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L’altra Israele che si mobilita per la liberazione degli ostaggi, contro Netanyahu e la guerra a Gaza

30 Maggio 2025 10 min lettura

L’altra Israele che si mobilita per la liberazione degli ostaggi, contro Netanyahu e la guerra a Gaza

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C’è un crudele paradosso tra chi in Israele è in piazza per la liberazione degli ostaggi, per il cessate il fuoco a Gaza, contro tutte le manovre di Benjamin Netanyahu per restare al potere.

Come comunità politica, sono i primi a essere stati colpiti il 7 ottobre 2023, pagando un tributo altissimo. Una comunità politica che non ha rinunciato a difendere attivamente ideali di uguaglianza, giustizia sociale e pacifismo, manifestando da subito la consapevolezza che gli ostaggi civili, che provenivano dai kibbutz, non avrebbero mai ricevuto una vera tutela da un governo storicamente e politicamente ostile al loro mondo. Una comunità politica che, proprio per questo, fin dai giorni immediatamente successivi al 7 ottobre è scesa in piazza.

Ma molti di loro da quella piazza non se ne sono andati: dall'inizio del 2023, infatti, la società civile israeliana, di cui fanno parte a titolo personale e politico,  è mobilitata contro il tentativo da parte del governo israeliano di varare una riforma giudiziaria che andava a ledere i fondamenti dello Stato di Diritto. Ma cosa animava, e continua ad animare, quella comunità?

Tzionut Ezrahit, il “sionismo civico”

Nulla sfugge alle trasformazioni. Come avvenuto anche nel suo lontano passato, non sfugge alla regola nemmeno il termine “sionismo”, troppo abusato e per certi versi superato. Per comprendere cosa animi la società civile israeliana moderna e contemporanea bisogna comprendere quale sia stata la sua evoluzione.

Ciò che non si riesce a mettere a fuoco fuori da Israele, è che il concetto di sionismo, inteso come la storica idea nazionale, resta nelle affermazioni astratte, ma non nel reale dibattito interno a sinistra in atto da molti anni.

Dopo il declino del Partito Laburista, e il susseguirsi praticamente ininterrotto dalla seconda metà anni ‘90 di governi sempre più sbilanciati a destra, gli eredi del sionismo socialista hanno iniziato a interrogarsi su come ridefinire una proposta di Stato fondata non più solo sull’identità ebraica, ma sull’essere nell’oggi cittadini israeliani.

Se si dovesse definire una prima data in cui si gettano le prime basi per un nuovo ragionamento è il 17 marzo 1992. Quel giorno, con un consistente sforzo parlamentare sia dell’ala moderata di Likud che delle forze centriste e di sinistra, viene adottata la Legge fondamentale: Dignità umana e libertà.

In assenza di una costituzione formale, questa Legge fondamentale diventa un riferimento giuridico certo e solido per le valutazioni dell’Alta Corte di Giustizia (la più alta istanza giurisdizionale dello Stato), a fronte degli appelli dei cittadini israeliani sul tema dei diritti. Dalla seconda metà degli anni ‘90 inizia a farsi sempre più spazio nei dibattiti accademici l’espressione Tzionut Ezrahit: il sionismo civico.

Il Sionismo civico non ha una definizione precisa. Tuttavia, nel tempo, il quadro giuridico sviluppatosi, rafforzato anche dalle sentenze dell’Alta Corte, ha favorito una forma di cittadinanza fondata su valori condivisi. Questo nuovo civismo ha preso il posto di quello sostenuto in passato da altre leggi fondamentali, le quali però non definivano chiaramente i diritti dei cittadini.

In questa proposta di cittadinanza, si sono così intravisti quegli indirizzi che ne sono diventati la spina dorsale: la centralità dello Stato di diritto, l’inclusività sociale per ogni minoranza, la promozione della partecipazione politica, la difesa dei diritti umani e l’opposizione a politiche autoritarie o discriminatorie. 

Idee proprie anche del sionismo socialista, ma che si sono distaccate dal pensiero economico originario e si sono sviluppate in un contesto con forti caratteristiche libertarie.

