Prevenire la violenza di genere vuol dire educare bambini e ragazzi
10 min letturaDopo il femminicidio di Giulia Cecchettin nel 2023, in Italia si è aperto un intenso dibattito su quanto sia diffusa la violenza di genere tra i giovani. Si è puntato il dito contro i testi delle canzoni, gli smartphone e i social media, e ci si è chiesto e ci si continua a chiedere l’origine di un modello di maschilità che non accetta il rifiuto.
La morte di Cecchettin non è stata l’unico caso a scatenare la discussione. Sempre nel 2023 c’erano stati infatti lo stupro di gruppo a Palermo contro una diciannovenne e le indagini sugli abusi perpetrati da ragazzi giovanissimi su due bambine di 10 e 12 anni a Caivano. E ancora, tra marzo e maggio 2025, tre casi di femminicidio hanno visto coinvolte tre giovani donne, di cui una anche minorenne: Ilaria Sula e Sara Campanella avevano 22 anni, mentre Martina Carbonaro ne aveva 14.
Di cosa parliamo in questo articolo:
I dati sulla violenza di genere tra i giovani
Stando ai dati, non sembra ci sia un aumento critico dei casi di violenza tra i più giovani. L’incidenza delle giovani donne vittime di violenza di genere e dei presunti autori è rimasta infatti piuttosto costante negli ultimi anni. Anche i femminicidi avvenuti nel 2025 e segnalati dall’Osservatorio Nazionale Femminicidi Lesbicidi Trans*cidi di Non Una di Meno non rilevano una prevalenza di donne sotto i 30 anni rispetto al totale. Ad aumentare è stata invece la percentuale di vittime di violenza sessuale con età compresa tra i 14 e i 17 anni, che è passata dal 24% del 2020 al 27% del 2023, mentre resta elevata l’incidenza di giovani uomini con meno di 35 anni coinvolti in stupri di gruppo: si tratta del 65% del totale, di cui il 27% nel 2023 aveva tra i 14 e i 17 anni - un dato comunque più o meno in linea rispetto agli anni passati.
Secondo Elena Fierli di SCOSSE, associazione di promozione sociale che realizza progetti e attività di decostruzione degli stereotipi nelle scuole, “non c’è un’emergenza violenza”, perché “la violenza è strutturale, endemica ed esiste da sempre, perché viviamo in una cultura che fa pensare che il corpo delle donne valga meno del corpo degli uomini, che gli uomini possano esigere un certo tipo di relazioni e che la struttura di queste relazioni debba essere dettata da loro”. Ed è “soprattutto ai maschi” che si trasmette questo “modello di virilità e di potere dato per vincente”.
Fierli sostiene piuttosto che “stiamo attraversando una fase culturale che presenta due facce, che sono molto in contrasto tra di loro ma entrambe molto forti”. Da un lato, spiega, “vi è una maggiore consapevolezza da parte delle persone giovani della propria identità, del proprio corpo, dei propri diritti e delle proprie libertà”, e dunque maggiori “rivendicazioni e apertura” su certi temi. “Poi c’è l’altra faccia, che invece si rispecchia nella situazione politica, economica e sociale più generale e che è quella di un conservatorismo sempre più violento, che lotta per mantenere privilegio e potere”.
Questo conservatorismo, spiega Fierli, si manifesta tra i più giovani “nella violenza tra pari, nella quotidianità delle relazioni” e nella cultura del controllo. Tra chi ha meno di 30 anni è infatti più comune considerare accettabile che un uomo controlli abitualmente il cellulare o l’attività sui social network della propria partner. Per quanto meno accettata, anche l’idea che “in una coppia ci scappi uno schiaffo ogni tanto” è più diffusa in questa fascia d’età, così come tra coloro che hanno più di sessant’anni. Come dice Fierli però la cultura del controllo non nasce con le nuove generazioni: “È nuovo il controllo su Instagram, perché prima Instagram non esisteva, ma non è nuovo il meccanismo del controllo e della necessità di mantenere questo privilegio e questo potere”. Perciò, aggiunge, la colpevolizzazione delle persone giovani e dei loro comportamenti “ha senso fino a un certo punto perché loro modellano la propria idea del mondo sui modelli che vedono intorno a sé. E intorno a sé vedono modelli e relazioni di potere profondamente violente”.
