Post Lavoro Migranti

Il fallimento annunciato del decreto flussi migratori

21 Luglio 2025 8 min lettura

Il fallimento annunciato del decreto flussi migratori

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Amadou è arrivato in Italia dal Senegal pagando 6.000 euro per un contratto di lavoro agricolo che non è mai esistito. Ora è in Italia, senza documenti e possibilità di regolarizzarsi. Probabilmente troverà un impiego irregolare nelle campagne, sotto caporalato. È una delle migliaia di persone intrappolate nel meccanismo dei decreti flussi. 

Anche quest’anno il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto flussi migratori per l’assunzione di lavoratori stranieri non comunitari per il triennio fino al 2028. L’obiettivo del provvedimento, si legge sul sito del Ministero, “è consentire l’ingresso in Italia di manodopera indispensabile al sistema economico e produttivo nazionale, altrimenti non reperibile”. Secondo il Governo questo è un “meccanismo d’immigrazione legale e controllato”, uno strumento per il contrasto a fenomeni di irregolarità, nella lotta contro il lavoro sommerso e allo sfruttamento dei lavoratori. La norma approvata il 30 giugno è il proseguimento del precedente decreto del 2023 che ammetteva l’ingresso in Italia di quasi 500 mila cittadini stranieri residenti all'estero per motivi di lavoro subordinato stagionale e non stagionale e di lavoro autonomo. 

Il decreto attuale, che ricalca lo schema degli anni precedenti, autorizza l’ingresso di 497.550 lavoratori e lavoratrici, di cui 230.550 per lavoro subordinato e autonomo e 267.000 per lavoro stagionale nei settori agricolo e turistico, e sono previsti anche ingressi fuori quota. L’unico studio approfondito in merito condotto dalla campagna Ero Straniero ha messo in luce l’inefficacia strutturale dell’intero sistema dei decreti flussi, che genera esclusione sociale, favorisce attività illecite e agevola il lavoro sommerso.

Come funzionano veramente i decreti flussi 

L’impianto risale al 1998, ovvero alla prima emanazione del Testo Unico sull’Immigrazione, legge che ha introdotto il meccanismo dei flussi programmati, delegando ogni anno al Governo la definizione delle quote massime di ingresso per lavoratori stranieri. Secondo la norma, rimasta sostanzialmente invariata, l’esecutivo emana un decreto per l’assunzione di lavoratori non comunitari con la cosiddetta chiamata nominale. Durante alcuni giorni prestabiliti, i click day, un datore di lavoro presenta la richiesta per assumere una persona straniera, ancora residente nel paese di origine, tramite il portale della Prefettura competente, che rilascia i nulla osta, all’interno delle quote previste dal decreto. A quel punto lo straniero chiede un visto d’ingresso in Italia, entro 8 giorni dall’ingresso viene convocato, insieme al datore di lavoro, dalla Prefettura e in questa occasione si firma il contratto di lavoro, in forza del quale potrà fare domanda di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro. 

Secondo Gianfranco Schiavone, avvocato di Asgi, la norma si basa su una lettura errata del funzionamento del mercato del lavoro. “Non è una modalità ragionevole e razionale perché trascura il presupposto fondamentale dell’incontro diretto tra domanda e offerta. Così, si presuppone che la combinazione avvenga a distanza. Questo è il risultato di una distorsione pluridecennale - mai adeguatamente affrontata - secondo cui un datore di lavoro assume un perfetto sconosciuto dall’altra parte del mondo”, spiega Schiavone a Valigia Blu. Nella maggioranza dei casi quello che succede è che il datore di lavoro assume un lavoratore che è già presente in Italia, senza regolare contratto: così il decreto flussi è una sorta di sanatoria mascherata: tutto il meccanismo si basa su una finzione. 

Anche Luca Di Sciullo, presidente del Centro studi e ricerche IDOS, è concorde sull’impraticabilità della norma per come è stata pensata dall’inizio. Gli abusi, dice, ci sono da sempre. “Molti datori di lavoro italiani trovano manodopera in Italia in modo irregolare e poi, quando il governo emana il decreto flussi, presentano domanda per quel lavoratore. Quando rientrano nelle quote disponibili, il lavoratore rientra nel paese di origine seguendo la procedura e fa rientra in Italia con un visto”. Racconta Di Sciullo a Valigia Blu che c’è sempre stata la consapevolezza che molti lavoratori erano già sul territorio e, in passato, le Prefetture addirittura si adeguavano a queste regolarizzazioni camuffate, facendo presentare il lavoratore e il datore direttamente agli sportelli per firmare il contratto. 

