Trump-Netanyahu: una sciagura politica e umanitaria per tutto il mondo
6 min letturaIsraele ha sferrato la tanto minacciata offensiva terrestre nella città di Gaza, inviando carri armati e veicoli blindati telecomandati carichi di esplosivi nelle sue strade, e ignorando le posizioni critiche espresso da più paesi e le conclusioni di una commissione delle Nazioni Unite che accusa lo Stato israeliano di genocidio. Solo il 17 settembre sono state uccise 83 persone in seguito a nuovi attacchi nei pressi degli ultimi ospedali ancora funzionanti.
L’attacco è arrivato dopo l’incontro tra il primo ministro Netanyahu e il Segretario di Stato americano, Marco Rubio, che aveva promesso il sostegno “incondizionato” degli Stati Uniti a Israele.
“Gaza sta bruciando. L'IDF sta colpendo le infrastrutture terroristiche con pugno di ferro”, ha scritto il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, su X mentre l'attacco veniva lanciato nelle prime ore del mattino, aggiungendo: “Non ci fermeremo finché la missione non sarà completata”.
Netanyahu ha affermato che gli obiettivi dell'offensiva sono “sconfiggere il nemico ed evacuare la popolazione”, omettendo qualsiasi riferimento alla liberazione degli ostaggi israeliani rimasti, che fino ad ora era stato un obiettivo di guerra costantemente ribadito. Le famiglie degli ostaggi hanno protestato vicino alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme.
L'esercito stima che fino ad oggi il 40% degli abitanti della città di Gaza sia fuggito in seguito agli ordini di evacuazione israeliani e sta spingendo affinché sempre più persone raggiungano i campi profughi. Le condizioni nelle zone umanitarie nel sud stanno diventando ancora più difficili, data la densità della popolazione e la mancanza di soluzioni umanitarie minime. Tess Ingram, portavoce dell'agenzia delle Nazioni Unite per la protezione dell'infanzia, l'Unicef, ha affermato che non esiste un rifugio sicuro per la popolazione sfollata. “È disumano aspettarsi che quasi mezzo milione di bambini, maltrattati e traumatizzati da oltre 700 giorni di conflitto incessante, fuggano da un inferno per finire in un altro”, ha detto ai giornalisti da al-Mawasi, un campo tendato sovraffollato sulla costa meridionale della Striscia di Gaza. “Le persone non hanno davvero alcuna scelta valida: restare in pericolo o fuggire in un luogo che sanno essere altrettanto pericoloso”, ha concluso Ingram.
“Israele è determinato ad andare fino in fondo e non è aperto a un serio negoziato per un cessate il fuoco, con conseguenze drammatiche dal punto di vista di Israele”, ha commentato il Segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres.
Nel frattempo, la Commissione Europea ha presentato agli Stati membri un piano per imporre “misure volte a esercitare pressioni sul governo israeliano affinché cambi rotta sulla guerra a Gaza”, ha affermato la responsabile della politica estera dell'UE, Kaja Kallas. Il piano prevede dazi su circa 5,8 miliardi di euro di merci importate da Israele e sanzioni nei confronti di Netanyahu, del ministro della Sicurezza nazionale, Ben Gvir, e del ministro delle Finanze, Smotrich.
“L'offensiva terrestre di Israele a Gaza peggiorerà ulteriormente una situazione già disperata: comporterà più morti, più distruzione [e] più sfollamenti”, ha affermato Kallas. “Sospendere le concessioni commerciali e imporre sanzioni ai ministri estremisti e ai coloni violenti segnalerebbe chiaramente che l'UE chiede la fine di questa guerra”.
Secondo quanto riferito da alti funzionari dell'UE a Politico, l'Unione intende procedere anche alla sospensione di 14 milioni di euro di aiuti diretti a vari progetti israeliani, mantenendo però i finanziamenti dell'UE al memoriale dell'Olocausto Yad Vashem e alle iniziative di costruzione della pace.
