Post cambiamento climatico

Nucleare “sostenibile”: il piano del governo e i limiti delle nuove tecnologie

29 Giugno 2025 7 min lettura

Nucleare “sostenibile”: il piano del governo e i limiti delle nuove tecnologie

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6 min lettura

Lo scorso 28 febbraio, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a un disegno di legge delega sul “nucleare sostenibile” per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Con questo disegno di legge, che deve essere approvato da Camera e Senato, il governo intende introdurre l'energia nucleare nel mix energetico nazionale. Più nello specifico, secondo quanto riportato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, l’obiettivo della legge è quello di “disciplinare la produzione di energia nucleare attraverso nuovi moduli” e “riorganizzare competenze e funzioni” con l’istituzione di un’autorità indipendente “per sicurezza, vigilanza e controllo”. La delega prevede che il governo adotti una serie di decreti legislativi “entro 12 mesi dall’entrata in vigore”, per disciplinare “in maniera organica l’intero ciclo di vita della nuova energia sostenibile” e attraverso “la stesura di un Programma nazionale”. 

In un primo momento, pur in assenza di un piano definito, il ministro aveva escluso l’ipotesi di ricorrere agli impianti EPR di terza generazione – attualmente la tecnologia più avanzata sul mercato – dichiarando che l’Italia avrebbe puntato esclusivamente sui reattori modulari di piccola taglia, i cosiddetti SMR (Small Modular Reactor). Tuttavia, nel disegno di legge pubblicato a gennaio 2024, si fa riferimento sia agli impianti di terza generazione che ad “altre tecnologie innovative”, segnando un ampliamento dell’orizzonte tecnologico rispetto alle dichiarazioni iniziali. Detto questo, l’attenzione delle istituzioni è rivolta in particolare agli SMR: pur producendo meno energia (con una capacità massima di 300 MW contro gli oltre 1.000 MW delle attuali centrali EPR) questi reattori – che si ispirano ai piccoli reattori di propulsione di navi e sottomarini bellici – hanno il vantaggio di poter essere assemblati direttamente negli stabilimenti dei costruttori, con un elevato grado di standardizzazione che ne ridurrebbero i costi di installazione. Questo differenzierebbe gli SMR dai costosi e lunghi progetti di costruzione degli impianti EPR, come quelli di Olkiluoto in Finlandia e Flamanville in Francia, che hanno visto notevoli ritardi e aumenti di costi. Ad esempio, la costruzione di Olkiluoto, iniziata nel 2005, ha avuto un ritardo di 14 anni e un incremento dei costi da 3 miliardi a circa 11 miliardi di euro. Con dodici anni di ritardo e costi lievitati da 3,4 a oltre 13 miliardi di euro, il reattore EPR di Flamanville, nonostante l’allacciamento ufficiale alla rete elettrica avvenuto nel dicembre 2024, è ancora in fase di test e, secondo EDF, non entrerà in funzione a pieno regime prima dell’estate 2025.

Ma pur esistendo due reattori SMR operativi – HTR-PM in Cina e l’Akademik Lomonosov in Russia, su una piattaforma galleggiante al largo delle coste siberiane – e nonostante la Nuclear Energy Agency dell’OCSE stimasse nel 2022 la costruzione di 50 impianti, gli Small Modular Reactor non sono ancora disponibili sul mercato: si tratta di tecnologie che restano, di fatto, in una fase di ricerca e sperimentazione. Ed è proprio qui, secondo diversi esperti, che si concentra la principale criticità: Nicola Armaroli, dirigente di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), sottolinea a Valigia Blu la differenza tra realizzare un singolo reattore e costruire un’intera filiera capace di produrli in serie. A oggi, osserva Armaroli, manca un vero business plan, e il valore di mercato degli SMR resta incerto. Il governo si è detto aperto a investimenti privati, ma per il ricercatore questa scelta rischia di affossare il progetto prima ancora che prenda forma: senza un forte sostegno pubblico – “come avviene in altri paesi”, aggiunge Armaroli – rilanciare il nucleare sarebbe irrealistico. “Nessun investitore privato, infatti, si assumerebbe il rischio di versare miliardi in un’infrastruttura i cui effetti si vedrebbero, forse, tra 15 o 20 anni”. 

Anche sul piano internazionale, i progetti legati agli SMR stanno incontrando ostacoli e ripensamenti. Nel 2024, EDF – il maggiore produttore europeo di elettricità, con circa il 74% della sua produzione proveniente da impianti nucleari – ha annunciato una profonda revisione del progetto Nuward, il suo reattore modulare. Dopo quattro anni di sviluppo, l’azienda ha avviato la progettazione di una nuova versione (V2), tuttora in fase di definizione: la decisione è arrivata a seguito di una revisione interna: mancano certezze sui tempi di realizzazione e sui costi complessivi. Invece NuScale, azienda statunitense che per prima aveva ottenuto l’autorizzazione a commercializzare un reattore SMR da 77 megawatt, ha di fatto abbandonato il progetto.