Un’altra forma di abuso, ancora più grave, riguarda i finti datori di lavoro: promettono assunzioni a cittadini stranieri in cambio di migliaia di euro, spesso sotto falso nome o tramite società fittizie, e poi spariscono nel nulla al momento della convocazione in Prefettura. In alcuni casi, lo stesso datore ha “assunto” più stranieri per la medesima posizione, intascando fino a 5.000 euro da ciascuno. Come è accaduto di recente a Dobbiaco, dove una rete criminale, che coinvolgeva anche una vigilessa municipale, prometteva falsi contratti di lavoro a cittadini stranieri provenienti dal Bangladesh, dietro il pagamento di somme che arrivavano fino a 9mila euro a persona. 

Un meccanismo criminogeno 

Ma com’è possibile che una norma che esiste da quasi trent’anni si presti a tutte queste storture? Com’è possibile che le Prefetture non abbiano previsto dei meccanismi di controllo preventivi? Secondo l’avvocato Schiavone, i controlli normativi servono a identificare le falle, ma diventano irrilevanti se è la norma stessa, e non l'applicazione, a essere il problema. Tutto questo deriva da responsabilità storiche che riguardano tutti i governi; quello attuale quindi non è responsabile di aver creato il meccanismo, ma certamente di non adottare nessuna misura efficace per correggerlo o ripensarlo con criteri sensati. La politica, denuncia l’avvocato di Asgi, ha costruito consapevolmente un sistema distorto, dove gli stranieri sono disposti a lavorare in un rapporto di potere squilibrato per sopravvivere.

Come accade in molti ambiti che riguardano le persone migranti, anche la regolarizzazione lavorativa è un percorso costellato di ostacoli burocratici. I Decreti Mantovano e Piantedosi hanno introdotto alcune correzioni: sanzioni ai datori di lavoro che non si presentano in Prefettura, limite al numero di chiamate nominative, moltiplicazione dei click day, ma si tratta di interventi marginali. Ad esempio, oggi il datore di lavoro, prima della chiamata nominativa si deve accertare che presso il centro per impiego più vicino non vi siano già iscritti disponibili; invia una richiesta, al quale non viene mai data una risposta e il silenzio assenso gli consente di procedere. Oppure, se il datore non si presenta o non esiste, la persona straniera può teoricamente chiedere un permesso per attesa occupazione di un anno; requisito fondamentale è l’iscrizione a un centro per l’impiego, che mediamente trova lavoro al 3% dei suoi iscritti. Denuncia Asgi che è sempre più frequente il rifiuto delle Prefetture di rilasciare questo permesso, come è sempre più frequente il rifiuto delle Questure di concedere altri titoli di soggiorno nel caso in cui la persona non abbia possibilità di regolarizzarsi. Da qui si apre la spirale ormai nota: foglio di via, rischio di ingresso in un Centro per il rimpatrio, e un rimpatrio che spesso non avviene mai. 

I decreti flussi non sono misure secondarie, e anzi hanno un impatto gigantesco sul mondo del lavoro, sul cambiamento del tessuto sociale e anche sullo stato di benessere dell’economia. Nonostante ciò, sono stati condotti pochissimi studi a riguardo e persiste un disinteresse diffuso nelle istituzioni di cambiare questa situazione che non è mai stata accettabile. Dal 1998, solo due decreti flussi prevedevano la possibilità di garantire l’ingresso in Italia con le cosiddette quote di ricerca lavoro. In sostanza, lo straniero poteva fare ingresso nel paese con una sorta di sponsor, che gli garantiva vitto e alloggio, e cercava lavoro in modo autonomo. La norma è stata abrogata dalla legge Bossi Fini. 

I dati che smentiscono il Governo 

Per questo secondo triennio il Ministero dell’Interno ha precisato di aver determinato le quote di ingresso tenendo conto dei fabbisogni espressi dalle parti sociali, senza specificare di cosa si tratti, e delle domande di nulla osta al lavoro effettivamente presentate negli anni scorsi, “con l’obiettivo di una programmazione che recepisca le esigenze delle imprese e che sia anche realistica”. 

