognerà capire nei prossimi giorni se basterà o meno a convincere i partner di governo. 

Diverso invece il discorso sul contributo delle banche e assicurazioni. Su questo fronte, invece, le posizioni di Forza Italia e Lega sono antitetiche. Tajani si è detto assolutamente contrario a un prelievo sugli extra profitti delle banche. Al contrario, Salvini vuole un intervento corposo. Definita la “tassa Robin Hood”, il leader della Lega ha sostenuto che queste hanno fatto enormi profitti nel corso di questi anni grazie a politiche favorevoli della Banca Centrale e che è necessario intervenire. 

D’altronde ci sono ragioni di copertura: il governo è in cerca di un tesoretto per la manovra. Una parte proviene da un aumento dell’IRAP di due punti percentuali per i prossimi tre anni specificatamente per banche e assicurazioni, anche se le entrate sono minime. Le altre misure, più tecniche come l’affrancamento delle riserve o la deducibilità degli interessi passivi, sono ancora un’incognita: soprattutto la prima, che permetterebbe alle banche agevolazioni fiscali per sbloccare le riserve nei prossimi due anni (le stesse che avevano incrementato per evitare proprio la tassa sugli extra profitti proposta anni fa dal governo Meloni) è quella che potrebbe portare a maggior gettito. 

Questo sarà uno dei problemi di equilibrismo politico a cui assisteremo da oggi all’approvazione della manovra. Se l’aspetto economico delle coperture è innegabile, gli interessi politici giocheranno un ruolo cruciale. Lega e Forza Italia, infatti, seguono logiche di posizionamento divergenti: Salvini enfatizza la contrapposizione con il sistema bancario in chiave populista, Tajani cerca un equilibrio con la rappresentanza economica del suo elettorato. Ancora più importante sarà il ruolo di Meloni, che ha bisogno di un compromesso per non danneggiare i rapporti con il settore bancario e allo stesso tempo garantire coperture per la manovra. 

La reazione delle opposizioni e degli osservatori

Una critica dura arriva dalle opposizioni, secondo cui la manovra non tocca i problemi degli italiani. 

Secondo il responsabile Economia del PD Alberto Misiani si tratta di “una manovra rinunciataria”, con cui il governo Meloni ha scelto la strada “della stagnazione e dell’austerità”. Anche il capogruppo del PD Francesco Boccia in un’intervista a La Repubblica ha criticato le scelte del governo, specificando che data la situazione servirebbe una manovra più espansiva con investimenti oltre al PNRR per far fronte alla situazione geopolitica contraddistinta dalla guerra commerciale di Trump.

Per il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte quella del governo è  una “manovrina” che non aiuta gli italiani in difficoltà. In particolare, Conte sottolinea la totale assenza di una strategia sul calo della produzione industriale che affligge il nostro paese ormai da anni e che rende più suscettibile il settore ai dazi di Trump. Al centro dell’affondo di Conte c’è anche l’aumento delle spese militari. 

Per il leader della CGIL Maurizio Landini la manovra contiene l’ennesimo condono in un paese con un’elevata inflazione. Non solo: la flat tax incrementale sugli aumenti di stipendio non è particolarmente apprezzata da Landini, che suggerisce invece di tassare i grandi patrimoni. 

A favore del governo c’è invece Morningstar Dbrs, una delle agenzie di rating che ha promosso di recente l’azione di governo. Secondo Morningstar Dbrs la stabilità portata da Meloni e la resilienza dell’economia sono un elemento positivo per il paese. 

I ritocchi all’IRPEF non bastano

Come già successo con le altre leggi di bilancio, il cuore di questa manovra è la riforma dell’IRPEF. Nella precedente manovra il governo aveva ridotto il numero di scaglioni, con l’accorpamento del primo e secondo scaglione all’aliquota del primo. 

Oggi il governo interviene di nuovo sull’IRPEF per dare ossigeno al ceto medio, tagliando di due punti percentuali l’aliquota. Come ha affermato nella conferenza stampa il Ministro Giorgetti, questo taglio verrà “sterilizzato” per chi guadagna oltre i 200 mila euro. Quando si tagliano le aliquote IRPEF, infatti, ne beneficiano tutti i contribuenti a partire dallo scaglione in cui si interviene, mentre l’effetto è nullo per chi è al di sotto.  

Ma di che cifre stiamo parlando? Secondo una simulazione svolta dalla Fondazione Nazionale Commercialisti per il Corriere della Sera, l’importo sarebbe assai modesto. Per chi guadagna circa 29 mila euro, il taglio dell’aliquota proposto da Meloni corrisponde, annualmente, a un beneficio di 20 euro. Questo importo cresce con l’aumento del reddito arrivando a un beneficio di 440 euro annui per chi guadagna oltre 50 mila euro annui. 

