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Il rapporto sulle “stazioni di polizia” cinese segrete: 11 sono in Italia

7 Dicembre 2022 5 min lettura

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Il rapporto sulle “stazioni di polizia” cinese segrete: 11 sono in Italia

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L’Italia ospita 11 stazioni di “polizia cinese d’oltreceano” non ufficiali. È quanto emerge dal rapporto “Patrol and persuade” dell’ONG spagnola Safeguard Defenders. Il rapporto, visionato in anteprima da L’Espresso, illustra la diffusione di questi centri e il loro operato nei rimpatri forzati. Come scritto dal settimanale:

Formalmente gli uffici rinnovano patenti, passaporti e altri documenti cinesi e funzionano come dei Caf pensati per aiutare la comunità cinese a esplicare pratiche a distanza nel proprio paese d’origine. Inoltre agirebbero come uffici consolari paralleli. E questo in violazione della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari. Essa prevede che tali strutture siano indicate come tali alle autorità ospitanti. In realtà, però, lo stesso governo cinese definisce gli uffici come «stazioni di polizia d’oltreoceano» in cui il personale lavora affinché la comunità cinese locale venga monitorata e vengano intercettati eventuali fuggitivi, come confermano decine di storie personali verificate da L’Espresso.

Nel rapporto di Safeguard Defenders, il secondo pubblicato sul tema, sono individuate 48 nuove stazioni censite in paesi dove è presente una comunità cinese. Di queste, le undici italiane si trovano a Roma, Milano, Bolzano, Venezia, Firenze, Prato e in Sicilia. 

Non sarebbero attive solo per il rimpatrio di criminali comuni e funzionari corrotti, come per esempio con l’operazione Fox Hunt, lanciata dal governo cinese nel 2014, o l’operazione Sky Net del 2015. Dietro queste facciate, infatti, ci sarebbero concreti pericoli di repressione per dissidenti politici, come rivelava già Pro Publica l’anno scorso. Questi rimpatri sarebbero ottenuti attraverso mezzi che vanno dalle minacce di ritorsione per i parenti rimasti in Cina al rapimento. Scrive ProPublica:

Secondo gli esperti, Fox Hunt fa parte di un'offensiva calcolata per mandare il messaggio che nessuno è al di fuori della portata di Pechino. Mentre il Partito Comunista Cinese costruisce il più grande stato di polizia della storia, esporta repressione. Un rapporto di Freedom House, un gruppo no-profit per i diritti umani, ha concluso che la Cina conduce "la più sofisticata, globale e completa campagna di repressione transnazionale al mondo". Con l'Occidente preoccupato da altre minacce come il terrorismo, le spie cinesi hanno saturato le comunità della diaspora con agenti arruolati.

Nell’ottobre scorse, il reporter di Vice Tim Hume aveva visitato la sede londinese che ospita una di queste stazioni. Sempre nel Regno Unito, ma a Glasgow, la stazione di polizia si troverebbe all’interno di un ristorante cinese. In Olanda, dove sono state scoperte due sedi aperta a partire dal 2018, senza informare le autorità del paese, i funzionari di queste stazioni segrete avrebbero minacciato un dissidente cinese, Wang Jingyu. L’uomo, perseguitato in patria per dei post critici sul governo condivisi sui social media, ha ottenuto asilo insieme alla fidanzata. In Irlanda, invece, il governo ha chiesto all’ambasciata cinese di chiudere la stazione presente a Dublino. 

Come spiegato da Hume, nonostante i governi olandesi e irlandesi abbiano parlato dell’illegalità di stazioni di polizia non dichiarate, “i funzionari cinesi hanno promosso apertamente le stazioni di servizio di polizia ai cittadini cinesi, insistendo sul fatto che non stanno facendo nulla di male”.

Secondo quanto si legge nel rapporto di Safeguard Defenders, benché le stazioni non siano gestite direttamente da Pechino, “alcune dichiarazioni e decisioni politiche iniziano a mostrare una guida più chiara da parte del governo centrale nell'incoraggiare la loro istituzione e le pratiche svolte”. Sempre per le autorità cinesi, solo una percentuale esigua - tra l’1 e il 7% - dei rimpatri avviene attraverso vie ufficiali, come per le richieste di estradizione.

Per quanto riguarda l’Italia, L’Espresso ha condiviso inoltre alcuni documenti delle autorità cinesi in cui le stazioni di Milano e Roma sono definite “progetti pilota”. A Prato, come ricorda la giornalista Giulia Pompili, è presente la seconda comunità cinese d’Italia. La polizia, tuttavia, sulla presenza della centrale ha spiegato che “si occupa solo di pratiche amministrative e non di pubblica sicurezza”. Pompili si era occupata della stazione di Prato già a settembre, parlando di “un’altra operazione poco trasparente della Cina in Italia rischia di diventare motivo di preoccupazione per dissidenti, rifugiati e ricercati sfuggiti alla rieducazione politica nel nostro paese”. 

Il nostro paese dal 2015, l’anno successivo al lancio dell’operazione Fox Hunt, ha siglato con il ministero per la Pubblica Sicurezza della Cina accordi di cooperazione bilaterale "nell'ambito della lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata internazionale, alla migrazione illegale e al traffico di esseri umani". Ai primi di maggio dell’anno successivo si svolgono i primi pattugliamenti congiunti della polizia, a Roma e Milano. “Proprio nello stesso periodo” si legge nel rapporto, “l'Ufficio di pubblica sicurezza della città-prefettura dii Wenzhou avrebbe sperimentato l'istituzione di un punto di contatto della polizia cinese d'oltremare a Milano”, in Italia. Il rapporto esamina altri accordi bilaterali stipulati negli anni dal nostro paese con il ministero per la Pubblica Sicurezza, di cui però non si conosce il contenuto. 

L’Espresso ha interpellato per avere informazioni e chiarimenti il ministero dell’Interno e Giuseppe Moschitta. Quest’ultimo nel 2018, in qualità di capo del commissariato di polizia all’Esquilino, aveva partecipato all’inaugurazione della stazione di polizia d’oltreoceano nel quartiere romano. Oltre a loro due, è stato contattato il ministero degli Esteri “per capire”, scrive l'Espresso com’è possibile che l’ambasciata italiana a Pechino [...] fosse all’oscuro del fatto che questi accordi venivano presi con l’MPS, ministero cinese ben noto per le attività di repressione condotte a danno dei dissidenti e delle minoranze etniche-religiose nel paese”. A distanza di oltre una settimana, dai due ministeri non è arrivata risposta.

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Negli Stati Uniti, dopo l’uscita del primo rapporto di Safeguard Defenders il direttore dell’FBI Christopher Wray si è detto “molto preoccupato”. Di fronte alla commissione per la Sicurezza Interna e gli Affari Governativi ha spiegato che “per me è scandaloso pensare che la polizia cinese tenti di insediarsi, ad esempio, a New York, senza un adeguato coordinamento. Questo viola la sovranità e aggira i processi standard di cooperazione giudiziaria e tra le forze dell'ordine". 

L’ambasciatore cinese a Washington ha replicato dicendo che le stazioni sono centri “gestiti da volontari”. Secondo il portavoce dell’ambasciata, Liu Pengyu, questi centri “assistono i cittadini cinesi d'oltremare che hanno bisogno di aiuto per accedere alla piattaforma di servizi online per ottenere il rinnovo della patente di guida e fare i controlli fisici". Pengyu ha invitato il governo americano a “smettere di dare peso alla questione”.

Immagine in anteprima via Safeguard Defenders

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