Nelle stesse ore in cui veniva lanciato l’attacco, infine, una commissione di esperti delle Nazioni Unite sui diritti umani ha pubblicato un rapporto in cui accusa Israele di genocidio: “È chiaro che esiste l'intenzione di distruggere i palestinesi a Gaza attraverso atti che soddisfano i criteri stabiliti nella convenzione sul genocidio”, ha affermato Navi Pillay, presidente della commissione d'inchiesta sui territori palestinesi occupati e Israele.
L'inchiesta delle Nazioni Unite ha anche evidenziato la distruzione da parte di Israele del centro di fecondazione in vitro Al Basma, che ha cancellato 4.000 embrioni e 1.000 campioni di sperma e ovuli, definendola “una misura intesa a impedire le nascite tra i palestinesi a Gaza” e uno degli atti definiti come genocidio dalla convenzione del 1948. Secondo l'ONU si tratta di un "medicidio", una campagna sistematica volta a smantellare il settore sanitario di Gaza, uccidendo gli operatori sanitari e distruggendo gli ospedali per eliminare l'assistenza medica nell'enclave.
Tuttavia, Netanyahu ha ignorato tutto e ha deciso di portare avanti l'operazione per occupare molto presto una parte più ampia della Striscia di Gaza, nonostante la forte opposizione dell'establishment della difesa, guidato dal capo di Stato Maggiore Eyal Zamir. Finora, i vertici della difesa hanno sostenuto le deliberazioni di fine agosto sulla ripresa dei negoziati per un accordo sugli ostaggi e si sarebbero persino opposti all’attacco al Qatar della scorsa settimana, nel tentativo (fallito) di assassinare la leadership straniera di Hamas mentre era riunita per discutere i colloqui sugli ostaggi. Alle loro posizioni, Netanyahu ha preferito mantenere saldo il legame con i suoi partner di estrema destra Ben-Gvir (Otzma Yehudit) e Smotrich (Sionismo religioso).
L'attacco in Qatar ha portato a una certa chiusura dei ranghi nel mondo arabo e al sostegno da parte dei paesi vicini, di fronte a quello che hanno descritto come un atto di aggressione e violazione della sovranità da parte di Israele. I funzionari della difesa israeliani si sono detti preoccupati che l'attacco possa influenzare il ruolo del Qatar come mediatore nei negoziati con Hamas. Con una tempistica piuttosto significativa, Arabia Saudita e Pakistan hanno firmato un accordo di difesa reciproca di grande rilevanza.
Ma Netanyahu va avanti per la sua strada. In un discorso al paese ha anzi preparato Israele allo scenario concreto di un maggiore isolamento economico e ad “adattarsi a un'economia con caratteristiche autarchiche”. E lo fa forte del sostegno, più o meno implicito, incassato da Donald Trump, l’unica persona che avrebbe potuto (e che forse può farlo ancora) fermare Netanyahu, scriveva in un commento su Haaretz il giornalista Amos Harel alla vigilia dell’attacco terrestre. Tuttavia, il presidente USA ha mostrato un interesse limitato per quanto sta accadendo e non ha intrapreso alcuna azione per dissuadere Israele.
Considerata l'enorme influenza degli aiuti militari statunitensi a Israele, solo un presidente americano potrebbe frenare Netanyahu, e l'inerzia di Trump equivale a un lasciapassare per Netanyahu. In questa direzione sono andati anche i colloqui avuti due giorni prima dell’attacco tra il Segretario di Stato americano, Rubio, e il premier israeliano. Poco prima della sua partenza per Israele sabato, Rubio aveva escluso che avrebbe chiesto a Netanyahu di annullare il prossimo attacco a Gaza City. Aveva suggerito che gli Stati Uniti avrebbero ascoltato più che parlato.
