Post Migranti

Sui migranti il governo continua a far finta di non capire come funziona il diritto europeo ed è grave

26 Ottobre 2024 6 min lettura

author:

Sui migranti il governo continua a far finta di non capire come funziona il diritto europeo ed è grave

Iscriviti alla nostra Newsletter

6 min lettura

Il 21 ottobre il Consiglio dei ministri ha approvato un decreto-legge (decreto “paesi sicuri”) che introduce disposizioni urgenti sulle procedure per il riconoscimento della protezione internazionale, dopo le polemiche che sono seguite alla decisione del Tribunale di Roma (decreto n. 42256) di non convalidare il trasferimento di dodici migranti nei centri di trattenimento in Albania, da dove poi sarebbero stati successivamente rimpatriati.

Il diniego è stato motivato perché alcuni paesi di destinazione dei migranti, in particolare Bangladesh ed Egitto, non sono considerabili come “paesi sicuri” alla luce della legislazione europea. Di conseguenza, i migranti non potevano essere sottoposti alla procedura accelerata di frontiera e non avevano dunque titolo per rimanere in Albania. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha infatti recentemente chiarito (ai sensi della direttiva 2013/32/UE che regola le procedure per il riconoscimento della protezione internazionale) che un paese non può essere considerato integralmente “sicuro” se, in tutto o in parte del suo territorio, avvengono persecuzioni, trattamenti inumani o degradanti, oppure minacce dovute a violenza indiscriminata (paragrafi 81-83 della sentenza). Condizioni che, a stretto rigore e come può anche facilmente evincersi dalle schede allegate al precedente decreto interministeriale che definisce i paesi sicuri (qui e qui), escluderebbero Bangladesh e Egitto, per l’appunto.

Benché i giudici si siano limitati ad applicare la normativa vigente, il provvedimento del Tribunale di Roma, come anticipato, è stato percepito come un’indebita ingerenza nella discrezionalità politica dell’azione di governo. Così il governo ha adottato il menzionato decreto-legge con lo scopo di trasformare l’elenco dei paesi sicuri (che passano da 22 a 19 con la nuova normativa) da norma secondaria (un decreto interministeriale) a norma primaria (decreto-legge, che è per l’appunto atto avente forza di legge). Secondo il governo, ciò impedirà che la magistratura “esondi” nuovamente e che accadano casi simili a quello del Tribunale di Roma. Con le nuove indicazioni, i giudici dovranno attenersi esclusivamente a quanto disposto dall’esecutivo, senza poter disapplicare il decreto-legge in questione, anche se in contrasto con la normativa europea. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha precisato che in caso di dubbi di legittimità, i giudici potranno sollevare esclusivamente un rinvio di legittimità costituzionale alla Consulta, ma non potranno disapplicare il provvedimento legislativo.

Che sia frutto di una semplice ingenuità, oppure di una raffinata strategia, quello che gli esponenti di governo vanno affermando non corrisponde al vero. L’adozione di un decreto-legge, e la conseguente conversione dell’elenco dei paesi sicuri in norma primaria, non risolve i potenziali contrasti con la normativa europea e non cambia le conseguenze normative che ne scaturirebbero. Se la normativa europea – qualsiasi essa sia, trattati, regolamenti, direttive, decisioni – ha quelli che si chiamano in gergo tecnico “effetti diretti”, ossia un contenuto dispositivo chiaro, preciso e incondizionato, allora essa prevale su quella nazionale difforme, primaria o secondaria che sia, che invece va disapplicata. Questo è un corollario del principio del primato del diritto dell’Unione (affermato più volte dalla Corte di Giustizia dell’Unione, già a partire dal 1964, e confermato dalla nostra Corte costituzionale, già dal 1984), che è alla base del processo di integrazione europea. Se ciascun paese dell’Unione infatti avanzasse la pretesa contraria di far prevalere il proprio diritto nazionale, allora non ci sarebbe alcuna integrazione possibile. Affermare che i giudici non possano disapplicare la normativa nazionale equivale, in buona sostanza, a mettere in discussione questo primato, e a mettere in discussione la partecipazione dell’Italia al progetto di integrazione europea. Non è un caso, del resto, che questa sembra essere la posizione politica più volte avanzata, esplicitamente o implicitamente, da alcuni esponenti dei partiti che compongono l’attuale maggioranza di governo.

