Laila Soueif in sciopero della fame da oltre 250 giorni: la sfida della madre dell’attivista Alaa Abd el-Fattah, in carcere da più di 10 anni, al regime egiziano e contro l’indifferenza del Regno Unito
7 min letturaLaila Soueif ha sessantanove anni e giace su un letto d’ospedale al St.Thomas di Londra. Il suo corpo, ormai un fuscello rattrappito, si sta spegnendo lentamente. Da otto mesi è in sciopero della fame e ora, secondo i medici, il rischio di collasso e morte improvvisa è imminente.
Soueif pesa quarantanove chili e da settembre 2024 ha perso circa il 42% della sua corporatura. É una brillante matematica egiziano-britannica, un’attivista molto pragmatica, e ha calcolato che il suo corpo, o quel che ne rimane, può essere uno strumento per salvare suo figlio: Alaa Abd el-Fattah, un attivista egiziano-britannico che è prigioniero politico in Egitto da più di 10 anni e che è anche simbolo della rivoluzione di piazza Tahrir.
“É in sciopero della fame da più di duecentocinquanta giorni” - racconta a Valigia Blu dal reparto ospedaliero del St.Thomas Ahdaf Soueif, rinomata scrittrice egiziano-britannica, sorella di Laila e zia di Alaa Abdel Fattah - “la salute di Laila è gravemente compromessa: ha livelli di zucchero nel sangue pericolosamente bassi”.
Nella stanza dell’ospedale si danno il cambio con Ahdaf anche le altre due figlie di Laila Soueif, Mona e Sanaa. Entrambe gestiscono i rapporti con la stampa e volano al Cairo non appena le autorità concedono una breve visita in carcere al fratello Alaa Abd el-Fattah che, nel frattempo, da novanta giorni ha cominciato anche lui uno sciopero della fame in supporto all’ azione di sua madre.
“Mia sorella Laila ha messo la sua vita in gioco come ultimo tentativo per attirare l’attenzione sulla situazione di Alaa, per fare pressioni sul governo britannico e sul governo egiziano, e farlo uscire di prigione”. Ahdaf si fa portavoce della sorella che la momento non ha più le forze per parlare a lungo, anche se - dice Ahdaf - “con quei valori Laila dovrebbe essere incosciente, invece è ancora straordinariamente lucida e rimane irremovibile nel continuare il suo sciopero della fame”.
La vita di Laila Soueif è sempre stata attraversata dalla politica, ricorda la sorella. Già negli anni '70 partecipava alle proteste studentesche contro l’occupazione israeliana del Sinai, e a soli sedici anni fuggiva da scuola per unirsi alle manifestazioni che si radunavano già allora in piazza Tahrir.
Cresciuta in un ambiente intellettuale e ribelle, aveva studiato matematica alla Cairo University, dove aveva incontrato Ahmed Seif al Islam, compagno comunista che di lì a qualche anno sarebbe diventato uno dei più noti avvocati contro la tortura e per i diritti umani in Egitto.
Soueif, ribadisce la sorella Ahdaf, sa esattamente quello che sta facendo, e sa anche che se suo figlio non verrà rilasciato lei morirà nel Regno Unito lasciando un grande peso da gestire ai governi di Keir Starmer a Londra e di Abdel Fattah al Sisi al Cairo.
Il 29 settembre 2024 le autorità egiziane avrebbero dovuto rilasciare Alaa Abdel Fattah dopo una pena di cinque anni di carcere per aver “diffuso false notizie”, accusa che il governo egiziano spesso utilizza strumentalmente contro i dissidenti. Nel suo caso il capo d’imputazione faceva riferimento a un post su facebook del 22 agosto 2019 in cui Alaa aveva scritto sei parole: “Secondo omicidio nelle celle di punizione”. Si trattava di una denuncia implicita alle torture di Stato e al sistema carcerario egiziano, con riferimento alla morte pochi giorni prima di un suo ex-compagno di cella, Hossam Hamed, all’interno della prigione di massima sicurezza Tora II.