Una volta in Israele, Rubio ha poi affiancato Netanyahu in una conferenza stampa in cui il leader israeliano ha promesso di ”sconfiggere" Hamas e non ha dato alcuna indicazione di voler ancora perseguire i negoziati di pace. A offensiva lanciata, sono poi arrivate le parole di Trump che ha puntato il dito contro Hamas, dicendo ai giornalisti alla Casa Bianca che i militanti avrebbero “pagato un prezzo altissimo” se avessero usato gli ostaggi sopravvissuti come scudi umani durante l'assalto.
“All'inizio dell'amministrazione Trump c'era una reale speranza che ripartisse dal cessate il fuoco negoziato insieme a Biden e usasse la sua influenza per porre fine alla guerra a Gaza”, ha commentato al New York Times Ilan Goldenberg, che ha ricoperto il ruolo di esperto di politica mediorientale nelle amministrazioni Obama e Biden. “Purtroppo ciò non è avvenuto. Al contrario, ogni qualvolta ci si è allontanati da una tregua, ha dato a Netanyahu carta bianca”.
Gli interessi e i valori fondamentali degli Stati Uniti e di Israele sono strettamente allineati, ha detto un funzionario israeliano al Wall Street Journal. Trump e Netanyahu sono anime gemelle: entrambi ritengono di aver subito persecuzioni da parte delle élite dei loro paesi, compresi processi penali, ed entrambi si considerano outsider che riformano un sistema corrotto, prosegue il funzionario. Alla luce di tutto questo, Netanyahu sa di aver costruito un rapporto in cui può temporaneamente rischiare l'ira di Trump, sapendo che non durerà. Netanyahu ha spesso definito Trump “il miglior amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca”.
L'approccio di Trump nei confronti di Israele potrebbe però essere messo presto messo alla prova la prossima settimana nel corso dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York. Diversi stretti alleati degli Stati Uniti, tra cui Francia, Australia, Canada e Gran Bretagna, hanno dichiarato che riconosceranno lo Stato palestinese. Sebbene si tratti di una mossa del genere per lo più simbolica, potrebbe provocare una reazione da parte di Israele e spingere i leader di estrema destra a rispondere con l'annessione di parti della Cisgiordania. Una reazione del genere potrebbe a sua volta portare alla rottura delle relazioni che Israele ha instaurato con alcuni dei suoi principali vicini arabi negli ultimi anni e che ha mantenuto nonostante le tensioni della guerra a Gaza.
Durante il suo primo mandato, Trump ha negoziato gli Accordi di Abramo, un patto che stabilisce relazioni diplomatiche tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Marocco e il Sudan. Trump spesso celebra gli accordi come uno dei suoi risultati più importanti. Ora questi accordi potrebbero essere messi in discussione e potrebbero forse costringere il Presidente USA ad applicare una qualche forma di restrizione nei confronti di Netanyahu. O almeno questa è la speranza in quella parte negli Stati Uniti e in Israele che ancora crede che il legame tra Trump e Netanyahu possa incrinarsi.
Immagine in anteprima: frame video Al Jazeera via YouTube








Roberto Simone
«Alla fine della guerra la Striscia di Gaza sarà "una miniera d'oro immobiliare" e sono stati "avviati negoziati con gli americani" per come dividere l'enclave palestinese e far sì che la ricostruzione "si paghi da sola". Lo ha dichiarato il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich parlando del "day after" di Gaza alla conferenza immobiliare Urban Renewal Summit a Tel Aviv.» (dal sito di Repubblica del 17/09/25). Come cancellare con una sola frase decenni di impegno per cercare di sradicare pregiudizi e stereotipi sull'avidità degli ebrei. Che paradosso pensare che possa essere proprio Israele il nemico peggiore del popolo ebraico.
Damiano D'oronzo
L’obiettivo non è punire Israele, ma migliorare la situazione umanitaria a Gaza. Kaja Kallas L'uso delle parole è degno di nota...