Post

Diffamazione, minacce, querele temerarie: l’Europa avanza, l’Italia si ostina a non proteggere il diritto di informare

15 Novembre 2025 8 min lettura

Diffamazione, minacce, querele temerarie: l’Europa avanza, l’Italia si ostina a non proteggere il diritto di informare

Iscriviti alla nostra Newsletter

8 min lettura

Si chiamano SLAPP, e sono schiaffi al diritto del cittadino di sapere. Sono azioni penali e civili pretestuose, portate avanti nella piena consapevolezza di avere scarse o nulle possibilità di approdare a una qualche sentenza di condanna, ma con la certezza che, nella maggior parte dei casi, freneranno il giornalista citato in giudizio dal proseguire con le sue inchieste o nel dare notizie scomode sui soggetti che le promuovono. Questo il senso infatti dell’acronimo inglese: Strategic Lawsuit Against Public Participation, ossia “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”. 

Molti hanno scoperto il fenomeno dopo l’attentato incendiario a Sigfrido Ranucci, giornalista Rai e conduttore per Rai3 del programma di inchiesta Report: nella notte tra il 16 e il 17 ottobre scorso una bomba ha fatto esplodere la sua auto parcheggiata sotto casa, a Campo Ascolano alle porte di Roma, e quella della figlia. Avrebbe potuto uccidere chi fosse passato vicino in quel momento. 

La magistratura ha aperto un’indagine per danneggiamento aggravato dal metodo mafioso: evidentemente, a qualcuno non piaceva il suo lavoro e l’attività investigativa della trasmissione. Ma questo gravissimo atto di intimidazione fisica ha anche portato alla luce, per una parte ancora ignara dell’opinione pubblica, il gran numero di azioni legali nei confronti di Ranucci e di Report: quasi 180, tra querele e richieste di risarcimento danni, secondo quanto dichiarato dallo stesso giornalista a Rtl subito dopo l’attentato. Azioni del resto già fioccate a decine nei confronti dell’ideatrice di quella trasmissione, Milena Gabanelli, che l’aveva condotta dal 1997 al 2016 prima di passare il testimone a Ranucci. 

Non stupiscano questi numeri: il fenomeno in Italia è molto più ampio di quello che sembra e colpisce indistintamente giornalisti  d’inchiesta blasonati come cronisti di provincia di nera e giudiziaria: colleghi con le spalle grosse e coperte da un editore disponibile a sostenere i costi e le spese legali del procedimenti, come i tanti colleghi precari che di un vero contratto con la loro testata non hanno visto neanche l’ombra, ma lavorano come collaboratori freelance e spesso per pochi euro a pezzo. Ma la casistica non si esaurisce qui: basti pensare a Marilù Mastrogiovanni, fondatrice della testata di inchiesta Il Tacco d’Italia, da anni  bersaglio di decine di querele temerarie e azioni intimidatorie per le sue inchieste sulla Sacra Corona Unita in Salento. 

Scriveva nei giorni scorsi Ranucci, alla vigilia dell’ultimo, duplice appuntamento in tribunale fissato per il 12 novembre: due udienze per due processi di fronte alla stessa giudice, poi rinviate al 3 dicembre. “Domani la collega Marilù Mastrogiovanni, cane da guardia della democrazia con la sua redazione, dovrà affrontare due processi presso il Tribunale di Lecce, e in un solo giorno, denunciata dalla casta”. E riportava un messaggio di lei: “Ci sono stati periodi in cui avevo 4 processi a settimana. Significa non vivere più. In 25 anni di mestiere, centinaia di querele, nessuna condanna. Potevo smussare, alleggerire, addolcire, non fare domande. Ma ho scelto di essere giornalista (…). Per me c’è solo un modo di farlo. Sennò ha altri nomi, ma non giornalismo".

I numeri delle intimidazioni contro i giornalisti in Italia 

Secondo Ossigeno per l’Informazione, Onlus che monitora lo stato di salute della libertà di stampa in Italia, dal 2006 ad oggi si sono registrati quasi 8.000 episodi tra querele pretestuose, intimidazioni e ritorsioni. Ogni anno vengono raccolte in media quasi 500 segnalazioni, con punte di 900 nei periodi di maggiore attività degli osservatori nelle diverse regioni. La Lombardia è quella dove si è contato il numero maggiore di SLAPP, che così si contendono il primato con il Lazio, da sempre in cima alla classifica. Tutti episodi, quelli segnalati da Ossigeno, documentati e verificati, secondo un metodo che, afferma la stessa associazione, ne permette con criteri scientifici l’accertamento e la classificazione. 