La campagna Ero Straniero ha avviato un monitoraggio sul sistema di ingresso, dal quale emerge chiaramente il fallimento dei decreti flussi: nel 2023 le domande di ingresso per lavoro sono state sei volte superiori rispetto alle quote fissate dal governo e solo il 23,52% delle quote si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Nel 2022, il tasso è stato del 35,32%, ma rispetto a un numero di quote inferiore. Le decine di migliaia di domande fuori quota corrispondono ad altrettante lavoratrici e lavoratori che sarebbero entrati in Italia regolarmente, in sicurezza, e che non hanno nessun altro modo per venire a lavorare nel nostro paese. 

Come osserva ancora il Presidente di Idos Luca Di Sciullo, si perdono migliaia di richieste a ogni passaggio dell’iter burocratico, che rimane, nonostante qualche semplificazione, farraginoso e complesso. Dopo la domanda, molte quote di ingresso restano inutilizzate: nel 2022 sono stati rilasciati solo 55.084 nulla osta su 69.700 disponibili, appena il 79%. Il passaggio successivo, il rilascio del visto da parte delle ambasciate italiane, mostra ulteriori criticità. A gennaio 2024, su 74.105 ingressi previsti per il 2023, erano stati concessi 57.967 visti, ma ben 10.718 erano stati rifiutati. Tra chi ha ottenuto il visto, oltre 38.000 persone risultavano ancora in attesa di convocazione. 

Il dato allarmante, tuttavia, riguarda la finalizzazione della procedura, con l’assunzione e il rilascio dei documenti: con i click day di marzo 2023, solo 17.435 domande sono state finalizzate con la sottoscrizione del contratto e la richiesta di permesso di soggiorno per lavoro. Che fine fa il resto delle persone? È destinato a scivolare in una condizione di irregolarità, si legge nel rapporto, e quindi di estrema precarietà e ricattabilità. “Un paradosso drammatico per un sistema che dovrebbe garantire l’ingresso legale di manodopera e contribuire alla crescita al paese”, si legge nel rapporto della campagna.

La volontà di rinchiudere gli stranieri nel lavoro sottopagato e irregolare

L’immobilismo di tutti i governi che si sono succeduti in questi trent’anni e la quantità esorbitante di truffe e distorsioni a cui le norme sui decreti flussi si prestano, sollevano questioni di diritto e morali enormi. “Noi siamo i primi promotori del traffico internazionale di esseri umani”, denuncia Schiavone, “non avendo nessun altro canale di ingresso regolare in Italia. Siamo i maggiori azionisti di questo sistema di sfruttamento”. È paradossale che dopo anni di propaganda e allarmi sull’immigrazione irregolare, l’unico strumento per gestire i flussi sia un sistema che alimenta proprio quell’irregolarità. Nel 2017, al congresso di Cisal, Meloni gridava “all’invasione pianificata e voluta e alla sostituzione etnica”; otto anni dopo l’unico modo per raggiungere legalmente l’Italia è un insieme di norme che favoriscono l’illegalità diffusa. 

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La seconda grande questione è quella della consapevolezza dello sfruttamento, racconta l’avvocato. Si chiude un occhio su migliaia di datori di lavoro che sfruttano la manodopera, evadono le tasse, violano i diritti dei lavoratori. Si trascura totalmente il cosiddetto lavoro grigio, forse il più comune, quello in cui lo straniero ha un contratto, ma lavora più ore e non ha garanzie sui contributi previdenziali. Uno dei settori più problematici in questo senso è quello del lavoro domestico e di cura, dove la presenza straniera è massiccia. Qui lo sfruttamento non è sempre palese o aggressivo, ma avviene in un vuoto strutturale: lo Stato ha abdicato alle sue responsabilità assistenziali, e le famiglie italiane si arrangiano. “C’è un legame ossessivo con il datore di lavoro, da cui dipende la possibilità o meno di avere un permesso regolare. Tutto questo è noto, quindi è inutile parlare di programmi contro lo sfruttamento lavorativo”.

È politica la volontà di rinchiudere gli stranieri nel lavoro sottopagato. Secondo un rapporto di IDOS più di un terzo dei lavoratori stranieri è sovraqualificato, questo perché il nostro è un mercato del lavoro strutturalmente segmentato, dove i migranti vengono incanalati nei settori più duri e meno riconosciuti, quello delle cosiddette tre D: dirty, dangerous, demeaning. E chi entra in quei settori raramente ne esce, impedendo la creazione di una competizione sana nel mondo del lavoro. I decreti flussi, per come sono pensati ora, non sono strumenti di integrazione, ma una perpetuazione di ruoli subalterni all’interno di un’economia che ha bisogno di manodopera a basso costo per sopravvivere.

Immagine in anteprima via Mediterranean Hope

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