È chiaro dunque che, se si dovesse ripresentare una situazione simile a quella dei migranti trattenuti illegalmente in Albania, l’epilogo non potrebbe che essere lo stesso. Come già fatto notare dalla Giunta e dalla Commissione Centri di Permanenza per i Rimpatri dell’Unione Camere penali, l’adozione del decreto-legge da parte del governo non risolve le criticità che sono emerse con riguardo ad alcuni paesi che continuano a figurare nell’elenco: Tunisia, dove le relazioni omosessuali non sono consentite, Bangladesh, dove avvengono persecuzioni nei confronti delle minoranze etniche e religiose, ed Egitto, in cui a essere perseguitati sono gli oppositori politici. Qualora un migrante fosse trattenuto per essere trasferito in uno di questi paesi, dunque, non potrebbe essere sottoposto a procedura di frontiera e continuerebbe a difettare di un valido titolo di permanenza nelle strutture, con la conseguenza che dovrebbe essere nuovamente trasferito in Italia per lo svolgimento delle procedure ordinarie.

L’adozione del decreto-legge porterebbe dunque a un nulla di fatto. Nemmeno l'esito cambierebbe, seguendo quella parte della politica che sostiene che i giudici non sarebbero realmente vincolati a conformarsi all'interpretazione della Corte di Giustizia dell'Unione, in quanto le sue sentenze non costituirebbero atti normativi. Anche questa affermazione, in realtà, non corrisponde al vero. Infatti, nelle specifiche procedure di rinvio pregiudiziale di interpretazione, come quella seguita in questo caso, la Corte di Giustizia fornisce l’interpretazione autentica della normativa dell’Unione, ed è dunque quest’ultima a spiegare effetti normativi, seppure nel senso precisato dalla sentenza della Corte.

Dunque il governo continua a dimostrare di non comprendere – o a far finta di non comprendere – il funzionamento del diritto sovranazionale. Altrimenti, il decreto-legge così come formulato non avrebbe visto la luce, a meno di non volerlo considerare come una prova di forza politica nei confronti della magistratura. Stessa prova di forza che sembra alla base della decisione, da parte del Ministero dell’Interno, di conferire mandato all’Avvocatura dello Stato per ricorrere in Cassazione contro il provvedimento del Tribunale di Roma. Una strategia simile era stata tentata dal governo britannico dopo il fallimento del piano rimpatri in Ruanda. Rishi Sunak aveva presentato ricorso alla Corte Suprema del Regno Unito, che però, senza sorpresa tra gli esperti del settore, ha poi confermato le pronunce dei giudici di grado inferiore, stabilendo che il Ruanda non potesse essere considerato un paese sicuro ai sensi del diritto internazionale. Quasi certamente, anche il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale di Roma troverà la stessa conclusione. Le spese processuali che il governo sosterrà si aggiungono ai costi totali dell’operazione Albania, stimati in quasi 680 milioni di euro in cinque anni, apparentemente eccessivi a fronte di un impatto minimo sul contenimento dell’immigrazione irregolare. 

Sorge quindi il dubbio che tutte queste vicende siano in realtà strumentalizzate con l’obiettivo di creare contrasti istituzionali e costruire un consenso elettorale attorno a una narrazione vittimistica del governo, dipinto come accerchiato e minacciato da una magistratura politicizzata e da un’Europa che impone regole sgradite.

Iscriviti alla nostra Newsletter


Come revocare il consenso: Puoi revocare il consenso all’invio della newsletter in ogni momento, utilizzando l’apposito link di cancellazione nella email o scrivendo a info@valigiablu.it. Per maggiori informazioni leggi l’informativa privacy su www.valigiablu.it.

E non sarebbe del resto questo un caso isolato di questa tendenza. Di recente, in un’altra operazione di screditamento, questa volta non nei confronti della magistratura ma nei confronti delle istituzioni internazionali, il governo ha accusato la Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI) del Consiglio d’Europa, colpevole di aver oltraggiato e ingiuriato l’operato delle forze dell’ordine italiane. La Commissione aveva in realtà solamente evidenziato, in qualità di organo terzo ed in indipendente che svolge un monitoraggio periodico della situazione dei diritti umani in merito a razzismo e intolleranza, la possibile esistenza di pratiche di profilazione razziale nelle attività della polizia, e più generalmente un crescente clima di ostilità nella narrazione politica attorno ai temi dell’immigrazione.

Si tratterebbe, dunque, di una strategia politica più ampia e preoccupante volta a svalutare il ruolo delle istituzioni internazionali e sovranazionali, percepite non come organi di garanzia, ma come minacce, seguendo il modello di alcuni Stati autarchici dell’Europa orientale. Ci sarebbe, in altre parole, una tendenza marcata a isolare il governo entro una cornice in cui l’unica fonte di legittimità è la volontà della maggioranza. Dietro l’apparente disinteresse per il rispetto del diritto europeo in tema di immigrazione, si nasconderebbe, quindi, un tentativo più ambizioso di alimentare una concezione demagogica e distorta della democrazia, in cui il mandato popolare va esercitato persino oltre i limiti costituzionali. Una strategia politica condotta sulla pelle di persone vulnerabili e che, inevitabilmente, contribuisce alla regressione democratica del paese.

Immagine in anteprima: frame video Vista Agenzia Televisiva Nazionale via YouTube

Segnala un errore

Array