Secondo Alberto Spampinato, fondatore e presidente di Ossigeno, il 92% delle denunce per diffamazione si conclude con un proscioglimento, ma solo dopo anni di processi e migliaia di euro di spese legali. “Nel 2019 le denunce erano già 9.000, oggi superano le 10.000. Pubblicare notizie sgradite ai potenti è diventato un rischio quotidiano”,  sottolineava nei giorni scorsi al festival Glocal a Varese. 

Quanto all’ultimo rapporto di Ossigeno, nel primo semestre del 2025 in Italia si è avuto un aumento del 78% del numero dei giornalisti minacciati o querelati in modo pretestuoso rispetto allo stesso periodo del 2024, per un totale di 361 casi: sono vicende che confermano il frequente uso delle querele e delle cause per diffamazione per scopi diversi della difesa della reputazione,  per fare appunto pressione sul giornalista e logorarne la determinazione. Nell’intero 2024 i casi registrati erano stati 516. 

Per le sole minacce e intimidazioni fisiche, è interessante il raffronto tra i dati di Ossigeno e quelli dell’Osservatorio del Ministero dell’Interno. Questi ultimi segnalano molte meno intimidazioni (485 rispetto a 2121 nel periodo 2021-2024). Questa differenza si spiega con il fatto che il Viminale conteggia solo i fatti che sono stati oggetto di denuncia alle forze dell’ordine: una scelta che una parte considerevole e crescente dei giornalisti decide di non fare. 

Ossigeno offre anche l’assistenza di uno sportello legale gratuito per giornalisti e attivisti querelati, operato in collaborazione con la ONG londinese Media Defence. Finora ha seguito oltre cento casi, con il 98% di successi nei procedimenti seguiti. Il servizio prevede tre livelli di assistenza: assistenza legale specialistica e gratuita a giornalisti, freelance e blogger che, pur avendo agito correttamente e in buona fede, devono affrontare giudizi penali per diffamazione o per altri reati senza la manleva da parte dell’editore; per chi ha già un difensore di fiducia, un contributo economico per sostenere le spese legali; per chi ha subito di violenza o minaccia, o azioni tese comunque a limitare la loro libertà di svolgere la professione giornalistica, un’assistenza legale totalmente gratuita per stare in giudizio come persona offesa, con la conseguenza di potersi costituire parte civile e ottenere il risarcimento del danno.

Di recente Ossigeno, prevedendo che l’attuale legge sulla diffamazione che produce così tante Slapp non sarà riformata in tempi brevi, e perciò produrrà altre migliaia di vittime innocenti, ha anche proposto, presentando i suoi ultimi dati in un convegno e corso di formazione a Roma, l’ istituzione di un Pronto soccorso legale per i cronisti minacciati o vittime di abusi legali. A  tale servizio potrebbe ricorrere a costo zero chiunque abbia operato con fair play, nel rispetto della verità e della deontologia del giornalismo. A illustrare nel dettaglio il progetto è stato l’avvocato Andrea Di Pietro, coordinatore dello Sportello legale dell’organizzazione, che ha anche evidenziato la necessità di depenalizzare la diffamazione a mezzo stampa per consentire anche ai giornalisti – come ad altre categorie professionali - di avere un fondo assicurativo per coprire i costi legali delle querele.  In un’audizione presso la terza commissione del Consiglio regionale del Lazio, Ossigeno ha inoltre lanciato l’idea che quella Regione crei insieme al CoreCom uno Sportello per segnalare pubblicamente le minacce ai giornalisti, sul modello della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la protezione del giornalismo e la sicurezza dei giornalisti. 

Il mito della Direttiva europea contro le SLAPP

Il caso Ranucci ha fatto entrare in scena il caso della direttiva anti-Slapp dell’Unione Europea, evocata talvolta come una sorta di panacea che, se adottata dal governo, porrebbe fine a tutti mali. Purtroppo non è così: la Direttiva Ue 2024/1069, infatti, si applica solo alle cause civili (quindi non alle querele, che in Italia sono circa sei volte più numerose) cosiddette “transfrontaliere”, avviate cioè in un paese UE diverso da quello in cui opera il giornalista – e con lui anche altre “persone attive nella partecipazione pubblica”, che operano nell’ambito delle ONG,  della difesa dei diritti umani, del mondo accademico e della società civile. Si intende cioè “prevenire il fenomeno del ‘turismo della diffamazione’ (libel tourism)” o quello della ‘scelta opportunistica del foro’ (forum shopping)”, con cui quanti promuovono una causa temeraria si rivolgono a una giurisdizione che ritengono più favorevoli per il loro caso. (Ma questa eventualità è praticamente nulla, almeno finora, nella realtà quotidiana).  

