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La Corte dei Conti ha fermato il Ponte sullo Stretto per violazione di norme interne ed europee. Smentito il Governo: la politica non c’entra

4 Dicembre 2025 9 min lettura

La Corte dei Conti ha fermato il Ponte sullo Stretto per violazione di norme interne ed europee. Smentito il Governo: la politica non c’entra

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Al centro delle polemiche relative al Ponte sullo Stretto c’è una decisione della Corte dei conti che, letta nelle sue motivazioni pubblicate qualche giorno fa, è molto diversa da come l’hanno raccontata alcuni politici della maggioranza di governo, tra cui la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini. La Corte ha negato il visto alla delibera del Comitato interministeriale per la Programmazione economica e lo Sviluppo sostenibile (CIPESS, n. 41 del 6 agosto 2025) - atto che segnava la ripartenza del progetto relativo al Ponte sullo Stretto - non perché contraria alla realizzazione dell’opera, e tanto meno per cavilli formali, ma perché il Governo non ha rispettato regole europee e interne.

I magistrati contabili si sono espressi entro i margini che la Costituzione affida loro, come essi stessi hanno chiarito nella decisione. Dopo aver ricordato che l’articolo 100 della Carta attribuisce alla Corte il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, il collegio spiega che, «avuto altresì riguardo all’importanza strategica dell’opera e alle risorse pubbliche alla stessa destinate», ha assegnato «prioritario rilievo alle violazioni della normativa eurounitaria». Non ha invece considerato dirimenti altri profili di minore importanza, quelli a cui invece la narrazione politica aveva strumentalmente ricondotto la decisione sul Ponte, come vedremo.

Va preliminarmente ricordato che la legge di bilancio 2023 (n. 197/2022), nel confermare il rilievo del Ponte sullo Stretto «quale opera prioritaria e di preminente interesse nazionale», aveva tra l’altro revocato lo stato di liquidazione della società Stretto di Messina S.p.A. (SdM). Nel 2023, il Governo aveva poi «dettato specifiche norme per far rivivere la concessione» affidata nel 2006 a SdM e al contraente generale Eurolink (d.l. n. 35/2023).

La Corte dei conti ha fondato il rifiuto del visto della delibera del CIPESS su tre ambiti di violazione: ambiente; appalti e concorrenza; istruttoria e pareri.

L’ambiente

Per capire il primo fronte di critica della Corte dei Conti - l’ambiente - bisogna partire da un dato: il tracciato del Ponte e delle opere connesse interessa tre aree che fanno parte della rete Natura 2000. Natura 2000 è la rete europea di siti - a terra e in mare - scelti perché ospitano habitat e specie di particolare pregio o vulnerabilità. In questi luoghi le attività umane non sono vietate in assoluto, ma sono sottoposte a regole molto rigorose, proprio per evitare che interventi infrastrutturali compromettano l’equilibrio degli ecosistemi.

La Commissione tecnica VIA-VAS del Ministero dell’Ambiente ha espresso un giudizio sostanzialmente favorevole sulla compatibilità ambientale complessiva del Ponte, ma ha dato parere negativo sulla valutazione di incidenza per i tre siti Natura 2000 coinvolti nel progetto: Monti Peloritani–Antennamare e area marina dello Stretto, Costa Viola e i Fondali da Punta Pezzo a Capo dell’Armi.

La direttiva Habitat stabilisce che, se dalla valutazione di incidenza emerge che il progetto compromette l’integrità di un sito Natura 2000, il progetto non può essere autorizzato. Questo divieto è derogabile solo in casi eccezionali, attraverso uno strumento con cui il Governo motiva la scelta di autorizzare comunque l’opera: la relazione IROPI, acronimo che sta per “motivi imperativi di prevalente interesse pubblico” (Imperative Reasons of Overriding Public Interest).

Perché la deroga sia ammessa, il diritto europeo impone tre condizioni cumulative: bisogna dimostrare che non esistono alternative ragionevoli meno dannose per quei siti e che sono presenti motivi imperativi di interesse pubblico prevalente, in particolare legati alla salute delle persone, alla sicurezza o a conseguenze ambientali di primaria importanza; nonché prevedere misure di compensazione sufficienti a mantenere, nel complesso, la coerenza della rete Natura 2000. Quando, invece, la deroga è giustificata da motivi diversi, ad esempio di tipo economico, è necessario acquisire anche il parere della Commissione UE.

