I crimini di odio a sfondo razziale e il terrorismo dei coloni in Cisgiordania si sono estesi alla città di Gerusalemme
7 min letturaA poche settimane dalla fragile tregua imposta da Trump, mentre l’attenzione pubblica israeliana è concentrata sugli scandali e sull’implementazione della riforma giudiziaria caparbiamente promossa dal governo Netanyahu, i crimini di odio a sfondo razziale e il terrorismo dei coloni in Cisgiordania si sono estesi alla città di Gerusalemme.
A farne le spese sono soprattutto gli autisti dei mezzi pubblici che subiscono umiliazioni e percosse. Secondo l’editoriale del quotidiano Haaretz di venerdì 7 novembre, dall’inizio dell’anno gli attacchi si sono intensificati: un centinaio di cui nove solo nella scorsa settimana. Gli aggressori, tra cui spiccano come sempre i violenti tifosi della squadra di calcio Beitar e i “giovani delle colline” (giovani ebrei osservanti che vivono in avamposti illegali isolati e improvvisati in Giudea e Samaria, motivati da un'ideologia radicale di destra e oggetto di controversie pubbliche), provengono da diversi settori. Anche i metodi di attacco sono vari: imprecazioni, sputi, gas lacrimogeni, lancio di pietre o oggetti, estintori e razzi.
Il piano approvato dal Ministero dei Trasporti per istituire un’unità di sicurezza non è stato attuato, con il risultato che la carenza di autisti dei trasporti pubblici sta peggiorando. Se la polizia, complice indifferente, archivia i casi rapidamente, ci si aspetterebbe che almeno il sindaco di Gerusalemme, Moshe Lion, prendesse una posizione. Tuttavia basta gettare uno sguardo alle politiche relative alla parte orientale della città per capire che non sono solo le forze dell’ordine presiedute dal fanatico ministro Itamar Ben Gvir, ma è lo stesso apparato legislativo a contribuire a normalizzare progressivamente le ideologie razziali della destra estremista.
Alla fine della Guerra d’Indipendenza, Gerusalemme fu divisa in due: la parte occidentale della città fu occupata e annessa da Israele, mentre la parte orientale, la città vecchia di Gerusalemme e i suoi quartieri circostanti andò alla Giordania. Nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, Israele conquistò anche la parte orientale della città insieme al resto della Cisgiordania, Gaza e le alture di Golan, annettendola con numerosi villaggi circostanti la municipalità, che oggi costituiscono l’area nota come “Gerusalemme Est”.
Tale annessione fu sancita legalmente da Israele nel 1980 attraverso la Legge fondamentale che definisce l’intera città di Gerusalemme capitale “completa e unita” dello Stato ebraico. Il provvedimento, tuttavia, non è stato riconosciuto dalla maggioranza della comunità internazionale che continua a considerare Gerusalemme Est un territorio occupato illegalmente. Come parte del nuovo assetto, ai palestinesi di Gerusalemme Est fu concesso collettivamente lo status di residenti permanenti che attribuisce loro diritti civili e sociali, come la copertura previdenziale, escludendo però i privilegi completi di una cittadinanza. I residenti possono, ad esempio votare ed essere eletti nel consiglio comunale, mentre non possono concorrere alla carica di sindaco, né candidarsi o votare alle elezioni nazionali della Knesset, il Parlamento dove vengono prese la maggior parte delle decisioni che li riguardano. In sostanza, i palestinesi di Gerusalemme vengono trattati come se fossero immigrati nella loro città natale, dove le loro famiglie risiedono da generazioni, e possono richiedere la cittadinanza israeliana solo su base individuale e con scarso successo.
Agli inizi degli anni 2000, inoltre, è stato eretto un muro di separazione che si snoda tagliando fuori la città da Ramallah e dal resto della Cisgiordania, e lasciando alcuni quartieri di Gerusalemme dall’altra parte del muro. La recinzione sortisce un profondo effetto sulla vita culturale, economica e sociale in particolare di coloro che risiedono in quartieri come Kfar Aqab e il campo profughi di Shoafat, costretti a passare attraverso il checkpoint per raggiungere il resto della città, e i cui bisogni sono quasi completamente trascurati dalle autorità israeliane anche quando si tratta di risorse essenziali come le infrastrutture idriche. Il tasso di povertà in queste aree è dunque particolarmente elevato.
Tale combinazione di meccanismi legali, diritti di cittadinanza, espansione degli insediamenti, acquisizione di proprietà, stanziamenti di bilancio e politiche di pianificazione urbana, volta a limitare sistematicamente i diritti della popolazione palestinese e le sue rivendicazioni di crescita, sviluppo e sovranità, ha subito un tragico incremento dalla salita al potere dell’ultimo governo Netanyahu nel gennaio 2023 e un’ulteriore accelerazione dal 7 ottobre in avanti.
Dal 1967, inoltre, Israele conduce a Gerusalemme est una politica di espropriazione della terra di proprietà palestinese che favorisce i residenti ebrei e gli interessi geopolitici dello Stato. In questo contesto si inseriscono le campagne di sfratto che le organizzazioni dei coloni conducono dagli anni '70 basandosi su leggi discriminatorie che consentono solo agli ebrei di rivendicare la proprietà antecedente al 1948.