Comunità misogine e radicalizzazione online
Dagli influencer alla cultura fino alla politica, i modelli maschili di riferimento più in vista e seguiti dai ragazzi oggi sono infatti soprattutto personaggi che esprimono posizioni aggressive, violente e più o meno esplicitamente maschiliste. Non è un caso, ad esempio, che alle ultime elezioni presidenziali negli Stati Uniti, tra coloro che avevano tra i 18 e i 29 anni, sei donne su 10 abbiano votato Kamala Harris, mentre più della metà dei ragazzi ha votato per Donald Trump: in lui molti giovani uomini avrebbero visto l’antieroe di cui avevano bisogno.
Mentre cercano di decifrare e capire che tipo di uomini vogliono essere e cosa voglia dire essere uomini oggi, molti ragazzi si ritrovano senza gli strumenti e gli esempi adeguati per navigare in un contesto culturale diverso da quello che era stato loro prospettato dalle generazioni precedenti. È facile allora che trovino ispirazione in modelli maschili che danno risposte semplici ai loro dubbi più complessi e che attribuiscono all’esterno - principalmente alle donne, alle comunità marginalizzate e alle loro rivendicazioni - l’origine delle loro insicurezze e dei loro problemi.
In ciò, Internet ha un ruolo fondamentale: è qui che molti giovani uomini trovano risposte alle loro domande, da parte di influencer e personaggi che monetizzano sulle vulnerabilità della loro audience e all’interno di comunità sempre più reazionarie e misogine. Alcuni gruppi sono più radicali e pericolosi di altri, come nel caso degli incel (involuntary celibates, ovvero casti non per scelta) che rivendicano il dominio degli uomini e diffondono odio nei confronti delle donne. Non si tratta di forum nascosti e difficili da trovare, ma piuttosto di gruppi facilmente rintracciabili tramite poche ricerche online o sui social media, e che hanno una forte capacità di influenza soprattutto su ragazzi molto giovani. Esistono anche in Italia, e una volta entrati è difficile uscirne: “È un buco nero che ti assorbe, scendi giù e rimani bloccato nell’orizzonte degli eventi”, dice Francesco, un ragazzo che per anni ha fatto parte di gruppi incel e che ha raccontato la sua storia nel podcast Oltre - Un’inchiesta sull’universo incel italiano della giornalista Beatrice Petrella. Questo “buco nero” è anche “confortante”, spiega Petrella, perché rappresenta una comunità che accetta, accoglie e non chiede ai suoi membri di cambiare, che offre una visione del mondo facile e lineare, e che descrive chi ne fa parte come vittima e la donna come carnefice.
Se uscire da questa rete è complesso, finirci dentro è invece molto semplice: solitudine, scarso contatto con la realtà e il funzionamento delle stesse piattaforme online che vogliono trattenere quanto più possibile gli utenti al loro interno, combinate in molti casi con le vulnerabilità dell’adolescenza che spesso si attraversa senza guida e conoscenze adeguate, possono favorire quel buco nero di cui parla Francesco. Perciò è essenziale soprattutto fare un lavoro di prevenzione: alla violenza misogina, che non è nata online ed è sistemica, e anche allo stato di solitudine e sensazione di abbandono e confusione, sperimentate da molti ragazzi e che possono indurli a cercare rifugio in un mondo virtuale e violento.
Gli spazi per crescere e per esprimersi
Già garantire ad esempio tempo libero di qualità a bambini e ragazzi, che siano attività sportive, ludiche o di formazione, vuol dire offrire loro momenti di crescita e partecipazione al mondo esterno, essenziali per potersi misurare con pregiudizi e relazioni e per liberarsi da un pericoloso stato di solitudine. In Italia però oggi molte opportunità non sono accessibili e disponibili a tutti. È un problema che emerge soprattutto d’estate, quando le scuole sono chiuse: nel 2019, ad esempio, meno del 10% di bambini e ragazzi tra i 3 e i 14 anni avevano frequentato centri estivi e attività prima e dopo la scuola, una percentuale che aveva toccato il 15% al Nord ed era scesa al 2,2% nel Sud continentale.
Oltre alla scarsa offerta, è anche una questione di costi: il prezzo medio di un centro estivo a tempo pieno nel 2024 infatti era di 154,30€ a settimana, il 9,8% in più rispetto al 2023. Per coprire le 8 settimane di chiusura delle scuole, lo scorso anno una famiglia poteva arrivare a spendere più di 1200€ a figlio, una cifra che a Milano superava i 1700€. Questo vuol dire che solo le famiglie che possono permetterselo possono garantire ai loro figli momenti di crescita, spazi di socializzazione ed esperienze di formazione, che sono centrali per comprendere chi si è, si vuole essere e il proprio ruolo nel mondo.