Con la relazione IROPI del 9 aprile 2025, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato che non esistono alternative progettuali al Ponte sullo Stretto e che sussistono motivi imperativi di interesse pubblico. Ma la Corte dei conti ha ritenuto che le condizioni previste dalla normativa europea non fossero rispettate. Circa le alternative, la Corte ricorda che la normativa e le linee guida nazionali richiedono una valutazione comparativa vera e propria tra diverse soluzioni, accompagnata da motivazioni puntuali sulle ragioni per cui le opzioni diverse vengono scartate. Invece, la relazione IROPI afferma in modo «estremamente sintetico e assiomatico» che «solo il Ponte sullo Stretto, a campata unica, riesce a soddisfare le necessità minimizzando gli impatti ambientali», senza mostrare perché le alternative sarebbero state meno sostenibili o impraticabili. Quanto al profilo dei motivi imperativi di interesse pubblico, la Corte osserva che le considerazioni a supporto, nella relazione IROPI, «sono prive di adeguata istruttoria». Il documento si sofferma invece sugli effetti economici, giudicati dalla Corte «inconferenti ai fini della procedura in deroga»: il diritto europeo non consente di sacrificare habitat protetti solo per ragioni economiche, se non previo parere della Commissione europea, come detto.

E veniamo all’interlocuzione con Bruxelles, riguardo a cui i magistrati rilevano ulteriori criticità. La Commissione UE, con una nota del 15 settembre 2025, aveva chiesto al Governo un confronto per assicurare che il progetto, proprio perché incidente su siti della rete Natura 2000, fosse conforme alle regole europee, segnalando la necessità di chiarimenti su vari profili. La risposta italiana del 15 ottobre si è limitata a riproporre pareri e valutazioni già note, senza fornire a Bruxelles elementi nuovi.

In base a quanto fin qui esposto, la Corte ha concluso che la delibera CIPESS «debba considerarsi illegittima» per violazione della direttiva Habitat.

Appalti e concorrenza

Il secondo capitolo affrontato dalla Corte dei conti riguarda il tema degli appalti e della concorrenza. Come detto, nel 2023 con decreto-legge il Governo aveva riattivato i contratti del 2006 per la realizzazione del Ponte; al contempo, aveva inquadrato la revisione di quanto attinente all’opera nell’ambito dell’art. 72 della direttiva europea sugli appalti (2014/24/UE). Questa norma consente di cambiare un contratto senza rifare la gara solo se il cambiamento non ne muta la sostanza; non introduce condizioni che avrebbero potuto attirare altri concorrenti se fossero state note fin dall’inizio; e, in alcuni casi, non supera un aumento del 50% rispetto al valore iniziale. Il fine è impedire che un affidamento nuovo venga presentato come una mera modifica di un contratto vecchio.

La Corte rileva che l’art. 72 è stato violato. Inizialmente, il Ponte doveva essere finanziato per il 40 per cento con capitale della Stretto di Messina e per il 60 per cento con prestiti presi sui mercati internazionali, «senza garanzie da parte dello Stato». Oggi, invece, i costi ricadono «integralmente su risorse pubbliche»: in pratica, non è più un investimento a rischio dei privati con un aiuto pubblico, ma un’opera pagata interamente dal bilancio dello Stato. Per la Corte, queste modifiche, insieme ad altre di favore per gli affidatari, fanno sì che l’operazione economica «differisca, in maniera significativa, da quella originaria»; e, «se fossero state contenute nella procedura d’appalto iniziale, avrebbero attratto ulteriori partecipanti alla procedura di aggiudicazione». Pertanto, ai sensi dell’art. 72, servirebbe una nuova gara.

I rappresentanti del Ministero delle Infrastrutture, nell’udienza pubblica, hanno riconosciuto che l’operazione costituisce «una modifica sostanziale del contratto», ma al contempo hanno sostenuto che una nuova gara sarebbe necessaria solo in caso di superamento del «limite del 50%» del valore dell’opera. La Corte non condivide questa interpretazione, ma ha chiarito che, anche a volerla accogliere, l’Amministrazione non ha fornito né formalizzato «alcun elemento di calcolo» che dimostri il rispetto del limite. Inoltre, tale limite non può nemmeno essere valutato con certezza, dato che i costi «sono, in parte, meramente stimati e, comunque, non includono alcuni oneri» - ad esempio, i 787 milioni di euro di lavori indicati nella relazione del progettista – che non risultano inseriti in contratti veri e propri. Da ciò la Corte fa discendere che, allo stato, non è possibile affermare il rispetto del 50%, sicché le rassicurazioni sul mancato superamento di tale soglia non risultano supportate da elementi di calcolo accertabili.

In conclusione, la delibera CIPESS non spiega, con dati e argomenti verificabili, perché una modifica così ampia di un contratto del 2006 rientri nel perimetro delle “semplici modifiche” che non richiedono una nuova gara, nel rispetto delle regole sulla concorrenza. Ne deriva una violazione della direttiva Appalti, che si aggiunge a quella della direttiva Habitat.

