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Come le big tech influenzano i governi per bloccare le leggi che dovrebbero regolamentarle

10 Dicembre 2025 5 min lettura

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Come le big tech influenzano i governi per bloccare le leggi che dovrebbero regolamentarle

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Da quando diversi fondatori e amministratori delegati delle grandi aziende tecnologiche hanno sposato l’agenda politica dell’amministrazione Trump, il governo degli Stati Uniti si è esposto in prima linea per difendere gli interessi di queste aziende.

“Mi opporrò ai paesi che attaccano le nostre incredibili aziende tecnologiche americane. Le tasse digitali, la legislazione sui servizi digitali e le normative sui mercati digitali sono tutte progettate per danneggiare o discriminare la tecnologia americana. Mostrate rispetto per l'America e le nostre straordinarie aziende tecnologiche o preparatevi alle conseguenze!”. Così si pronunciava Trump appena la scorsa estate.

La contiguità politica con l’amministrazione Trump è l’ultima evoluzione di una battaglia che le grandi aziende tecnologiche stanno conducendo da tempo per eliminare o indebolire quelle leggi e regolamentazioni che incidono sui loro profitti o mettono in discussione i loro modelli di business globali. Sempre più spesso lobbisti, associazioni di settore e operazioni mediatiche per influenzare i legislatori in varie regioni del mondo cercano di impedire che il raggio d’azione di queste grandi aziende venga regolamentato per mitigare l’enorme potere che le piattaforme stanno acquisendo, compromettendo la privacy dei cittadini, l’integrità delle informazioni e, in ultima battuta, la salute e solidità delle nostre democrazie.

Per svelare la portata e il potere senza precedenti di queste aziende e la pervasività della loro azione di lobby, Agência Pública, un'organizzazione no profit brasiliana, ha unito le forze di altri 16 media di tutto il mondo. 

Più di 40 giornalisti hanno presentato centinaia di richieste di documentazione in paesi che vanno dal Paraguay all'Australia, passando per l’Unione Europea, hanno analizzato i registri delle missioni a governi e degli incontri con legislatori, hanno letto rapporti aziendali e governativi e hanno intervistato centinaia di fonti, tra cui legislatori, politici, lobbisti, esperti, attivisti, vittime del mercato tecnologico e addetti ai lavori. Il team transnazionale di giornalisti di inchiesta ha messo insieme un database di 2.977 azioni di lobbying tra il 2019 e il 2025 in 11 paesi e nell'Unione Europea.

L’inchiesta ha appurato che oggi le Big Tech sono il settore che spende di più in lobbying nell'Unione Europea e negli Stati Uniti, ma l’impatto maggiore è nei paesi del Sud del mondo, dove la lobbying non è regolamentata e lo squilibrio economico e di potere è più ampio.

Basti pensare che solo in America Latina, il fatturato di Alphabet nel 2024 era quasi pari al prodotto interno lordo del Cile, tre volte quello dell'Ecuador e dieci volte quello di El Salvador. Il fatturato di Meta era più di tre volte superiore al prodotto economico del Paraguay. Il fatturato di Amazon è equivalente al PIL dell'Argentina e a un terzo di quello del Brasile, un paese con oltre 210 milioni di abitanti.

Inoltre, le Big Tech sono in una posizione privilegiata per esercitare pressioni sui politici, poiché le loro piattaforme sono fondamentali per qualsiasi candidato che voglia ottenere visibilità su Internet e, di conseguenza, voti. In paesi come il Brasile, c'è un'intera generazione di legislatori che sono stretti alleati delle Big Tech e ricevono formazione da Meta e Google, oltre a un servizio clienti VIP per migliorare la loro presenza online. Secondo l'indagine, sono sempre disposti a difendere gli interessi di queste aziende.