In quegli anni operano già alcune realtà consistenti come l'Association for Civil Rights in Israel, il Movement for Quality Government in Israel  nonché Peace Now, il più vecchio movimento pacifista israeliano.

Seppur con un peso minore sono già attivi Yesh Gvul, Rabbis for Human Rights e fa il suo esordio B'Tselem.

Nel tempo il civismo israeliano si segmenta in campi d’azione specifici come nel caso di New Profile, che si concentra sui diritti LGBTQ+ e delle donne nell’esercito a cui si affianca Itach Ma'aki che, promosso da un gruppo di giuriste, si adopera per contrastare la discriminazione verso la popolazione di sesso femminile.

Ci sono poi realtà che operano fisicamente nei Territori occupati come Ta’ayush, un’associazione che opera tra Gerusalemme e la Cisgiordania, fondata da Gershon Baskin, l’associazione promuove una rete di solidarietà arabo-ebraica che lavora concretamente sul terreno al fianco delle comunità palestinesi.

Non va dimenticato l’ingresso negli anni di realtà interindentitarie preziose nel campo della pace, come il movimento femminista Women Wage Peace che, in sinergia con le palestinesi di Women of the Sun, organizza marce e manifestazioni per rivendicare un maggior ruolo delle donne nel dibattito su una pace possibile.

Un’altra realtà trasversale di rilievo è Standing Together, un movimento arabo-ebraico caratterizzato da leadership concretamente condivisa e che ha l’obiettivo di unire cittadini ebrei e arabi nelle battaglie politiche. 

Da questa frammentazione tematica nella partecipazione politica attiva nascono spesso diramazioni nel mondo del volontariato. Un esempio è Derech Hachlama, che assiste i pazienti palestinesi provenienti dai Territori occupati e curati nelle strutture sanitarie israeliane. L’organizzazione nasce come diretta filiazione del The Parents Circle-Families attivo dal 1995 nel promuovere la riconciliazione attraverso l’incontro tra famiglie israeliane e palestinesi colpite dalla perdita violenta di affetti nei vari conflitti.


La contrapposizione anti-governativa

La deriva politica del Likud, ormai ridotto a partito personale di Netanyahu e guidato da un’agenda sempre più modellata sui suoi interessi e sostenuta da una narrativa polarizzante, spacca progressivamente la società israeliana.

Le sue alleanze di governo, sempre più sbilanciate verso l’estrema destra - tra sionismo religioso radicale, eredi del kahanismo di Otzma Yehudit e partiti ultraortodossi - hanno ampliato ulteriormente il divario con ampi settori della popolazione e generato un crescente allarme democratico nella società civile.

Questa percezione ha portato non solo ad un’attivazione di tutte le realtà civiche pre-esistenti, ma anche alla nascita di nuove associazioni specificatamente dedicate all’opposizione alla deriva autocratica del governo.

Le associazioni iniziano a presentare delle petizioni all’Alta Corte nel marzo 2020 per dichiarare Benjamin Netanyahu inadatto a formare un nuovo governo.

L’appello più significativo è quello del Movement for Quality Government in Israel che a marzo 2020 promuove un ricorso per impedire al premier incaricato di assumere l’incarico.
La tesi dei legali dell’associazione è che i tre procedimenti giudiziari, che vedono Netanyahu imputato per corruzione, frode e abuso di fiducia, siano ostativi al suo incarico.
In assenza, però, di una sentenza penale definitiva, l’Alta Corte respinge due mesi dopo   l’appello in base alla Legge fondamentale: Il Governo.

Una delle realtà nate per contrastare il neo-governo Netanyahu è Ein Matzav, associazione promossa, tra gli altri, dal generale in pensione Amir Haskel. A cavallo tra il 2020 e il 2021 Ein Matzav ha animato per 9 mesi un sit-in permanente sotto la casa del Premier a Gerusalemme, oltre a organizzare manifestazioni molto partecipate per spingerlo alle dimissioni.

Lo spontaneismo informale ha visto invece nascere nel 2020 il movimento Black Flags. Ormai praticamente disciolto, con i suoi membri confluiti in altri gruppi, Black Flags si è distinto per vivacità in vari momenti della contestazione tra il 2020 e il 2021 al governo.

