La pace in Ucraina è ancora lontana: Trump si schianta davanti alla realtà
8 min letturaA oltre 100 giorni dall'inizio del suo secondo mandato, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump si trova di fronte a una situazione geopolitica ben diversa da quella da lui delineata nelle promesse fatte in campagna elettorale e durante la cerimonia di insediamento dello scorso 20 gennaio. Sul piano internazionale, l’escalation in Medio Oriente, con Israele pronto a un’invasione massiccia di Gaza e il nuovo conflitto tra due potenze nucleari, India e Pakistan, hanno già smentito nei fatti la propaganda trumpiana di una nuova pace globale favorita dall’approccio della nuova amministrazione statunitense.
Anche l'impegno di porre fine al conflitto in Ucraina in tempi brevi si è scontrato con la dura realtà, tanto che lo stesso Trump è arrivato ad ammettere in un’intervista a NBC che una pace tra Russia e Ucraina potrebbe essere impossibile, scaricando le responsabilità su un presunto odio personale fra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky.
Già nelle settimane precedenti, come riporta la CNN, Trump si lamentava con i suoi consiglieri della mancanza di progressi nelle trattative a causa dell’ostilità fra i leader di Russia e Ucraina. Riducendo l’invasione russa del 24 febbraio 2022 a un dissidio fra Putin e Zelensky, il presidente americano assorbe l’ennesimo talking point della propaganda del Cremlino che minimizza la guerra di invasione e di conquista del suo vicino sud-occidentale a un mero attrito fra leadership politiche.
Lo scorso 24 aprile, prima di un incontro alla Casa Bianca con il primo ministro norvegese Jonas Gahr Støre, il presidente Donald Trump aveva però espresso pubblicamente il suo disappunto per l'intensificarsi dei bombardamenti russi sui civili ucraini. In un raro momento di critica verso Mosca, Trump aveva scritto sul suo social personale Truth un messaggio diretto al presidente russo: “Vladimir, STOP!”.
Tuttavia, durante l’incontro con Støre, Trump ha di nuovo adottato un tono più conciliatorio nei confronti della Russia, affermando che il fatto che Mosca rinunci a conquistare l'intera Ucraina e interrompa l'avanzata militare rappresenti di per sé una “grande concessione” da parte del Cremlino.
Una dichiarazione che lascia quantomeno perplessi, considerando che l'arresto dell'offensiva russa negli ultimi tre anni è attribuibile a limiti operativi e alla resistenza ucraina, di certo non ad una scelta volontaria di Mosca. Fa specie che, in una lunga intervista a The Atlantic, Trump sostenesse pure che Støre abbia condiviso la sua posizione, sebbene la Norvegia sia uno dei principali alleati di Kyiv negli ultimi tre anni.
La posizione ambigua di Trump evidenzia una difficoltà nel mantenere una linea coerente tra la retorica di pace, durante interviste e messaggi sociali, e il perseguimento di azioni diplomatiche concrete. Trump “non si preoccupa delle contraddizioni evidenti. Un giorno pubblica [un post in cui dice che] Zelensky è un dittatore col quattro per cento di approvazione, e una settimana dopo dice a un giornalista di non aver mai detto né pensato una cosa del genere,” scrive Ilya Shepelin su Meduza.
Il fallimento dell’operazione, appunto più mediatica che diplomatica, ha portato l’amministrazione Trump a un cambio di strategia. “Non correremo in giro per il mondo al primo cenno per mediare incontri; ora la questione è tra le due parti, ed è arrivato il momento che siano loro a presentare e sviluppare idee concrete su come porre fine a questo conflitto”, ha dichiarato a inizio maggio la portavoce del Dipartimento di Stato Tammy K. Bruce.
Dichiarazioni che segnalano un mutato approccio già prefigurato dal Segretario di Stato americano (e dal 1 maggio, dopo il licenziamento di Mike Waltz, anche Consigliere per la Sicurezza) Marco Rubio, che ad aprile ipotizzava uno svincolamento di Washington dalle trattative se non si fossero fatti progressi “in pochi giorni”.
In tre mesi, Trump e i suoi consiglieri hanno sbaragliato il tavolo per poi distruggerlo e abbandonarlo in mille pezzi, lasciando l’Ucraina in una situazione ancora più difficile di quella già critica a inizio 2025, sola con i suoi alleati europei e la ‘coalizione dei volenterosi’ sostenuta da Keir Starmer ed Emmanuel Macron. Quest’ultima, però, operativa solo in potenza e condizionata, ha chiarito il presidente ceco Petr Pavel, dal raggiungimento di un accordo di pace sempre più lontano.
Durante la campagna elettorale, Trump aveva promesso di risolvere il conflitto ucraino in 24 ore: lo ha detto, più o meno direttamente, 53 volte tra il 2023 e il 2024. Eppure, solo dopo due mesi è trapelata una prima bozza del piano di pace dell'amministrazione Trump.