Tra le tattiche più utilizzate per fare pressione ci sono quella della “porta girevole”, ovvero l'assunzione di ex funzionari pubblici per fare lobbying per conto delle aziende; “astroturfing”, ovvero il finanziamento di campagne o iniziative civiche che sembrano indipendenti ma che si oppongono alla regolamentazione in modo da favorire gli interessi del settore; la costruzione di reti di relazioni con funzionari pubblici attraverso omaggi, visite, eventi, cene, happy hour e viaggi presso le sedi delle aziende Big Tech; proposte di testi di legge inviate direttamente dai lobbisti; campagne di disinformazione che promuovono l'idea che la regolamentazione equivalga a censura o minacci l'innovazione; e annunci a pagamento su giornali e social media volti a influenzare l'opinione pubblica.

Il Brasile è un caso importante di questa tendenza globale: su 75 professionisti assunti da 15 grandi aziende tecnologiche, due su tre avevano avuto in precedenza incarichi governativi. La loro azione è risultata decisiva per affossare il cosiddetto “Fake News Bill” brasiliano, la legge più solida proposta per responsabilizzare le aziende e richiedere trasparenza. Nello specifico, il team politico di Meta ha ideato una campagna di disinformazione sostenendo che il disegno di legge avrebbe portato alla censura della Bibbia. In un esempio di astroturfing, Alphabet ha utilizzato i propri prodotti per influenzare l'opinione pubblica e persuadere gli YouTuber a protestare contro la legge. In un altro caso, un'organizzazione di facciata finanziata dalle Big Tech, chiamata Instituto Cidadania Digital, è riuscita a portare manifestanti contro la proposta di legge all'aeroporto di Brasilia. Google ha anche assunto l'ex presidente Michel Temer per sostenere i propri sforzi, ha utilizzato la sua homepage di ricerca per la campagna anti-regolamentazione e ha acquistato annunci che associavano la legge alla “censura”.

Il caso di Temer non è isolato. Il Tony Blair Institute, fondato dall'ex primo ministro britannico, ha sviluppato uno stretto rapporto con Oracle dopo aver ricevuto una donazione di 130 milioni di dollari da Larry Ellison, co-fondatore ed ex CEO del gigante del software e del cloud computing. Secondo oltre 20 fonti interne, ai dipendenti dell'istituto sarebbe stato ordinato di promuovere l'adozione dei prodotti Oracle da parte dei governi di tutto il mondo. Fonti interne hanno affermato che “è difficile rendere l'idea di quanto siano profondamente legate le due [organizzazioni]. Le riunioni erano come se facessero parte della stessa organizzazione”. Altri hanno affermato di aver dovuto promuovere la tecnologia di Oracle pur sapendo che non era nell'interesse del paese in questione e che poteva persino causare danni.

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In Argentina l'amministrazione fiscale federale non è stata in grado di riscuotere le tasse dopo che alle Big Tech sono state concesse esenzioni improprie. Il gigante locale del commercio online Mercado Libre, insieme a Netflix e Uber, è sfuggito alla tassazione. In Ecuador la pressione delle Big Tech ha fermato una legge sulla protezione dei dati personali dopo una fuga di notizie che ha messo a rischio i dati di milioni di cittadini. In Indonesia, le pressioni delle grandi aziende tecnologiche sono riuscite ad allentare le normative tecnologiche del paese con l'aiuto dell'ambasciata degli Stati Uniti.

E questo, spiega su Nieman Reports, Natalia Viana, fondatrice dell’organizzazione no profit brasiliana Agência Pública, a capo del gruppo di media che ha condotto l’indagine, “è solo l'inizio. La lobby delle Big Tech sta avendo un impatto molto più ampio in molti paesi” che non sono stati coinvolti nell’inchiesta. “Questa è una battaglia per il futuro. Il modo in cui le società affrontano i danni causati dalle piattaforme tecnologiche e come riescono a regolamentare ed equilibrare questo potente settore definirà in gran parte come saranno i prossimi decenni. Ed è compito dei giornalisti essere in prima linea per raccontarlo”.

 

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