Benché non esoso per i conti pubblici, il provvedimento ha perciò un impatto non particolarmente significativo per la classe media visti gli importi. C’è poi da capire se verrà reso strutturale oppure no. 

Ma i ritocchi voluti da Meloni nel corso di questi anni non sono altro che piccole rifiniture su un sistema che presenta criticità enormi. L’imposta, nata per incorporare tutti i redditi, con il tempo è stata via via svuotata, diventando di fatto un’imposta speciale per lavoratori dipendenti e pensionati. Questo effetto colabrodo è dovuto all’esclusione dalla base imponibile (cioè sul quantitativo a cui si applica l’imposta) di varie tipologie di reddito. 

I redditi da rendite finanziarie, da affitti e in parte da lavoro autonomo per chi rientra nel regime forfettario sono esempi di regimi speciali introdotti nel corso degli anni. A differenza dell’IRPEF, che è un’imposta progressiva, questi regimi presentano un’aliquota unica. Ciò porta a maggiori benefici per le persone con un introito economico più elevato. 

Una riforma dell’IRPEF e più in generale del sistema di tassazione nel nostro paese sarebbe di cruciale importanza per ristabilire l’equità e ridurre il peso della tassazione sul lavoro e aumentarlo, invece, sulla rendita e sulle eredità. 

Il Fiscal Drag: perché i conti pubblici sono migliorati sulle spalle dei lavoratori

C’è un secondo aspetto cruciale, sottolineato più volte dagli esperti, per quel che riguarda l’IRPEF. Nel corso di questi anni abbiamo assistito a un’ondata inflazionistica che ha comportato, necessariamente, un aumento dei redditi da lavoro. Questo aumento però induce il fenomeno del cosiddetto fiscal drag o drenaggio fiscale. Infatti, questi aumenti del reddito per compensare la perdita di potere d’acquisto vanno ad aumentare il reddito nominale- cioè il valore monetario del salario o della pensione- ma al contempo aumentano anche la base imponibile dell’IRPEF. 

Così facendo, l’aumento dovuto all’inflazione rischia di essere eroso da un maggior carico fiscale: questo porta a un cortocircuito per cui lavoratori che non hanno visto migliorare la propria condizione economica finiscono a pagare di più. Al contempo, da definizione, aumenta il gettito, cioè le entrate del governo. 

Questa è una caratteristica dei sistemi fiscali ad aliquota marginale progressiva e, senza addentrarci nei dettagli tecnici, l’effetto è più pronunciato per i contribuenti a basso reddito. Ciò induce un maggior carico fiscale sui contribuenti IRPEF, che come detto sono perlopiù lavoratori dipendenti e pensionati. Un tempo, quando l’inflazione era un problema persistente, c’erano meccanismi di compensazione come la famosa scala mobile. Se per anni, quando l’inflazione era ben al di sotto di quello che è il valore ottimale, il problema non si è posto, oggi è rientrato al centro del dibattito economico. 

Questo, assieme ad aumenti di altre tasse, ha contribuito a un aumento della pressione fiscale nel nostro paese. Come sottolinea Il Post gli interventi voluti da Meloni nel corso degli anni, soprattutto per via del Fiscal Drag descritto in precedenza, hanno peggiorato la situazione. Ma correggere il sistema è politicamente costoso: si andrebbero appunto a perdere le maggiori entrate descritte in precedenza che hanno consentito al governo Meloni di stabilizzare i conti pubblici. Pertanto, il beneficio monetario indotto dal taglio di 2 punti percentuali dell’aliquota IRPEF non è nient’altro che una piccola compensazione, per la classe media, di un aumento della tassazione. 

Condizioni critiche ma stabili

La manovra di Meloni certifica la stabilità di un paese in condizioni comunque problematiche. 

A testimoniarlo ci sono le stime di crescita contenute nel Documento Programmatico di Bilancio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, pubblicato il 14 ottobre. Secondo le simulazioni del ministero, il PIL dovrebbe crescere dello 0,5 nel 2025 e dello 0,7 nel 2026. Proiezioni simili provengono dal documento della Banca d’Italia Proiezioni macroeconomiche per l’economia italiana” pubblicato nello stesso periodo. 

In una prospettiva più ampia, le stime dell’OECD sottolineano una crescita anemica per il nostro paese, al di sotto di quella francese nel 2026 e ben al di sotto rispetto alla Spagna, che può essere assimilabile al nostro paese per via degli importi ricevuti con il PNRR. Diversa la situazione per la Germania, dove la crescita deriva da un periodo di recessione negli anni passati. 

Questo va inserito in un quadro più ampio di stagnazione del paese e della sua capacità di produrre ricchezza diffusa da trent’anni a questa parte. Per quanto i risultati macroeconomici del nostro paese di questi ultimi anni siano più positivi rispetto al passato, non si tratta di un risultato ottenuto dal governo Meloni, quanto una tendenza che interessa buona parte dell’Europa e dei paesi occidentali. 