Secondo le indiscrezioni di Axios diffuse a fine aprile, essa prevede il riconoscimento de jure della Crimea come parte della Russia, quello de facto dei territori occupati dai russi nelle oblast’ di Donec’k, Luhans’k, Kherson e Zaporizhzhia, e la creazione in quest’ultima di una zona neutrale attorno alla centrale nucleare di Enerhodar. All’Ucraina ritornerebbe, invece, la piccolissima porzione dell’oblast’ di Kharkiv attualmente occupata dai russi, oltre a vaghe promesse di “robuste garanzie di sicurezza” da parte di alcuni paesi europei e non.
Zelensky aveva però subito escluso, lo scorso 23 aprile, il riconoscimento della Crimea da parte ucraina, in contravvenzione alla Costituzione del paese. Ciò aveva spinto Rubio a rinunciare a un incontro di alto livello a Londra il giorno successivo con i ministri degli Esteri di Ucraina, Regno Unito e Francia, comunque tenutisi ma a un livello più basso.
La settimana precedente, secondo il New York Post, il ministro della Difesa ucraino, Rustam Umerov, aveva comunicato agli Stati Uniti che Kyiv era favorevole al 90% all’iniziativa di pace del presidente Trump, così come presentata a Parigi (il 17 aprile) dallo stesso Rubio.
A febbraio, l’incontro tra Trump e Zelensky allo Studio Ovale della Casa Bianca aveva scoperchiato le tensioni tra i due leader, con il tycoon che ha tentato di umiliare pubblicamente insieme a JD Vance quello che considera un nemico sin dal suo primo mandato. Tra febbraio e marzo, Trump ha più volte accusato l'Ucraina di non collaborare alle trattative di pace, mentre Zelensky continuava a ribadire la necessità di una soluzione che rispettasse l'integrità territoriale del suo paese, così come la necessità di garanzie di sicurezza concrete per il futuro post-bellico.
Da aprile in poi, però, Zelensky ha dimostrato a Trump di sapere fare concessioni e compromessi. Non solo l’attesa firma dell’accordo sui minerali tra Washington e Kyiv, ma pure l’accettazione della tregua pasquale il 20 aprile, mantenuta nonostante le numerose violazioni, a cui è seguito lo scenografico incontro del 26 aprile fra Trump e Zelensky nella Basilica di San Pietro durante i funerali di Papa Francesco, definito proficuo da entrambe le parti.
Soprattutto, il presidente ucraino ha rilanciato l’impegno dell’Ucraina per la pace avanzando la proposta di un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni, sul tavolo da parte americana già ad inizio marzo. Una proposta rigettata però dal Cremlino che ha invece sottolineato, attraverso le parole del portavoce Dmitriy Peskov la necessità di un bilaterale tra Trump e Putin.
La Russia, dal canto suo, ha sempre mantenuto una posizione rigida, al di là del wishful thinking comunicativo dell’amministrazione Trump. A fine aprile, dopo un incontro con Rubio, il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, aveva ribadito le condizioni per avviare negoziati di pace: il riconoscimento da parte dell'Ucraina dell'annessione della Crimea e dell’interezza delle regioni parzialmente occupate, la rinuncia all'adesione alla NATO e la demilitarizzazione del paese.
Dopo tre anni, il Cremlino non sembra dunque incline a fare nessuna concessione per una risoluzione ragionevole dell’invasione in Ucraina, nonostante le crescenti difficoltà militari, che hanno spinto sia Putin che Kim Jong-un ad ammettere per la prima volta il supporto della Corea del Nord nell’oblast russa di Kursk, ed economiche, con diversi analisti che ipotizzano una probabile stagflazione dell’economia russa nei prossimi mesi.
In occasione delle celebrazioni per l'80° anniversario della vittoria sovietica nella Seconda Guerra Mondiale, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato un cessate il fuoco unilaterale dal 8 al 10 maggio. Tuttavia, Zelensky ha respinto la proposta, definendola insufficiente e ‘teatrale’, e ha rilanciato la precedente proposta ucraina di una tregua incondizionata di almeno 30 giorni, sostenuta dagli Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite.
Nel frattempo, le recenti dichiarazioni di Putin, che ha espresso la speranza di non dover ricorrere all'uso di armi nucleari nel perseguimento di una ‘conclusione logica’ del conflitto, cioè, nella prospettiva russa, una vittoria militare incontestabile, evidenziano in maniera definitiva come le indiscrezioni su una maggiore apertura del Cremlino al tavolo delle trattative fossero prive di fondamento.