Insomma, al momento questo tipo di reattori su cui l’Italia ha dichiarato di voler investire non rappresenta un’opzione praticabile per raggiungere gli obiettivi energetici e climatici al 2030. Nel suo report Net Zero by 2050, l’IEA (International Energy Agency) non considera gli SMR come una soluzione significativa nel lungo termine, a differenza delle tecnologie rinnovabili, che sono identificate come fondamentali per la transizione energetica. Oltre a questo, c’è il nodo delle scorie, che non solo con gli SMR rimarrebbe irrisolto ma potrebbe addirittura crescere. Secondo la ricerca “Nuclear waste from small modular reactors” pubblicata nel 2021 sulla rivista scientifica PNAS, gli SMR potrebbero addirittura aumentare la produzione di scorie di 30 volte rispetto alle centrali EPR, in relazione all’energia prodotta. 

Quello delle scorie è un tema che, secondo diversi analisti del settore, andrebbe valutato con attenzione prima di avviare una nuova fase di sviluppo del nucleare, anche alla luce del fatto che l’Italia non ha ancora completato il decommissioning dei vecchi impianti, dismessi a partire dal 1986, anno in cui il referendum sancì l’abbandono dell’energia nucleare nel nostro paese. Gli attuali tempi di smantellamento delle vecchie centrali si sono allungati fino al 2052, con un ritardo di 11 anni rispetto ai piani precedenti e un incremento dei costi di quasi 4 miliardi di euro, come ammesso sul Sole 24 Ore da Gian Luca Artizzu, amministratore delegato di Sogin, la società pubblica incaricata, tra le altre cose, di individuare anche il deposito nazionale per le scorie prodotte. Proprio l’individuazione del deposito, prevista inizialmente per il 2029, è slittata a dopo il 2039, complicando ulteriormente il quadro economico: come riportato sempre nell’articolo del Sole 24 Ore, l’Italia ha già speso circa 5 miliardi per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, ma secondo le nuove stime di Sogin il costo complessivo salirà a 11,38 miliardi, rispetto ai 7,8 previsti nel piano precedente. L’incremento di 3,6 miliardi corrisponde a circa un sesto dell’intera legge di bilancio 2025, ma la cifra potrebbe aumentare ancora, tenuto conto dell’inflazione e del rincaro dei materiali.

Sarà forse per questa ragione che l’impegno del governo sul fronte del “nucleare sostenibile” non si limita agli SMR. Il ministro Pichetto Fratin ha annunciato di recente un investimento di 200 milioni di euro di fondi pubblici nella startup Newcleo, impegnata nello sviluppo degli AMR (Advanced Modular Reactor): reattori modulari di quarta generazione, ancora più compatti degli SMR e progettati per utilizzare le scorie delle centrali convenzionali come combustibile, secondo una logica di ciclo chiuso del nucleare. Gli AMR si basano su tecnologie avanzate, tra cui sistemi di raffreddamento a piombo liquido.

Va detto che gli AMR non sono una novità in campo nucleare: la Russia lavora da decenni su questa tecnologia, senza essere però riuscita finora a immettere un reattore sul mercato. E anche qualora la ricerca riuscisse a svilupparne uno commercializzabile nei prossimi anni, come sottolineato da Nicola Armaroli, resterebbe aperta una questione cruciale: da dove ricavare le scorie da utilizzare come combustibile? Come fa notare il ricercatore del CNR, le scorie nucleari contengono plutonio, un elemento altamente radioattivo che, se disperso nell’ambiente, può causare danni irreversibili agli ecosistemi e costituire una grave minaccia per la salute pubblica. Questo significa che costruire una filiera dedicata al plutonio sarebbe estremamente complesso, non solo per i costi elevati, ma anche per i rischi legati alla pericolosità del materiale e al suo potenziale utilizzo in ambito militare.

Inoltre, Newcleo ha già spiegato pubblicamente, in particolare durante un convegno organizzato dalla Società Chimica Italiana a Torino nel 2023 dal titolo “Clima ed energia: quali scelte per il futuro?”, che la tecnologia AMR non è destinata all’Italia, poiché il nostro paese non dispone di centrali convenzionali da cui estrarre le scorie e l'importazione dall’estero di queste sarebbe un'operazione estremamente complessa. La filiera, dicono da Newcleo, si concentrerebbe in particolare in Francia e Gran Bretagna, paesi in cui la startup ha già aperto filiali, prima a Londra e ora a Parigi. 