Quel post Alaa lo aveva scritto una mattina dal suo “Chiosco della Solitudine”, come lo chiama nel suo libro Non siete stati ancora sconfitti: un cabinotto di legno in cui doveva rinchiudersi ogni giorno dalle diciotto alle sei del mattino, obbligato a dormire lì sorvegliato nel cortile della stazione di polizia locale di Dokki al Cairo. In quel momento era in libertà vigilata da cinque mesi, dopo aver già scontato una condanna di cinque anni proprio nel carcere di Tora II. La prima pena di quindici anni, ridotta poi a cinque, era per aver organizzato una manifestazione fuori dal parlamento egiziano nel 2013 in opposizione alla legge anti-proteste che il governo aveva promulgato a novembre di quello stesso anno.
Il 30 settembre 2024, dopo dieci anni di carcere, Alaa sarebbe dovuto essere a casa ad abbracciare suo figlio Khaled, di otto anni, la madre Laila e le sorelle Mona e Sanaa. Così però non è stato, motivo per cui Laila Soueif quel giorno - senza temere la repressione delle autorità egiziane - ha detto apertamente: “Da oggi in poi considero Alaa rapito”. E ha deciso di iniziare lo sciopero della fame.
“La storia di Laila adesso è diventata una questione nazionale qui nel Regno Unito” dice Ahdaf Soueif. Dopo ripetuti sit-in di Laila al n.10 di Downing Street e a mesi dal suo sciopero della fame, il Parlamento britannico ha sollevato il caso chiedendo che Alaa Abdel Fattah avesse intanto diritto a una visita consolare da parte di rappresentanti del Regno Unito, dato che nel 2021 Alaa ha acquisito la cittadinanza britannica della madre. Anche il Primo Ministro Keir Starmer è intervenuto facendo una telefonata al presidente Al Sisi, dopodiché Jonathan Powell - il consigliere per la sicurezza nazionale del Regno Unito, conosciuto per aver negoziato l’Accordo del Venerdì Santo in Irlanda del Nord - ha assunto un ruolo di primo piano nei negoziati e ci sono stati incontri tra ufficiali britannici ed egiziani a marzo e aprile.
Ma quei progressi si sono arrestati. Così Laila Soueif - che nel momento dei progressi aveva accettato di aumentare l’apporto calorico a 300 calorie al giorno con un integratore nutrizionale per riuscire a sopravvivere fino alla fine dei negoziati - ha deciso di ridurre nuovo le calorie.
La visita consolare ancora non è stata concessa e dal governo egiziano ancora non si sa nulla, riporta Ahdaf Soueif: “e adesso siamo tutti molto preoccupati, perché lei è stremata”.
Il governo egiziano sostiene che i due anni di detenzione preventiva - in cui Alaa era in carcere senza processo - non siano da contare nei cinque anni di pena e dunque potrà tornare in libertà solo nel 2027. Una decisione che, secondo un report del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria (WGAD), viola l’articolo 482 del Codice Penale egiziano - il quale prevede che il tempo trascorso in detenzione preventiva debba essere scalato dalla pena complessiva - nonché numerose disposizioni del diritto internazionale. Motivo per cui l’ONU ha chiesto al governo egiziano l’immediato rilascio di Alaa Abdel Fattah.
Il report di WGAD riporta anche che:
“Le voci critiche non sono voci criminali, eppure, nell’Egitto di oggi, esprimere opinioni o pubblicare commenti sui social media percepiti come critici nei confronti del governo significa rischiare l’arresto, la detenzione arbitraria, e persino la tortura o la sparizione forzata”.
Ad oggi sono più di sessantamila i prigionieri politici rinchiusi nelle carceri egiziane, in un sistema detentivo disumano che è strutturato sull’utilizzo della tortura, come riportano ong egiziane e internazionali, basandosi su visite in carcere e su numerose testimonianze di ex-prigionieri politici.