La riforma giudiziaria del 2023

Ai primi del 2023 il paese insorge contro la proposta di riforma giudiziaria del governo Netanyahu, insediatosi qualche mese prima. Questa riforma vuole limitare le prerogative dell’Alta Corte d’Israele nel bloccare le decisioni giudicate "irragionevoli", modificare i criteri di composizione del comitato per la selezione dei giudici dell’Alta Corte dando maggiore spazio alle manovre politiche e, cosa ancor più grave,  introdurre una  "clausola di prevalenza" ovvero consentire alla Knesset di riapprovare leggi in precedenza annullate dall’Alta Corte.

Nasce Brothers in Arms, un’associazione di ex riservisti che si oppone al tentativo del governo di trascinare il paese verso un’autocrazia. Accanto alla protesta anti-governativa, affianca una forte opposizione contro l’esenzione dagli obblighi militari per la comunità ultra-ortodossa. In un paese in cui il servizio militare obbligatorio coinvolge la quasi totalità dei cittadini, questo privilegio è contestato anche da molti parlamentari di maggioranza ma è vincolante per il sostegno del governo da parte dei partiti haredi.

Uno dei movimenti più interessanti è quello che anima la cosiddetta “High-tech protest", che coinvolge attivamente migliaia di lavoratori del settore dell’alta tecnologia organizzati in molti sottogruppi, tra cui i Democratech, e coordinati dall’imprenditore Moshe Radman.
Con lo slogan "No democracy, no high tech" (“niente democrazia, niente alta tecnologia”), oltre all’opposizione per il palese attentato allo Stato di diritto si affianca il tema del potenziale danno economico conseguente. Si diffonde infatti il timore, come paese, di perdere la capacità di attrarre quegli investimenti esteri che sono vitali per il settore.

L’ingresso di questi movimenti segna un primo allargamento del fronte politico di chi si oppone al governo. Seppur non espressamente, Brothers in Arms è infatti posizionato politicamente nel centro sionista laico e liberale e Hig Tech Protest è considerato apolitico.

Dopo il 7  ottobre 2023

Le famiglie degli ostaggi trovano quindi una rete consolidata di associazioni e movimenti che si “stringono” letteralmente a loro. In particolare Brothers in Arms si ripensa ed  attiva una macchina umanitaria straordinaria a supporto delle comunità colpite in prossimità della Striscia di Gaza nei giorni precedenti e per i mesi successivi.

Il Forum delle Famiglie degli Ostaggi viene costituito il 13 ottobre 2023 e, nonostante l’ampia prevalenza di familiari di kibbutznik, assume una connotazione apartitica. Questa scelta non risponde solo all’esigenza di rispettare le diverse sensibilità delle famiglie ma riflette quel pragmatismo verso gli obiettivi che resta tuttora il suo principale patrimonio.

Dai primi di novembre in poi, prende avvio una sequenza ininterrotta di manifestazioni a Tel Aviv, che riprende, nel metodo, l’appuntamento fisso del sabato già adottato dai manifestanti contro la riforma giudiziaria. 

Ogni sabato nella sola Tel Aviv i numeri dei manifestanti difficilmente scendono sotto i 100.000. All’interno di una mobilitazione nazionale per il fermo al piano Biden operato da Netanyahu, dopo 3 mesi dalla sua presentazione, nel settembre del 2024 si arriva ad oltre 550 mila manifestanti nella sola Tel Aviv e 700 mila in tutto il paese. Si tratta della più grande manifestazione di protesta in Israele di sempre.

La guerra a Gaza

Sin dal novembre 2023, il concetto di “cessate il fuoco” è presente nei messaggi e negli slogan dei manifestanti, ma è legato principalmente alla liberazione degli ostaggi. Nel corso del 2024, l’offensiva delle IDF a Gaza inizia a restituire il suo tragico bilancio di vite di civili palestinesi e si presenta il tema del blocco degli aiuti umanitari.