Al contrario, in tre anni di governo, con una maggioranza solida e stabile, non si è assistito ad alcun provvedimento trasformativo dal punto di vista economico. Questa manovra non è altro che la certificazione di un governo interessato politicamente a posizionarsi come serio e responsabile nella gestione dei conti pubblici, ma senza alcuna prospettiva di miglioramento per l’economia del paese. Di sicuro il governo Meloni sconta lo stigma del precedente governo di destra, il Berlusconi IV, che aveva portato il paese in una situazione economica estremamente preoccupante. E infatti il Documento Programmatico di Bilancio sottolinea l’impegno preso dal governo per rispettare i parametri imposti dall’Europa sulla spesa. Anche il debito pubblico, secondo le simulazioni del governo, tenderà a stabilizzarsi, grazie a un aumento del saldo primario.  

Ciò non toglie che i micro interventi voluti dal governo non avranno alcun impatto su tendenze più profonde che ne compromettono la crescita da anni. Le dichiarazioni fatte negli anni passati su una nuova politica industriale, sul sostegno alle imprese, circa gli interventi nel mercato dell’automotive sembrano essere ormai abbandonate dal governo. Almeno dagli anni ‘90, a seguito delle privatizzazioni, il capitalismo italiano soffre di un sistema industriale duale, con poche grandi imprese- spesso con partecipazioni dello Stato o ex IRI- che possono competere con quelle europee, e una miriade di micro-piccole imprese spesso in settori a basso valore aggiunto- come il turismo e la ristorazione- che non sono in grado di competere, basando la loro sopravvivenza spesso sulla competizione sulle tutele e sui salari. 

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Anche sul fronte salari e lavoro, oltre a misure che quando non sono inutili sono peggiorative, come la Flat Tax sugli incrementi di stipendio, non c’è alcuna volontà di intervenire in maniera sostanziale. Se, come ribadito da vari esponenti della maggioranza, non c’è la volontà di introdurre il salario minimo per non danneggiare la contrattazione collettiva, è necessario chiedersi che cosa si sia fatto su questo fronte di sostanziale per invertire la tendenza alla stagnazione dei salari nel nostro paese. Per quanto il governo possa vantarsi di un recupero dei salari reali, siamo ben lontani dai livelli anche solo del decennio precedente, dove la situazione non era certo rosea, e da altri paesi europei. 

Una manovra politica, non economica

Le cose cambiano se si legge la manovra come un posizionamento politico di Meloni e della sua leadership in Europa. I due principali paesi europei, Francia e Germania, sono alle prese con problemi interni come l’instabilità politica, nel caso della Francia, e le difficoltà economiche, nel caso della Germania. Questo apre lo spazio al nostro paese che invece si ritrova in una situazione più solida dal punto di vista politico e sta consolidando i suoi conti pubblici. Assieme al ruolo in Europa come leader de facto dei conservatori, ciò garantisce un maggior prestigio per Meloni che può rivendicare in patria. Inoltre, questa è una manovra di metà mandato, che non inciderà particolarmente sulle intenzioni di voto dei cittadini. È probabile che interventi più consistenti si vedranno nei prossimi anni quando comincerà a farsi sentire l’incentivo elettorale. Pertanto, è un’ottima manovra per Giorgia Meloni e il suo governo nel breve periodo. Il punto è: lo è per il paese?

Immagine in anteprima: frame video Corriere

3 Commenti
  1. Marco

    Nessun stupore da questa manovra È evidente ormai da tempo che la meloni non è interessata al popolo italiano bensì soltanto alla sua figura istituzionale e al giudizio dei capi di stato degli altri paesi. È una donna con il complesso di inferiorità e ciò si nota in continuazione.Una manovrina che non si sbilancia e che le consente di rimanere indisturbata sulla poltrona.Ha in mente già il dopo e cioè quando perderà le elezioni e la sua mira è quella di piazzarsi tra i privilegiati di Bruxelles.Insomma pensa a se stessa.

  2. Roberto Simone

    Sono molto meno ottimista: che perda le elezioni è tutto da dimostrare. Se è evidente la sua incompetenza in campo economico, è altrettanto evidente la sua capacità comunicativa e la sua efficacia nella gestione del potere per il potere. E questo la rende pericolosa. Come statista non vale nulla in compenso dà il meglio di sé nei comizi dove al di là degli insulti non dice nulla ma ha il dono di dirlo urlando. Parafrasando De Gregori: si atteggia a Nilde Jotti ma è peggio di Vanna Marchi.

  3. Gialla

    Come mai parecchi cittadini credono alle "bagianate" che racconta con il suo amico Salvini. Sara' dura farla cadere dal trono anche perche' la sx non ha nuovi leader e nuove idee innovative.

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