“Quando ti arrestano ti bendano e non ti chiedono nemmeno come ti chiami, cominciano subito a torturarti”, racconta l’ex detenuto politico egiziano-palestinese Ramy Shaat, oggi rifugiato politico in Francia grazie a una campagna di liberazione portata avanti in Francia dalla moglie Céline Lebrun Shaat.
“Dormivamo per terra, su una piccola coperta, in un luogo fatiscente, con sabbia e pietre che cadevano addosso continuamente. L’ambiente era infestato da ogni tipo di insetto e parassita immaginabile”, racconta Ramy Shaat. Il "bagno", se così si può chiamare, era uno spazio di un metro per 75 cm, con un buco e una doccia fredda sopra: lì Ramy e i suoi compagni di cella dovevano lavare i vestiti e preparare il cibo per tutti.
“Le condizioni erano disumane, prive di ogni dignità e diritto. Assistevamo ad abusi continui: persone picchiate, spogliate con la forza”, ricorda Shaat. Anche per infrazioni minime si finiva in isolamento: celle di un metro per un metro, senza finestre, senza luce, e senza possibilità di uscire.
Proprio in una cella di isolamento simile Alaa Abd el-Fattah ha passato mesi interi senza poter parlare con nessuno e senza il diritto a visite, né ad avere con sé un giornale o un libro da leggere. Una condizione che è migliorata solo dopo un suo lungo sciopero della fame e della sete in carcere, coadiuvato dagli interventi della sorella Sanaa Seif alla Cop27 a Sharm el Sheikh. Durante la Conferenza nel novembre 2022, Sanaa era riuscita a portare il caso del fratello Alaa alla ribalta di gran parte dei movimenti presenti alla Conferenza sul clima e dei media internazionali, facendo grandi pressioni sul governo egiziano per la liberazione dei detenuti politici.
Questo però non è bastato per garantire il rilascio di Alaa e altri prigionieri politici, anzi. Le autorità egiziane non solo hanno intensificato il ricorso alla detenzione preventiva come strumento per affrontare il dissenso politico, la libertà di espressione e molte altre forme di attività civile, ma nel frattempo, la popolazione carceraria è aumentata in modo significativo, come confermato dai nuovi progetti per la costruzione di grandi complessi carcerari, inclusi discutibili “centri di rieducazione” come Wadi al Natrun.
“La realtà che stiamo vivendo oggi in Egitto è brutale”, dice a Valigia Blu Lina Attalah, cofondatrice e direttrice di Mada Masr, giornale indipendente egiziano. “Ma noi - società civile, giornalisti, attivisti, cittadini - stiamo continuando a invocare ciò che resta della giustizia in questo paese, perché si acceleri la liberazione di Alaa e si metta fine alla fame straziante che sta consumando il corpo di sua madre, lasciandole ormai pochissimi giorni di vita”.
La storia dell’intera famiglia di Alaa Abd el-Fattah è un racconto in cui le vicende di ogni normale famiglia - le nascite, i matrimoni e le morti - si intrecciano a processi e persecuzioni politiche, motivo per cui sono diventati un simbolo della dissidenza in Egitto.
Sabato scorso in Egitto circa centotrenta ex prigionieri politici hanno firmato un appello chiedendo il rilascio immediato di Alaa. Anche i politici dell’opposizione si sono rivolti al governo egiziano per fare pressioni, e movimenti studenteschi si sono appellati ai loro rettori per chiedere di salvare Laila e di liberare suo figlio.
“C’è chi si prepara alla possibilità della perdita della dottoressa Soueif, una figura fondamentale per molti di noi: come difensora dei diritti umani, come docente e come punto di riferimento per generazioni di movimenti studenteschi in Egitto per tutti questi anni”, racconta con angoscia Attalah.
“Ma la maggior parte di noi continua ad aggrapparsi alla speranza che Laila sopravviva, che i prigionieri politici vengano liberati, e che un giorno potremo vedere l’abolizione del carcere politico come l’orizzonte ultimo di una reale emancipazione”.
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