Un lavoro di prevenzione specifico, organizzato e strutturato andrebbe fatto poi principalmente in ambito scolastico, con percorsi di educazione sessuale e affettiva realizzati da personale competente. In Italia oggi l’educazione sessuale e affettiva non è obbligatoria, perciò le scuole si muovono in maniera indipendente, con le criticità che questo comporta: non tutte le scuole possono ad esempio permettersi o riescono a organizzare percorsi di formazione con associazioni esterne; altre invece affidano queste attività a realtà non adeguatamente preparate o enti religiosi con conseguenze controproducenti.
Della necessità di attivare percorsi obbligatori di educazione sessuale e affettiva nelle scuole si è ripreso a parlare soprattutto in seguito ai casi di Caivano e Palermo e alla morte di Cecchettin. In risposta a questa richiesta, a novembre 2023 il ministro per l’Istruzione e il Merito Giuseppe Valditara aveva annunciato il progetto “Educare alle relazioni”, che più che un percorso strutturato proponeva in realtà un insieme di attività extrascolastiche volontarie per le scuole superiori: un anno e sette mesi dopo comunque non è ancora stato implementato.
Valditara ha di recente detto che il piano è stato sostituito dalle linee guida sull’educazione civica entrate in vigore da settembre 2024, che però dedicano alla violenza di genere solo poche righe e utilizzano anche un linguaggio piuttosto vago: nel testo infatti si legge che va riservata “particolare attenzione” al tema della violenza di genere, “per educare a relazioni corrette e rispettose”, “promuovere la parità fra uomo e donna” e “far conoscere l’importanza della conciliazione vita-lavoro, dell’occupabilità e dell’imprenditorialità femminile”. Si parla poi di “individuare e illustrare i diritti fondamentali delle donne” e “sviluppare la cultura del rispetto verso ogni persona”.
Nel maggio 2025, sempre Valditara ha presentato un disegno di legge sul “consenso informato in ambito scolastico”, che prevede che per realizzare attività sul tema della sessualità le scuole devono richiedere e ottenere il consenso informato scritto delle famiglie (o degli studenti maggiorenni) entro sette giorni prima dell’inizio delle attività stesse, e la valutazione da parte del Collegio dei docenti e l’approvazione del Consiglio di istituto del coinvolgimento di soggetti esterni. Inoltre, si specifica che la scuola dell’infanzia e primaria sono escluse dall’organizzazione di attività che trattino il tema della sessualità.
Per Educare alle Differenze, rete nazionale di associazioni che fanno formazione nelle scuole contro le discriminazioni, la scuola che propone Valditara è “una scuola della sorveglianza e dell’obbedienza, non della libertà e della partecipazione. Bloccare l’educazione sessuo-affettiva, ridurre l’autonomia didattica, riportare l’autorità come valore fondante significa negare la funzione democratica della scuola”. Anche l’associazione SCOSSE, che fa parte della rete, condivide lo stesso pensiero: “Questo governo parla di educazione in un modo profondamente conservatore e con poca competenza. Non fa alcun caso e non pone alcuna attenzione a quelli che sono i bisogni reali della scuola e delle persone giovani”, dice Fierli. Infatti, se “la famiglia educa dentro casa”, la scuola dovrebbe essere il luogo in cui bambini, ragazzi e adolescenti sentono “di avere lo spazio e gli strumenti per esprimersi”.
L’educazione sessuale e affettiva per una maschilità alternativa
I percorsi di educazione sessuale e affettiva sono invece fondamentali per educare al rispetto, prevenire forme di prevaricazione e mostrare strade alternative a una maschilità tossica e aggressiva. Per raggiungere questo scopo, però, questi percorsi devono essere attivati già nei primi anni di scuola, quando bambine e bambini iniziano a confrontarsi con pregiudizi e stereotipi. “Quando si parla di educazione sessuale e affettiva”, spiegano infatti da SCOSSE, “si parla, o si dovrebbe parlare, di un’educazione alle relazioni intesa come un’educazione delle persone che hanno a che fare con il resto del mondo”, quindi “certo che si parla di sessualità”, ma si va anche molto oltre: “Solo se si impara ciò che ci fa stare bene, ciò che ci piace e che non ci piace, i limiti che vogliamo porre, e quelli che le altre persone pongono, si possono costruire delle relazioni che siano basate sul consenso e che siano di benessere”, e questo riguarda anche i rapporti di amicizia.