Il puro e semplice recepimento della Direttiva riguarderebbe perciò un'esigua minoranza dei giornalisti e degli attivisti italiani colpiti dalle SLAPP. Ciò non toglie tuttavia che lo Stato italiano sia  tenuto a recepirla e conformarvisi – sul piano legislativo, regolamentare e amministrativo, entro il 7 maggio 2026. E che, nel farlo, possa anche estendere l’applicazione dei rimedi previsti dalla direttiva al resto delle SLAPP promosse con cause civili: in particolare, la condanna ai promotori di quelle cause a coprirne tutte le spese legali, comprese quelle sostenute dal giornalista, al risarcimento danni e ad altre sanzioni dissuasive. Insomma, nel recepire anche in Italia la pur circoscritta Direttiva Ue, parlamento e governo avrebbero una straordinaria occasione per condividere e applicare lo spirito di quelle norme in tutti i campi in cui il giornalista si vede sbarrare la strada da processi iniziati con l’intento di spaventarlo e di farlo smettere dal dare notizie scomode. 

Le intermittenze e la riluttanza della politica italiana 

Ma c’è davvero la volontà politica di fare questo passo? Sembrerebbe di no, guardando ai precedenti di una storia pluridecennale di progetti di legge di riforma delle norme sulla diffamazione presentati e poi lasciati spiaggiare su un binario morto. E anche oggi non sembrano esservi molti motivi per essere ottimisti. Lo dimostrerebbe il no del governo all’emendamento Pd per l’inserimento della direttiva anti-SLAPP nella legge di delegazione europea, nonostante il passo indietro di pochi giorni dopo. Ma l’allarme suscitato dal grave attentato contro Ranucci sembra nel frattempo avere spinto almeno le forze di opposizione a un’iniziativa di ampio respiro per affrontare il nodo della libertà di informazione nella sua globalità. Questo infatti è lo spirito della mozione congiunta presentata nei giorni scorsi alla Camera da M5S, PD e AVS per la tutela dei giornalisti. Nella lunga e circostanziata mozione si fa riferimento anche allo European Media Freedom Act, regolamento che impone nuove norme per la protezione del pluralismo e dell’indipendenza dei media nell’Unione.  

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

Il regolamento è già in vigore in quasi tutte le sue parti, ma la sua adozione (obbligatoria) sembra trovare in Italia ostacoli insormontabili – in particolare, la questione della governance della Rai e quella della trasparenza della proprietà dei giornali – che ci espongono a procedure di infrazione. Fra le altre questioni poste dalla mozione anche quella annosa della necessità di norme dissuasive contro chi, in malafede, agisca in sede civile per il risarcimento danni contro i giornalisti accusati di diffamazione: in tal caso, chi ha scomodato ingiustamente i tribunali dovrebbe essere condannato a versare, al giornalista scagionato, la metà di quello che aveva richiesto.  Ma all’iniziativa delle opposizioni si è già risposto, per conto della maggioranza di governo, con l’annuncio di una contro-mozione sul “buon giornalismo”.

Secondo indiscrezioni, non conterebbe alcun impegno sulle querele temerarie, se non un tavolo interministeriale per monitarle, né sullabolizione del carcere per i giornalisti. Ma in compenso vi sarebbe l’ipotesi di una nuova legge contro quei giornalisti che non rispettano il principio della presunzione di innocenza – formulazione piuttosto sommaria, che ci spinge ad osservare come alle nostre spalle vi siano decenni di dialettica costruttiva, tra politica e organizzazioni dei giornalisti, sul corretto bilanciamento tra segreto di indagine, diritto alla riservatezza, diritto-dovere di cronaca e rispetto della deontologia professionale. Comunque, l’attenzione politica sembra essersi nuovamente svegliata, seppur in uno spirito conflittuale che non sembra promettere molto per la causa superiore della libertà di informazione. Ma non si può ancora dire se questa attenzione durerà ancora, quando si sarà inevitabilmente esaurito l’impatto emotivo del caso Ranucci.

Immagine in anteprima via The Shift News

Scrivi un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


CAPTCHA Image
Reload Image

Segnala un errore