Ammazzablog, l’autocensura di Wikipedia: è questa la rete che vogliamo?
4 min letturaDiciamolo subito, a scanso di equivoci: stavolta Vasco Rossi non
c’entra. La versione in italiano di Wikipedia (l’enciclopedia on line
collettiva forte di quasi 900 mila voci, quarta al mondo dopo quelle in
inglese, tedesco e francese) è al momento oscurata, in segno di
protesta contro l’ormai celebre comma ammazza-blog (qui uno splendido
post di Metilparaben featuring vari blogger nella veste di
rettificatori).
Si tratta di una forma di autocensura annunciata da alcuni giorni e
messa in atto al termine di un lungo, democratico e approfondito
dibattito in rete tra gli utenti del sito, con l’obiettivo di attirare
l’attenzione dei media sugli effetti che l’applicazione del “comma 29”
(noto anche come obbligo di rettifica) potrà avere sulla libertà e la
neutralità dell’informazione. Se la legge bavaglio dovesse passare,
l’idea stessa di Wikipedia sarebbe minata nelle sue fondamenta. Anche perché, se vogliamo dirla tutta, l’impressione è che in rete
non si sia compreso appieno quale è il fulcro della questione, cioè su
cosa impatterebbe il comma 29.
Qualcuno ha fatto presente che in fondo la rettifica potrebbe essere
un bene per la rete, poiché la rete non è altro che moltiplicazione dei
punti di vista, quindi incremento delle informazioni. Insomma, se con la
rettifica si affianca la mia verità a quella dell’articolista che male
c’è? Non è meglio due punti di vista invece di uno solo?
In realtà con il comma 29 un governo che ci tiene a dichiararsi
ferocemente a favore delle libertà individuali, al punto da farne nome
del partito principale della coalizione, di fatto limita pesantemente
tali libertà. Se un blogger commette un illecito a mezzo del suo sito è
sacrosanto pretendere che ne debba pagare le conseguenze, perché il
principio indefettibile ed irrinunciabile di ogni democrazia è la
responsabilità per le proprie azioni, ma pretendere che in assenza di
qualsivoglia illecito o reato si debba ospitare sul proprio sito
l’altrui opinione o “verità personale”, a pena di forti sanzioni, appare
un’ingiustificabile compressione delle libertà individuali.
Se un articolo appare in qualche modo “disturbante” per il soggetto
citato, ma sempre nei limiti delle leggi vigenti, non ha alcun senso
imporre sull’altrui sito la presenza di voci in contrasto, perché tale
modo di fare determina soltanto un sovraccarico di messaggi ed
informazioni che alla fine porta ad una svalutazione di tutti i messaggi
in rete. Quello che effettivamente si vuole, tramite il comma 29, è
probabilmente proprio sfruttare la cosiddetta strategia della
disattenzione tipica dei talk show ai quali ci stiamo, purtroppo, progressivamente
abituando, dove i messaggi urlati che si sovrappongono creano un rumore
di fondo nel quale diventa sempre più difficile distinguere il vero dal
falso, gettando sull’intera informazione una cinerea patina di
relativismo, mangiandosi quella scarsa risorsa che è il tempo delle
persone!
Ecco quindi che il famigerato comma 29 incute timore anche alla più
grande enciclopedia in rete, Wikipedia, dove gli amministratori della
versione italiana paventano i rischi del doversi impelagare in questioni
legali. Wikipedia non ha quelli che, giuridicamente, si possono definire
responsabili, ma in teoria chiunque può scrivere quello che vuole, fermo
restando un controllo degli altri utenti che generalmente garantisce
una certa correttezza delle informazioni, un sistema che ha portato
Wikipedia a diventare una fonte insostituibile di informazioni in tutto
il mondo.
Quindi, al di là dell’ovvia problematica di individuare un
responsabile della cosiddetta rettifica, che in teoria dovrebbe essere
Wikimedia Foundation negli Usa, alla versione italiana della creatura di
Jimbo Wales fa paura la possibile perdita del punto di vista neutrale, principio irrinunciabile dell’enciclopedia gratuita. Il punto di vista neutrale, secondo le linee guida di Wikipedia, è un
metodo di presentazione delle informazioni in base al quale la voce
deve presentare tutti i punti di vista significativi pubblicati da fonti
attendibili e farlo in maniera proporzionata all’importanza di
ciascuna, senza concedere, quindi, uno spazio uguale a punti di vista
minoritari e maggioritari. Il comma 29 avrebbe proprio l’effetto di azzerare la neutralità
(anche se tendenziale essendo esseri umani coloro che scrivono su
wikipedia) delle voci dell’enciclopedia imponendo la pubblicazione di
tutti i punti di vista possibili su un determinato argomento, senza
alcuna possibilità di discernere ciò che è significativo da ciò che non
lo è.
In quest’ottica non dobbiamo dimenticare che Wikipedia è statospesso attaccata per una presunta non affidabilità delle sue voci,
laddove alcune ricerche hanno comunque dimostrato che l’affidabilità
dell’enciclopedia gratuita non è tanto dissimile da ben più blasonate, e
a pagamento, concorrenti. La vera novità della creatura di Jimbo Wales è
data, invece, dalla neutralità delle voci, una tendenza
all’imparzialità che può esistere solo in progetti che siano
indipendenti da ogni forma di sponsorizzazione, sia economica che
politica. Ed è per questo che Wales ha sempre rifiutato ogni tipo di
sovvenzionamento, preferendo chiedere ai suoi utenti un contributo, anzi
tanti piccoli contributi, per non dover abbandonare il punto di vista
neutrale.
Il controllo del sapere, come Diderot e D’Alambert già evidenziarono
nel ‘700, e come ben sapeva Mussolini che supervisionava personalmente
la redazione della voce Fascismo della Treccani, è fondamentale per il
potere, ed è per questo che le dispute sull’affidabilità di Wikipedia
sono fuorvianti, laddove quello che davvero importa è la sua tendenziale
neutralità. Quella stessa neutralità che oggi, con l’approvazione del
comma 29, rischierebbe di cedere il passo ad un florilegio di molteplici
“verità” personali.
Invece di una sola voce controllata strettamente dal potere, avremmo
una moltitudine di voci nelle quali sarebbe impossibile distinguere
qualsiasi “verità”. E questo non solo su Wikipedia, ma in tutta la rete!
Al di là dei contenuti della protesta, vale forse la pena
soffermarsi sulla forma e sul metodo. L’autocensura preventiva - decisa
dal basso, dagli stessi utenti che sono a un tempo creatori e fruitori
del servizio - è una scelta di libertà che forse i siti di news non
possono permettersi (avendo aziende che pagano un tot di euro per i
loro ads) ed è anche un modo per verificare se il pluralismo e
l'articolo 21 interessino davvero a qualcuno, se il silenzio
consapevole e informato (al quale magari potrebbero unirsi le “voci”
autorevoli di molti blogger italiani disposti ad oscurare le proprie
pagine) possa produrre risultati efficaci. Oppure conta solo #vascomerda?
Andrea Iannuzzi e Bruno Saetta