È importante che la formazione poi riguardi tanto i bambini e i ragazzi, quanto anche le famiglie e gli insegnanti, che, dicono da Educare alle Differenze, “non devono essere esperti di genere, ma adulti in formazione continua”. Per quanto riguarda invece il lavoro che l’associazione SCOSSE fa con le classi di adolescenti, si parte solitamente dall’identificazione degli stereotipi: “Se ne parla, si cerca di capire perché li sosteniamo e perché a volte ci fa così arrabbiare quando traballano. Da lì, si cercano delle soluzioni, che possono essere strategie molto piccole, come cambiare il linguaggio, il modo di scherzare, le battute, e poi si passa a cose più grandi, come costruire relazioni basate sul consenso e dinamiche di gruppo, in cui tutti trovino spazio e abbiano voce”. La pressione sociale e il giudizio esterni sono poi argomenti che Fierli ha notato stanno molto a cuore agli adolescenti: “Richiedono tantissimo che vengano affrontati, quindi lavoriamo molto su questo, sulla pressione sul corpo e su quella estetica”.
Costruire un dialogo comunque non è semplice: all’inizio “c’è sempre una resistenza”, afferma Fierli, “che è una resistenza molto sana, e la sfida è quella di creare un vincolo” con i ragazzi, che “hanno totale consapevolezza di vivere dentro una cultura molto violenta”, ma hanno anche “spesso poco spazio e poca attenzione da parte delle persone adulte” per poterne parlare. Il rapporto di fiducia allora si crea quando “le persone adolescenti capiscono che chi è di fronte a loro le sta ascoltando e considera ciò che dicono interessante e si cerca di trovare un vocabolario comune”. Anche secondo Educare alle Differenze, l’ascolto e il rapporto di fiducia sono strumenti fondamentali per mettersi in connessione con i ragazzi: “Le persone adolescenti vanno coinvolte, non giudicate. Lavorare con loro significa partire dai loro linguaggi e vissuti, anche dai loro riferimenti culturali. La chiave è aprire domande, non dare risposte prefabbricate. Quando li ascolti davvero, diventano capaci di leggere criticamente anche ciò che amano. È un lavoro di fiducia reciproca, non di imposizione”.
Il 1522 è il numero gratuito da tutti i telefoni, attivo 24 ore su 24, che accoglie con operatrici specializzate le richieste di aiuto e sostegno delle vittime di violenza e stalking. Per avere aiuto o anche solo un consiglio chiama il 1522 oppure apri la chat da qui.
(Immagine anteprima via Ansa)

Klaus von Lorenz
Predisponenza e scatenanza, fenomeno che va assolutamente analizzato specialmente da parte del settore psicologico il quale, quando si parla di violenza, non accenna mai al connesso fra l'educazione ed il relativo risultato. Non si vede mai un bambino di 6 anni che porta il fiasco di vino al nonno e lo invita a bere un bicchiere perché gli fa bene ! Viceversa però . . . ! Perché non accenniamo a quelle mammine che non si accorgono come esse inducono i propri figli al NARCISISMO e alla VIOLENZA ? Vogliono che il figlio si distingua in grandezza ma, invece di farlo crescere, gli insegnano come abbassare l'altro ! . . . milita nella squadra - uniforme - capitano - attaccanti - difensori - sconfitta - vittoria - medaglie - inno nazionale - bandiera - orgoglio - NOI . . . . . " Lo sport non ha bisogno di partenze, incitazioni, cronometri , esibizionismo e quant'altro. L'agonismo invece, rievoca l'assalto da trincea e la fucilazione: sui posti - pronti - via = puntare - mirare - fuoco ! Grazie dell'insegnamento ! . ..ma, si fa per gioooco ! . . . è spooort !" . . . Subliminale e inavvertitamente ben inglobato insegnamento . . - L'atleta milita nella squadra agli ordini di un capitano - Va sul piede di guerra e combatte da cannibale - Assalta come un mostro, fa stragi e devasta i rivali - Demolisce il nemico e domina sugli avversari - Espugna e ottiene la vittoria - Diventa un dominatore, un ottimo bomber il NARCISISTA è fatto ! . . . . . .CONVINCERE - PERSUADERE - INDURRE . . . DAL GRUPPO AL GREGGE E . . DAL GREGGE AL BRANCO Aprite il libro: SPORT - STORIA DI UN INGANNO - PANEM ET CIRCENSES AL GIORNO D'OGGI .