Quando i numeri diventano ideologia per dimostrare che gli italiani non vogliono aiutare l’Ucraina
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Periscopio Online, una rivista di sinistra con sede a Ferrara, ha pubblicato il 29 dicembre un articolo dell’economista Andrea Gandini dal titolo Gli italiani contro la guerra e l’invio di armi all’Ucraina. Il testo prende spunto da un sondaggio commissionato dall’Istituto di Studi di Politica Internazionale (ISPI) su “gli italiani e la politica internazionale”.
Nell’interpretazione di Gandini, gli italiani “sono contrari …[ad] aiutare l’Ucraina in tutti i modi e continuare ad inviare le armi.” Da questa lettura deriverebbe l’idea che sia saggio per l’Europa interrompere il riarmo e che l’Ucraina debba “alzare bandiera bianca”.
L’articolo merita di essere commentato perché rappresenta un tipo di narrazione purtroppo diffusa a sinistra, che tenta di legittimare una posizione normativa facendo leva su dati mal costruiti e citati in maniera selettiva, per sostenere la tesi che gli italiani non vogliono aiutare il paese sotto attacco della Russia, da cui discenderebbe che non si dovrebbe.
Vediamo dunque il sondaggio nella sua interezza. L’articolo di Periscopio Online omette di citare un altro dato, presente nel rapporto ISPI: «Per il quarto anno consecutivo, una maggioranza relativa di italiani indica la Russia come la principale minaccia per la sicurezza globale (32%). Un primato netto, che segna un’ampia distanza rispetto a tutti gli altri paesi».
Perché, dunque, non titolare il pezzo in questo modo? O, quantomeno, perché non interrogarsi esplicitamente sull’evidente contraddizione tra la disponibilità ad abbandonare l’Ucraina al suo destino e il diffuso sentimento di pericolo nei confronti della Russia?
Vengo ora alla domanda sull’Ucraina, che costituisce l’oggetto centrale del pezzo di Gandini. «Sulla guerra in Ucraina, secondo lei cosa occorre fare nei prossimi mesi?» chiede il sondaggio. L’istituto che ha condotto la ricerca propone quattro risposte, tra le molte possibili:
- «UE e USA devono interrompere la fornitura di armi anche se questo permettesse alla Russia di conquistare l’Ucraina»; (13%)
- «UE e USA devono continuare ad armare l’Ucraina fino alla cacciata dei russi»; (15%)
- «L’Ucraina deve accettare un accordo con la Russia, anche con perdite territoriali significative»; (36%)
- «Non so». (35%)
Non si capisce perché il sondaggio non includa altre opzioni, come la prosecuzione degli aiuti economici e delle sanzioni, che costituiscono una parte rilevante delle politiche europee verso l’Ucraina.
Come rispondono “gli italiani”? La prima opzione raccoglie il 13% dei consensi. Questa è la posizione di Lega e M5S. È interessante notare che le intenzioni di voto per i due partiti, sommate, sono pari al 21,6%. Ne consegue che nemmeno il loro stesso elettorato sembra condividere pienamente questa posizione.
Aggiungo che l’articolista riporta un dato del 20% (non del 13%) di appoggio a questa opzione, scrivendo: «Inoltre c’è un altro 20% che è talmente contrario all’invio di armi che lo sarebbe anche nel caso in cui la Russia conquistasse tutta l’Ucraina». Come è possibile che il 13% si trasformi in 20%? Il risultato si ottiene escludendo dal calcolo i “non so” (che sono il 35% del totale!). A me sembra invece che “non so” sia una risposta che non può essere semplicemente eliminata: chi oggi non sa potrebbe in futuro convincersi in un senso o nell’altro. Inoltre, un’elevata quota di “non so” indica anche un’opinione pubblica disorientata. Ignorare questo dato significa perdere un’informazione politicamente rilevante.
La seconda opzione proposta dal sondaggista è: «UE e USA devono continuare ad armare l’Ucraina fino alla cacciata dei russi». Risultato: 15%. Si può sostenere che questa sia la posizione di Azione, Italia Viva e +Europa, tre partiti che, in base ai sondaggi recenti, raccolgono complessivamente il 7,2% dei consensi. Anche in questo caso, il risultato suggerisce una discrepanza tra rappresentanza politica e opinione degli “italiani”, ma di segno opposto: la posizione risulta più popolare dei partiti che la sostengono.