Uno dei quartieri maggiormente presi di mira è quello di Sheikh Jarrah, la cui ubicazione strategica tra la Città Vecchia e Gerusalemme Ovest rende le sue aree di Kerem al Ja'ouni e di Umm Haroun obiettivo privilegiato degli sforzi volti a “ebraicizzare” l’area. Ciononostante, la determinazione dei residenti nel proteggere le proprie case e la propria comunità e una pronuncia favorevole della Corte Suprema del 2021 hanno finora impedito la maggior parte dei tentativi di sfratto israeliani, contribuendo anche a creare un ethos di resistenza congiunta ebraico-palestinese efficace e in gran parte non violenta. Dal 2000 l’associazione Ir Amim si occupa di monitorare le demolizioni di case e difendere i diritti dei palestinesi, sensibilizzando l’opinione pubblica sui complessi risvolti politici, giuridici, economici e sociali dell’occupazione nella provincia di Gerusalemme.
Nel recente rapporto Una stretta mortale su Sheikh Jarrah: nuovi strumenti per l'acquisizione israeliana e lo sfollamento palestinese, la ONG israeliana denuncia l’impiego da parte delle autorità israeliane di nuovi strumenti legali, urbanistici e burocratici che hanno come obiettivo lo sfratto dei palestinesi e il consolidamento degli insediamenti israeliani nel cuore di Sheikh Jarrah. “Ciò a cui stiamo assistendo segna una nuova allarmante fase negli sforzi di gentrificazione”, ha affermato Aviv Tatarsky, ricercatore presso Ir Amim. Il rapporto denuncia una strategia coordinata e istituzionalizzata la quale, con il pretesto della riqualificazione urbana, promuove progetti abitativi le cui unità sono destinate all’insediamento di circa 2.000 famiglie di coloni israeliani nel quartiere.

Allo stesso tempo, lo Stato sta sequestrando gli spazi pubblici che, come ha fatto nel quartiere di Silwan, riassegna a istituzioni ebraiche stanziando fondi significativi per sviluppare progetti nazional-religiosi. Tali progetti legati al patrimonio e al turismo rischiano di rimodellare l’identità di una vivace comunità palestinese recidendone il legame con la Città Vecchia e i quartieri settentrionali di Gerusalemme Est, con implicazioni di vasta portata.
Intanto la scorsa domenica ingenti forze di polizia israeliane hanno fatto irruzione nell’area di Batan al-Hawa nel quartiere di Silwan sfrattando con la forza tre famiglie palestinesi dalle loro case e sfollando numerosi residenti, tra cui bambini e anziani. Pochi minuti dopo lo sfratto, i coloni sono entrati e hanno occupato le case sotto una massiccia scorta della polizia. Negli ultimi 18 mesi, la Corte Suprema ha sistematicamente respinto i ricorsi presentati dalle famiglie di Batan al-Hawa, accelerando di fatto il ritmo degli sfratti e smantellando le poche garanzie legali rimaste a disposizione dei residenti.
Lo sfratto è stato eseguito diversi giorni prima dell’entrata in vigore ufficiale dell'ordinanza del tribunale, sollevando serie preoccupazioni sulla sua validità legale e integrità procedurale. Sembra che l'esecuzione anticipata fosse intesa a cogliere di sorpresa i residenti e impedire loro di intraprendere azioni legali. Dallo scoppio della guerra, nove famiglie palestinesi sono già state sfollate con la forza, il primo caso del genere in quasi un decennio. Questa tendenza crea un pericoloso precedente per le restanti 85 famiglie (oltre 700 residenti) che ancora lottano per rimanere nelle loro case.

Facendo leva sul controllo di un trust ebraico del XIX secolo che rivendica la proprietà di terreni a Batan al-Hawa, l'organizzazione di coloni Ateret Cohanim, in coordinamento con le autorità statali, ha intentato decine di cause legali per sfrattare famiglie palestinesi e confiscare le loro case a beneficio dell'espansione degli insediamenti israeliani nella zona. Sebbene presentate come procedimenti legali, queste azioni sono radicate in un quadro giuridico profondamente iniquo che priva i palestinesi di giustizia e di pari protezione di fronte alla legge. Si tratta di un trasferimento forzato di persone protette, una grave violazione del diritto internazionale.
Mentre nel luglio 2024, la Corte Internazionale di Giustizia ha pubblicato un Parere Consultivo che definisce l'occupazione israeliana di Gerusalemme Est e del resto della Cisgiordania come illegale ingiungendone la cessazione, la maggior parte della società ebraica sembra essere ancora per lo più inconsapevole dell’istituzionalizzazione di tali pratiche. Regolarmente denunciate dalla stampa estera che rischia di catalogare tutti gli israeliani indistintamente come estremisti fanatici, esse vengono censurate o ignorate dai media mainstream locali, con il risultato che anche rapporti come questo di Ir Amim finiscono per avere una circolazione estremamente limitata proprio all’interno del paese sulla mentalità del quale dovrebbero influire.
Proprio in questi giorni, in risposta al terrorismo ebraico, centinaia di pacifisti israeliani si recano quotidianamente nei territori per supportare i palestinesi nella raccolta delle olive facendo loro da scudo contro la violenza dei coloni. Tuttavia, affinché si produca un cambiamento concreto su larga scala, è indispensabile che insegnanti, guide spirituali, personaggi pubblici, intellettuali e terapeuti si impegnino in una campagna educativa di sensibilizzazione contro la violenza, il razzismo, la discriminazione delle minoranze e la fine dell’occupazione.
Nel frattempo Ir Amim ha diffuso un comunicato nel quale chiede l’immediato intervento del diritto internazionale. Tutelare la comunità palestinese sostenendola significa anche porre le basi per un futuro più stabile nella città che, detenendo uno Stato simbolico per due popoli e tre religioni, riveste un ruolo decisivo anche nel raggiungimento di una soluzione diplomatica.
Immagine in anteprima: frame video Rai News