Standing Together, in particolare, si attiva e ai primi di marzo del 2024 organizza per sensibilizzare l’opinione pubblica israeliana un piccolo convoglio per portare quanto raccolto di cibo e altro a Gaza ma vengono fermati dalla polizia. In maggio dopo alcuni assalti degli attivisti di destra ai camion con gli aiuti umanitari diretti a Gaza dalla Cisgiordania, i membri di Standing Together si mobilitano per proteggerli.

Non mancano le denunce di abusi di soldati dell'IDF a Gaza da parte di associazioni israeliane come Breaking the Silence, che portano anche a delle indagini ufficiali da parte delle autorità militari. Ci sono poi gli interventi pubblici, come quelli di Physicians for Human Rights Israel che denunciano costantemente le sempre più precarie condizioni sanitarie a Gaza. 

Un’attesa che sembra non finire mai

L’accordo però non arriva, a causa principalmente del comportamento di Netanyahu che, nel timore che i suoi alleati di estrema destra facciano cadere il governo tra mille pretesti e avallando fake news di dubbia provenienza, blocca la Fase 1 del Piano di pace Biden, che i suoi mediatori avevano sottoscritto.

Bisogna attendere l’arrivo di Trump per arrivare, dalla seconda metà di gennaio 2025, all’attuazione della prima fase dell’accordo sottoscritto otto mesi prima da Israele e che termina ai primi di marzo con la liberazione di oltre 30 ostaggi. Il passaggio successivo resta inattuato da un Netanyahu sempre più ostaggio dei suoi alleati di estrema destra.

Con una tenacia incredibile, i movimenti non demordono, e le manifestazioni - che non si erano comunque mai interrotte - ricominciano in varie forme, anche molto dure.

Da qualche tempo il tema dei civili morti a Gaza e dello stop alla guerra è sempre più presente, e distinto da quello del cessate il fuoco legato alla liberazione degli ostaggi.

Se prima la richiesta della fine della strage di civili era presente solo per iniziativa di singoli o piccoli gruppi, ora non si esita più: il 19 aprile un gruppo di manifestanti di Standing Together espone alcune foto di bambini di Gaza morti sotto le bombe israeliane, in una manifestazione a loro dedicata.

Quelle immagini arrivano da una iniziativa personale di un attivista israeliano, Adi Ronen Argov che ha creato un database online con immagini e dati sui civili morti a Gaza. Si chiama The daily file e sotto il nome ha uno slogan che recita: “Così non diremo che non lo sapevamo”. La polizia di Ben Gvir diffida i movimenti dal fare uso di immagini dal forte impatto visivo che arrivano da Gaza, ma fa marcia indietro nel biasimo generale.

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Qualche giorno fa è stato il 600° giorno dal 7 ottobre e si sono tenute manifestazioni molto sentite e partecipate in tutto il paese. Ma le famiglie degli ostaggi sono stremate da un anno e sette mesi di attesa.

E come se ciò non bastasse, a corredo di una situazione già pesante, si susseguono annunci e smentite di accordi. Mercoledì 27, Netanyahu ha annunciato con crudele superficialità: "Se non ci riusciremo oggi, ci riusciremo domani, e se non domani, dopodomani" per poi correggersi dicendo che era in senso figurato.

In queste ore, l’ennesima proposta mediata dagli USA è in discussione. Tutto il paese spera in una felice conclusione, ma nessuno ci crede intimamente. Quando questa trattativa e la guerra si concluderanno, la società civile israeliana non abbandonerà le piazze: ormai non esiste più un solo Israele.

Il Tzionut Ezrahit esprime una visione di società e di ideali radicalmente opposta a quella idea nazionalista, religiosa e identitaria del paese che questa destra vuole affermare - con metodi che sempre di più appaiono dittatoriali. Una deriva, quest'ultima, che non sarà mai accettata dalla società civile israeliana che ne teme le conseguenze più gravi.

(Immagine anteprima via WikiMedia Commons)

1 Commenti
  1. Xavier Vigorelli

    Buongiorno e grazie per l'articolo ricco di informazioni preziose che testimoniano la presenza di semi di umanità. Mi chiedevo se esistano associazioni di ebrei all'estero che facciano opposizione al governo di Netanyahu. Grazie

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