Fondato sulla sabbia. Un viaggio nel futuro di Israele
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Il libro di Anna Momigliano“Fondato sulla sabbia. Un viaggio nel futuro di Israele” (Garzanti, 2025) è una delle ricompense per il crowdfunding 2026 di Valigia Blu. Scrittrice e giornalista, Anna Momigliano ha vissuto e studiato in Israele e negli Stati Uniti, dove si è laureata in antropologia. Per le sue corrispondenze dal Medio Oriente, nel 2007 ha vinto il premio speciale Archivio Disarmo – Colombe d’Oro per la Pace. Collabora con il «New York Times», «Il Post», «Rivista Studio» e il quotidiano israeliano «Haaretz»; ha scritto per il «Washington Post» e «The Atlantic».
L’idea di scrivere il libro “Fondato sulla sabbia. Un viaggio nel futuro di Israele” (Garzanti, 2025) risponde a due domande, racconta Anna Momigliano in un articolo su La Stampa: “cercare di capire cosa è diventato Israele dopo il 7 ottobre e come fosse possibile che Israele si sia spinto fino a questo punto, con decine e decine di migliaia di morti a Gaza, la Striscia rasa al suolo e nessuno spiraglio in vista”; e poi, “descrivere e spiegare il paese più in generale, con la sua storia, la sua cultura, la sua lingua e il suo rapporto privilegiato con la religione ebraica” per rispondere a “quella che, tra il serio e il faceto, chiamo la ‘fregola esistenziale’ su (o, meglio, contro) Israele, insomma l’ansia di rappresentare lo Stato ebraico come qualcosa di intrinsecamente sbagliato, brutto, come a dire che sarebbe stato meglio che non fosse mai nato”.
Per capire cosa è diventato Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, dobbiamo innanzitutto chiederci cosa stesse diventando già prima di quel giorno, prosegue Momigliano. “Perché è già da un po’ che lo Stato ebraico, un paese che amo e che un tempo ho chiamato casa, stava prendendo una brutta piega”.
“La distruzione che stiamo vedendo a Gaza è anche il frutto di tre cambiamenti socio-politici che hanno attraversato Israele negli ultimi vent’anni: la rimozione della questione palestinese dalla politica, l’assuefazione alla violenza (proprio su Gaza!), e uno sconvolgimento demografico all’interno di Israele”.
Questi tre elementi sono tutti raccontati e analizzati nel libro. La rimozione della questione palestinese dalla politica israeliana “è un processo che si è cristallizzato alla fine della Seconda Intifada, circa nel 2005. Gli accordi di Oslo, che nel 1993 avevano portato alla nascita dell’Autorità nazionale palestinese e che avrebbero dovuto portare alla nascita di un futuro Stato palestinese, si erano arenati da tempo e da questa frustrazione – insomma dall’idea che l’occupazione si stesse consolidando – era nata nei primi anni Duemila un’ondata di terrorismo palestinese, che aveva colpito duramente i civili israeliani. Poi, con gli accordi di Sharm el-Sheik e con la costruzione del muro che separa Israele dalla Cisgiordania, quest’ondata di terrorismo è finita, ma il processo di pace è rimasto arenato”.
L’assuefazione alla violenza “è un processo che forse è iniziato prima, ma che ha assunto connotazioni senza precedenti, a partire dall’operazione Piombo Fuso (2008-2009), quando Israele ha lanciato il primo bombardamento massiccio su Gaza. Lo Stato ebraico aveva smantellato le sue colonie nella Striscia nel 2005 e due anni dopo Hamas ha preso il potere con la forza, separando Gaza dal resto dei Territori palestinesi. Da allora i lanci dei razzi contro Israele erano aumentati, e così Israele ha preso l’abitudine di rispondere bombardando, ciclicamente, il territorio controllato da Hamas. Ci sono stati cicli di bombardamenti nel 2012, nel 2014, e nel 2021”. Questa strategia – si legge nel libro – “è stata soprannominata ‘tagliare l’erba’, ricorrendo a una metafora di una crudezza impietosa: l’aviazione israeliana distrugge gli arsenali delle milizie palestinesi, ma poi va da sé che quegli arsenali di razzi saranno ricostruiti, come l’erba ricresce dopo essere stata tagliata, e Israele a quel punto bombarderà di nuovo”. Quello che è successo a Gaza tra il 2023 e il 2024 “rappresenta, in parte, il prodotto e la fine di questo equilibrio. Certo, i numeri delle vittime di Piombo Fuso e Tzuk Eitan impallidiscono rispetto a quelli dell’ultima campagna militare su Gaza, ma il fatto che i bombardamenti massicci erano già diventati una routine, come se si trattasse di ‘tagliare l’erba’, ha contribuito a renderli possibili”.
Infine, il terzo aspetto, lo sconvolgimento demografico: “Israele è un paese giovane, con una crescita che non ha paragoni in altre economie avanzate, e dove ci sono quattro gruppi principali: gli ebrei laici, i palestinesi con cittadinanza israeliana, gli ebrei ultra-ortodossi e gli ebrei nazional-religiosi. Il primo gruppo, che un tempo rappresentava la solida maggioranza, ora non lo è più; il secondo è rimasto costante, in termini percentuali (circa il 20%); ma gli altri due, che prima erano marginali, sono cresciuti. Uno dei risultati è che è emerso un nuovo ordine sociale, dove certe idee, che prima erano ai margini, sono dominanti”.
E ora la vecchia classe dirigente, legata agli ideali del sionismo laico e socialista, ai quali si erano ispirati i padri dello Stato, sembra ormai sopravanzata da una maggioranza formata da giovani religiosi e nazionalisti. “L’etno-nazionalismo è diventato molto più presente nel mainstream culturale”, spiega Momigliano in un’intervista a Il Riformista. “Tuttavia, il sistema democratico israeliano sta subendo una pressione enorme anche da altri fronti. La riforma giudiziaria proposta dal governo Netanyahu ne è un esempio. Non si tratta di un intervento tecnico sul funzionamento dei tribunali, ma di un insieme di leggi che, in sostanza, permetterebbero al governo di aggirare i meccanismi di bilanciamento dei poteri già deboli nel sistema israeliano”.
Il titolo del libro è una citazione di Ari Shavit, autore di “My Promised Land”, quando dice: “Abbiamo costruito le nostre case sulla sabbia”, racconta Momigliano. “Si riferisce agli insediamenti sionisti dei primi anni, prima ancora della fondazione dello Stato di Israele (ai tempi del Mandato britannico, 1920-1948). Erano pionieri che costruivano nel deserto, fondavano comunità agricole, ma sempre con l’idea che tutto potesse crollare da un momento all’altro”.
“Come ha scritto Amos Oz – si legge nella quarta di copertina – Israele è un paese nel quale ‘tutti vengono da qualche altra parte’, perché è nato dalla fuga degli ebrei dall’Europa e dal Medio Oriente; un paese che da sempre convive con l’idea che altri vogliano spazzarlo via e che allo stesso tempo occupa da quasi sessant’anni territori nei quali impone a milioni di palestinesi un sistema antidemocratico”.