Secondo un’analisi del Financial Times, sebbene la possibilità che Mosca lanci un'invasione su vasta scala contro i paesi europei sia al momento remota, la Russia sta già intensificando una guerra “ibrida” fatta di omicidi transfrontalieri, operazioni di sabotaggio, cyberattacchi e altre forme di destabilizzazione. Azioni che, avverte il quotidiano britannico, saranno sempre più frequenti e rischiano di innescare escalation imprevedibili. Una situazione resa ancora più pericolosa dal disimpegno progressivo degli Stati Uniti dal continente europeo.
Per questo motivo, secondo l’articolo, i dettagli dell’eventuale cessate il fuoco in Ucraina assumono un’importanza cruciale per il futuro dell’Europa. Come diverse altre analisi, anche il Financial Times sottolinea che è fuori discussione che Kyiv riesca a soddisfare le “condizioni ideali” in un accordo con la Russia fino a quando ci sarà l’amministrazione trumpiana: l’adesione alla NATO è considerata irrealistica e non esistono, al momento, alternative concrete che possano garantire un livello di sicurezza equivalente. Anche la concessione temporanea dei territori occupati non è più un tabù, come mostrato in una recente intervista del sindaco di Kyiv, Vitalii Klitshcko, alla BBC.
Nella migliore delle ipotesi, sostiene il FT, si potrebbe arrivare a un compromesso che eviti almeno il riconoscimento formale delle modifiche territoriali imposte dalla Russia. Ma molto dipenderà dalla volontà dell’amministrazione Trump: se sceglierà davvero di legittimare de facto le conquiste territoriali del Cremlino, le conseguenze per l’Europa e per l’ordine internazionale potrebbero essere drammatiche.
Lo stesso giorno in cui veniva annunciata la firma dell’accordo sui minerali, gli Stati Uniti hanno approvato una vendita di 50 milioni di dollari in armi all’Ucraina. Una goccia del mare rispetto alle esigenze reali di Kyiv. Già negli ultimi mesi del mandato Biden era apparso evidente che gli aiuti militari statunitensi stessero esaurendosi, e senza quel sostegno, le possibilità per Kyiv di riconquistare le aree perdute si riducono drasticamente. L’Europa, sebbene stia cercando di colmare quel vuoto, non è ancora pronta a farlo in modo efficace.
L'Unione Europea ha però espresso il suo sostegno all'Ucraina, accelerando il processo di screening, cioè la scansione della legislazione ucraina rispetto ai requisiti comunitari. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato che l'accesso all'UE rappresenta la garanzia di sicurezza più forte per l'Ucraina. L'Unione Europea continua a sostenere l'Ucraina nel suo percorso verso l'adesione, ma riconosce che una pace duratura e giusta rimane una condizione imprescindibile: come raggiungerla?
Sul fronte militare, la situazione rimane più che mai incerta, soprattutto a Kurs’k e nelle zone di confine di Sumy, dove alcuni centri abitati sotto controllo ucraino, come Bilopillya, sono stati invitati all’evacuazione dal governatore dell’oblast’. Sebbene la Russia non abbia ottenuto i successi sperati, l'Ucraina fatica sempre più a mantenere le proprie posizioni.
La più recente proposta di creare una zona demilitarizzata di 30 km tra i due eserciti, avanzata dall’inviato degli Stati Uniti per Russia e Ucraina, Keith Kellogg, è stata accolta con scetticismo dopo l’ulteriore escalation verbale. All’ennesimo spauracchio nucleare di Putin, Zelensky ha risposto dicendo di “non poter garantire la sicurezza” delle delegazioni estere che saranno presenti a Mosca per le celebrazioni del 9 maggio. A cui non parteciperanno il primo ministro indiano Narendra Modi né il suo ministro della Difesa, a differenza delle precedenti indiscrezioni della stampa russa.
Una possibile risposta alle crescenti relazioni tra il Cremlino e il Pakistan, di certo non gradite a Nuova Delhi. La promessa trumpiana di una pacificazione globale ha prodotto, nei fatti, un’accelerazione delle crisi latenti, trasformando linee di faglia geopolitiche in vere e proprie fratture. La postura disarticolata di Washington, fatta di annunci clamorosi, retromarce tattiche e pressioni mal calibrate, ha reso evidente che non esiste un piano coerente per l’ordine internazionale, né tantomeno per l’Ucraina.
In questo contesto, la guerra di aggressione russa rischia di essere non solo il banco di prova della resistenza di Kyiv, ma anche il termometro della capacità occidentale di difendere l’idea stessa di sovranità e diritto internazionale. E se la pace che si va profilando dovesse essere imposta, svuotata di giustizia e legittimità, a perdere non sarà solo l’Ucraina: sarà l’idea stessa di un ordine globale fondato su regole condivise.
Immagine in anteprima: Executive Office of the President of the United States, Public domain, via picryl.com