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Il fatto che l’Italia non sia il paese di destinazione dei reattori AMR stride con la scelta dell’attuale Ministro dell’Ambiente di investire soldi pubblici in tale realtà. A ciò si aggiunge che, recentemente, anche il governo britannico ha annunciato di non voler sviluppare reattori AMR a piombo fuso sul proprio territorio, di fatto sbarrando la strada alla ricerca della Newcleo e al tentativo di creare reattori in grado di utilizzare le scorie come combustibile. Il motivo è riassunto da Adrian Bull del Dalton Nuclear Institute dell'Università di Manchester, che ha commentato favorevolmente la scelta della Gran Bretagna sulla rivista New Civil Engineer: «Il mio percorso professionale è nel settore nucleare, quindi il mio desiderio sarebbe sempre quello di vedere le scorie nucleari riutilizzate come nuovo combustibile e reinserite nel sistema per alimentare le centrali elettriche a basse emissioni della prossima generazione. Ma la ragione mi dice che dobbiamo essere pragmatici e assicurarci di non investire ingenti risorse pubbliche, già scarse, nella costruzione di impianti per un processo che, di fatto, non rientra nella filiera produttiva di nessuno». Per Bull, è meglio riporre il plutonio al sicuro in depositi geologici.

Mentre a Londra si opta per la via del realismo, a Roma si continua a inseguire scenari ancora lontani. Ma costruire un’intera filiera su tecnologie non ancora mature e senza una reale applicazione nel contesto nazionale equivale, in fondo, a produrre – per usare ancora le parole di Bull – “cibo per unicorni”, ovvero qualcosa che costa molto ma che nessuno potrà davvero utilizzare.

Immagine in anteprima via mase.gov.it

2 Commenti
  1. Filippo

    La disonestà di Armaroli riesce sempre a stupire, già il fatto di fingere di fare l’esperto di nucleare quando è un chimico senza pubblicazioni sul nucleare. Se i dati che porta non sono falsi o sono cherry picked o nascondo volutamente altre informazioni per bis personale. Riguardo ai privati che non investirebbero tralascia completamente gli investimenti di privati big tech come Google e Meta. Nuscale non ha “abbandonato il progetto” di commercializzare un SMR, questa è semplicemente una bufala dal ricercatore. Ha abbandonato UN progetto in Utah per la mole burocratica, ma il progetto del SMR continua e ha appena ricevuto approvazione dal NRC. Dice che la Russia lavora da anni agli AMR, ma nel chiedersi “dove prendere le scorie da utilizzare come combustibile” non si è evidentemente mai letto il piano di Rosatom per creare un impianto a ciclo chiuso con reattore convenzionale da cui ricavare le scorie per un AMR. E per finire la sua bufala preferita ai livelli dei terrapiattisti che riporta ad ogni occasione: il plutonio. Filiere dedicate al riprocessamento esistono già e non causano problemi ambientali, ma soprattuto il plutonio ricavato da reattori civili ad acqua non ha alcun “potenziale uso in ambito militare”, non è ad un grado abbastanza puro per usarlo in ordigni. Davvero imbarazzante un ricercatore che nasconde informazioni, riporta fatti falsi e fa disinformazione tutto mentre si nasconde dietro alla carica di ricercatore del CNR.

  2. Roberto Simone

    Che paese meraviglioso il nostro! Dal referendum dell'87 che pose fine al nucleare civile in Italia sono passati quasi quarant'anni. Nel 2000, quando ci fu l'alluvione in Piemonte, le scorie stoccate a Saluggia rischiarono di finire sott'acqua. Allora si giurò e spergiurò che appena passato il pericolo sarebbero state spostate. Per quanto ne so sono ancora lì (ma sembra siano stati fatti dei lavori per aumentarne la sicurezza). Più o meno dal 2000 è cominciata la fase operativa di smantellamento delle 4 centrali nucleari italiane. Il solo piano 2020-2025 prevedeva una spesa di 900 milioni. Sul sito della Sogin, che se ne occupa, si può leggere: "Il decommissioning rappresenta una sfida ingegneristica perché gli impianti nucleari italiani, tutti diversi fra loro, *erano stati progettati senza tener conto della necessità di smantellarli alla fine del loro ciclo di vita*". Che mette ben in luce un atavico vizio nazionale: quello di fottersene del futuro. E mentre del sito nazionale di stoccaggio pian pianino si perdevano le tracce, nel 2011 un altro referendum poneva fine al tentativo del governo Berlusconi di riportare il nucleare in Italia. Ora si riparte ma ovviamente senza aver dato risposta ai problemi ancora esistenti - il sito nazionale è ancora lettera morta - cianciando di nucleare di n-sima generazione, senza evidentemente aver contezza di quello che si dice. L'impressione è di un pressapochismo disarmante. Personalmente non sono pregiudizialmente contrario, ma non ci si può lamentare se l'opinione pubblica sale sulle barricate quando si affronta una questione così impattante per il futuro del paese come se si discutesse di una partita di calcio al bar. E mi sento di scommettere che se il governo ci dovesse provare davvero un altro referendum lo fermerà.

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