Carenze istruttorie e nei pareri

Su un terzo piano, la Corte rileva carenze nell’istruttoria e nei pareri tecnici. Nel percorso di approvazione del piano economico-finanziario e del regime tariffario, sono rimasti fuori il NARS, nucleo che supporta le scelte su tariffe e sostenibilità economico-finanziaria dei servizi di pubblica utilità, e l’Autorità di regolazione dei trasporti (ART), che ha competenza su pedaggi, diritti di accesso e condizioni economiche applicate agli utenti. Quest’ultima, in particolare, è stata esclusa in quanto la delibera CIPESS ha approvato un piano economico-finanziario che qualifica il Ponte come “strada extraurbana di categoria B”. Ma - osserva la Corte - questa classificazione non è supportata da un atto formale e in passato lo stesso Ponte era stato trattato come autostrada; in ogni caso, la competenza di ART non dipende solo dall’etichetta giuridica attribuita alla strada, ma dal fatto che si tratti di un’infrastruttura a pedaggio, come sarà il Ponte.

Inoltre, nella delibera del CIPESS si richiama un parere che il Consiglio superiore dei lavori pubblici aveva reso nel 1997, in cui si disponeva che «il progetto esecutivo del Ponte» avrebbe necessitato di un ulteriore passaggio presso il Consiglio stesso. Passaggio che però non c’è stato, perché ritenuto non necessario per ragioni di «economia procedurale».

Infine, la Corte segnala anche un difetto di motivazione, ricordando che, per opere di questa portata, le ragioni delle scelte devono risultare in modo chiaro dagli atti pubblicati in Gazzetta Ufficiale, e che integrazioni postume per sanare precedenti mancanze potrebbero violare il principio di trasparenza dei «processi decisionali e valutativi che caratterizza, in particolare, le grandi opere infrastrutturali».

Trasmissione dei documenti

Resta la questione, molto evocata nel dibattito pubblico, dei documenti trasmessi tramite link dal Governo alla Corte dei conti. La Corte ha spiegato che «l’intera documentazione attinente all’opera» era accessibile tramite un collegamento telematico a un repository documentale su cloud «messo a disposizione da SdM». Detto ciò, siccome mancavano «taluni atti oggetto di controllo, tra i quali il progetto definitivo», erano presenti diverse versioni dei medesimi file e la memoria informatica si trovava nella disponibilità di un soggetto esterno, la Corte aveva dovuto effettuare «una preliminare selezione degli atti di interesse» e verifiche sugli «accorgimenti tecnici indispensabili» a garantire integrità, leggibilità, reperibilità e immodificabilità degli atti. Per questi motivi i giudici hanno espresso «perplessità» sulle modalità di trasmissione e acquisizione della documentazione, chiarendo tuttavia che si tratta di uno dei profili che, pur confermati «nella loro valenza fattuale», non sono stati ritenuti dirimenti, cioè non costituiscono la ragione del rifiuto del visto.

Appare palese come la questione stia diversamente rispetto a quanto rappresentato da alcuni politici. Ad esempio, la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in una nota ufficiale diffusa dopo la decisione della Corte, aveva parlato di «ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del Governo e del Parlamento», definendo «capziose» le censure e indicando, come esempio, la trasmissione di atti voluminosi «con link, come se i giudici contabili ignorassero l’esistenza dei computer». Le motivazioni del rifiuto del visto dimostrano che non è di certo stato l’invio di documentazione tramite link ad aver determinato la decisione dei magistrati.

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Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, invece, aveva parlato di «scelta politica più che sereno giudizio tecnico» e sostenuto che le osservazioni della Corte, «per toni e contenuti», sembravano provenire da «grillini o associazioni di sinistra stile Legambiente». Come visto, la deliberazione della Corte dei conti dice tutt’altro, e cioè che, allo stato, quella delibera non supera il test di legalità che il diritto europeo e interno impone.

Qualche giorno fa un comunicato di Palazzo Chigi ha reso noto che le motivazioni della Corte saranno oggetto di «attento approfondimento» da parte delle amministrazioni competenti e che ci sono «profili con un ampio margine di chiarimento». Sarà bene che il Governo, se davvero vuole portare avanti il progetto, abbandoni le polemiche o le etichette ideologiche attribuite ai giudici e valuti se effettivamente ricorrano le condizioni poste dalla legge per derogare alla tutela dei siti Natura 2000, per modificare grandi contratti pubblici senza una nuova gara, per escludere dal procedimento autorità che avrebbero titolo a partecipare e per impegnare miliardi di risorse pubbliche senza motivazioni trasparenti delle scelte effettuate. Al momento, sulla base delle osservazioni della Corte dei conti, comprovare l’esistenza di tali condizioni appare impresa ardua.

 

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