I volontari che fanno da scudo con il proprio corpo a un villaggio palestinese contro i coloni israeliani
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Ogni mattina, nella valle del Giordano, adolescenti coloni israeliani, armati di mazze e bastoni, conducono greggi di capre verso il villaggio palestinese di Ras Ein al-Auja per costringere le famiglie che vi abitano ad andarsene e conquistare terre. Le persone del posto non possono fare altro che rifugiarsi nelle loro tende e capanne. Qualsiasi segno di opposizione, difesa o resistenza potrebbe infatti attirare l’attenzione dell’esercito israeliano o della polizia di frontiera ed esporle a detenzione “amministrativa” senza processo, per mesi o anni, alla confisca dei beni.
“Sono venuto con il mio gregge per proteggere la terra. L'obiettivo è espellere queste persone”, racconta Lev Taor, un giovane colono a cui pochi giorni prima era toccato guidare un gregge di capre attraverso Ras Ein al-Auja.
A fare da scudo all’avanzata dei coloni – racconta un reportage del Guardian –c’è un gruppo di volontari di tutti i paesi, anche israeliani. “I coloni stanno cercando di provocare la popolazione locale affinché reagisca e si difenda, ma se lo facesse l'esercito e la polizia farebbero irruzione nella comunità e arresterebbero tutti”, racconta uno dei volontari israeliani, Amir Pansky, maggiore dell'esercito israeliano in pensione. “Siamo una presenza protettiva perché mettiamo i nostri corpi tra i coloni ebrei e i palestinesi”.
La vita degli abitanti di Ras Ein al-Auja è stata sempre più limitata negli ultimi anni. Non possono più pascolare le loro mandrie sui pendii occidentali della valle del Giordano, come avevano fatto le generazioni precedenti.
Dall'inizio della guerra di Gaza e dalla radicale accelerazione dell'appropriazione di terre da parte di Israele in Cisgiordania, i 700 abitanti del luogo sono stati in gran parte confinati nel villaggio, una serie di capanne, tende e rifugi per animali lungo un torrente che scorre da est da una sorgente verso il fiume Giordano. Hanno ridotto il numero delle loro mandrie e hanno comprato mangime per loro, ma finora si sono rifiutati di abbandonare completamente Ras Ein al-Auja.
“Prima qui era molto tranquillo. Si potevano pascolare le mandrie a est, ovest, nord, sud e non c'erano problemi”, racconta Naef Ja'alin, uno degli abitanti del villaggio. “I coloni hanno iniziato a infastidirci anni fa, quando pascolavamo le nostre mandrie, ma era a una certa distanza dal villaggio. Dal 7 ottobre [2023], si sono avvicinati sempre di più, al punto che oggi nessuno porta più il proprio gregge fuori dal villaggio”.
La famiglia Ja'alin è stata trasferita nella zona dal sud di Israele dopo la guerra del 1967, che ha dato inizio all'occupazione. Naef Ja'alin dice che non hanno altro posto dove andare. Suo figlio dorme con le scarpe ai piedi, così è pronto a scappare se la famiglia viene attaccata durante la notte.
Le azioni dei coloni sono coordinate. Nelle scorse settimane, il villaggio è stato accerchiato da tre gruppi diversi: prima i gruppi con le capre, da un altro lato, successivamente, un altro gruppo con una cinquantina di cammelli, nelle retrovie i coloni più anziani pronti a intervenire con le armi.
I coloni registrano tutto con i loro smartphone e commentano in diretta. A loro volta, tutti i volontari indossano una telecamera sul corpo per registrare tutto e poter documentare eventuali accuse false di aggressione. Il 3 dicembre, alcuni aggressori su veicoli fuoristrada hanno fatto irruzione nel complesso dove alloggiano i volontari internazionali a Ras Ein al-Auja e hanno spruzzato spray al peperoncino in faccia a molti di loro.
Tra i volontari ci sono giovani e anziani. I volontari israeliani fanno parte di un'organizzazione chiamata “Looking the Occupation in the Eye”, mentre quelli internazionali provengono da un'organizzazione chiamata “Unarmed Civilian Protection in Palestine”. “La cosa principale che mi ha motivato è ciò che racconterò ai miei nipoti su ciò che ho fatto durante il disastro che il governo di Israele ha causato in questa zona”, racconta Doron Meinrath, ex ufficiale superiore dell’esercito israeliano. “Voglio potermi guardare allo specchio e poter dire che ho fatto tutto il possibile”.
Gli attacchi dei coloni contro i volontari sono in aumento. Il 7 dicembre, una banda di otto coloni israeliani mascherati e armati di mazze ha fatto irruzione nella casa di una famiglia palestinese su una collina fuori dal villaggio di al-Mughayyir, a nord-est di Ramallah, ferendo un ragazzo palestinese di 13 anni, sua nonna di 59 anni e alcuni volontari internazionali dell'International Solidarity Movement provenienti da Colombia, Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Tra loro, Phoebe Smith, volontaria britannica di 31 anni, ora in convalescenza, ma già pronta a tornare a difendere le famiglie palestinesi. “Voglio sostenere queste famiglie in ogni modo possibile e dimostrare loro che non possiamo essere allontanati. Devono rimanere lì”.