In ogni caso, si può essere favorevoli all’invio di aiuti militari all’Ucraina senza necessariamente credere che sia possibile ricacciare i russi entro i loro confini. Questa formulazione rappresenta un caso da manuale di domanda a doppio contenuto (double-barrelled question), che chiede di esprimere un’unica risposta su due affermazioni logicamente indipendenti. L’operazionalizzazione del concetto risulta quindi errata, rendendo il dato poco affidabile, e inficiando la validità del sondaggio.
Vengo infine alla terza risposta preconfezionata: «L’Ucraina deve accettare un accordo con la Russia, anche con perdite territoriali significative». Questa posizione, che ottiene il 36%, è perfettamente compatibile con l’invio di armi e non è sovrapponibile all’idea che l’Ucraina debba “alzare bandiera bianca”. In sostanza, cosa vuole sapere il sondaggista: se gli italiani sono favorevoli o contrari all’invio di armi, oppure se sono favorevoli a un certo tipo di accordo di pace? Un accordo che preveda la cessione di territori non implica necessariamente l’assenza di aiuti militari. Anche per questo motivo la formulazione risulta, ancora una volta, concettualmente confusa.
Vale anche la pena ricordare che la risposta 3 coincide sostanzialmente con la posizione della stessa dirigenza ucraina, la quale però — per qualche strana e incomprensibile ragione — chiede all’Occidente di continuare a fornire aiuti militari e di ottenere garanzie affinché la cessione di territori non comporti una nuova invasione russa nel giro di uno o due anni. Questioni del tutto assenti dal sondaggio. Ad esempio, ci si potrebbe legittimamente chiedere se ci fidiamo di assicurazioni solo verbali della Russia o se riteniamo necessarie garanzie concrete. Una domanda simile, purtroppo, non è stata posta.
Va aggiunto che, in genere, il pubblico italiano, quando interrogato nei sondaggi internazionali, tende a essere tra i meno favorevoli all’invio di armi, agli aiuti finanziari e all’utilizzo dei beni russi congelati rispetto ad altri paesi europei come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Eppure, questi dati non ci dicono che gli italiani siano contrari ad “aiutare l’Ucraina in tutti i modi”. L’opinione pubblica tende a essere favorevole alle sanzioni (intorno al 48%) ed è piuttosto scettica verso l’invio di truppe italiane (18%, un dato comunque più alto di quello tedesco). Certo, la posizione italiana merita una riflessione specifica, che in ogni caso dovrebbe andare oltre le tavole con i risultati di domande secche, e sviluppare modelli di regressione multipla e, magari, sondaggi che utilizzino vignette o altri metodi più sofisticati per scandagliare le opinioni e, possibilmente, i comportamenti.
I molti ferraresi che hanno frequentato la facoltà di Scienze Politiche di Bologna negli anni Ottanta forse ricorderanno il magistero di Alberto Marradi, professore di metodologia delle scienze sociali e curatore di un libro dal titolo perfetto: Costruire il dato. Sulle tecniche di raccolta delle informazioni nelle scienze sociali (Franco Angeli, 1990). Mantenere una sana distanza critica rispetto al modo in cui i dati vengono confezionati è opportuno se si vuole davvero contribuire al dibattito politico e non piegare i numeri alle proprie tesi. La sociologia empirica ci insegna a diffidare di dati costruiti male.
Nelle stesse aule si potevano ascoltare importanti lezioni di filosofia morale e politica. Ad esempio, ci insegnavano la legge di Hume, secondo cui non è logicamente lecito inferire prescrizioni normative (ought) da enunciati descrittivi (is) senza introdurre esplicitamente una premessa normativa aggiuntiva. Il fatto che una maggioranza degli italiani esprima una certa opinione in un sondaggio non implica, di per sé, che quella posizione debba tradursi in una scelta politica. Confondere il dato descrittivo con una prescrizione normativa significa compiere un salto logico che la filosofia morale ha giustamente messo al bando. Dobbiamo farlo anche noi.
(Immagine anteprima via Flickr)







