Israeliani in piazza: obiettori, manifestanti e riservisti sfidano Netanyahu
5 min letturaRabbia e preoccupazione hanno spinto centinaia di israeliani a scendere in strada lo scorso fine settimana a Tel Aviv per chiedere la restituzione degli ostaggi e protestare contro l'uccisione di bambini a Gaza. I manifestanti agitavano cartelli con le immagini degli ostaggi ancora in mano ad Hamas (57 di cui 34 si presume siano morti) e dei bambini palestinesi uccisi negli attacchi che stanno massacrando la Striscia di Gaza. Sabato scorso una coppia di medici ha visto nove dei loro dieci figli uccisi durante un bombardamento, mentre un altro giornalista, Hassan Majdi Abu Warda, è stato ucciso a Jabalia e il Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) ha comunicato che due suoi membri sono morti in un attacco contro un’abitazione a Khan Younis.
Il conflitto ha finora causato la morte di oltre 53.900 palestinesi, secondo le autorità sanitarie di Gaza. Da quando Israele ha interrotto la tregua, il 18 marzo, oltre 3500 persone sono state uccise dalle forze israeliane, e di queste – stando alle stime più ottimistiche dell’IDF – poche centina sarebbero membri di Hamas. Non solo, dunque, il numero delle vittime quotidiane è aumentato, anche rispetto all'inizio dell'operazione di terra iniziata nel 2023, ma è aumentato anche il rapporto ipotizzato tra civili e appartenenti ad Hamas uccisi.
E tutto questo si traduce in risentimento nei confronti del governo guidato da Netanyahu. Le manifestazioni di protesta si stanno svolgendo ogni fine settimana e stanno diventando sempre più partecipate. “Per la formazione di un ampio movimento contro la guerra in Israele è ormai solo questione di tempo”, scrive il giornalista Amos Harel su Haaretz.
“Alcuni protestano perché la considerano una guerra politica, alcuni sono stanchi di combattere, altri vogliono che gli ostaggi siano liberati da Gaza e altri ancora protestano contro ciò che stiamo facendo ai palestinesi”, spiega ad Al Jazeera Alon-Lee Green, co-direttore nazionale del gruppo di attivisti Standing Together, arrestato la scorsa settimana insieme ad altre otto persone mentre partecipava a una manifestazione di protesta lungo il confine tra Israele e Gaza. “Tutti sono i benvenuti”, ha aggiunto. “Vuoi opporre resistenza al governo? Sei il benvenuto. Non vuoi arruolarti? Sei il benvenuto. Hai sostenuto la guerra fino a poco tempo fa? Sei il benvenuto”.
Il dissenso verso Netanyahu e la guerra sta trovando infatti terreno fertile anche nell’IDF, soprattutto tra i riservisti dell'aeronautica militare, sebbene questo non si traduca in un rifiuto dichiarato. Questo fenomeno è più comune tra i riservisti.
Sono sempre più frequenti le lettere aperte di protesta contro la guerra da parte di unità militari e riservisti che rifiutano pubblicamente di presentarsi al servizio, riporta ancora Al Jazeera. Ad aprile, più di mille piloti israeliani in servizio e in congedo, generalmente considerati un'unità d'élite, hanno scritto una lettera aperta per protestare contro una guerra che, secondo loro, serviva “gli interessi politici e personali” di Netanyahu, “e non quelli della sicurezza”.
Non ci sono dati ufficiali sul numero di riservisti che non si sono presentati al servizio. Tuttavia, secondo i media israeliani, il numero potrebbe arrivare a 100.000. A questi si aggiungono poi coloro che rifiutano il periodo iniziale di servizio militare obbligatorio. Come Sofia Orr, diciannovenne di Pardes Hannah, nel nord di Israele, che fa parte di un numero crescente di coscritti che non solo rifiutano il servizio obbligatorio, ma rendono pubbliche le ragioni della loro obiezione.
Orr ha rifiutato di prestare servizio tre volte dopo essere stata chiamata alle armi per la prima volta il 24 febbraio 2024. Il primo e il secondo rifiuto le sono costati 20 giorni di prigione militare. Il terzo 45 giorni.
“Avevo già deciso di rifiutare quando avevo 15 anni”, ha detto Orr ad Al Jazeera. “Mi sono chiesta: ‘Se vado a prestare servizio militare, quale causa sto servendo, è in linea con i miei valori, chi sto aiutando realmente?’. Se mi arruolo, sto solo entrando nel ciclo di spargimenti di sangue che occupa e opprime quotidianamente i palestinesi?”.
Di qui la decisione di rendere il più pubblica possibile la sua decisione. “Avevo bisogno che la gente sapesse che esistiamo, che anche loro potevano fare lo stesso, per portare la sofferenza dei palestinesi nella società israeliana e perché i palestinesi potessero sapessero che non sono soli”, ha aggiunto Orr, che fa parte di “Mesarvot”, un'organizzazione israeliana che sostiene gli obiettori di coscienza anche di fronte a ripercussioni legali per i loro rifiuti.
“Dal 7 ottobre c'è stato un aumento costante degli obiettori”, racconta sempre ad Al Jazeera Nimrod Flaschenberg, analista politico e portavoce di Mesarvot. "Ma recentemente abbiamo assistito a un aumento esponenziale dei 16-17enni che rifiutano di prestare servizio. Sono circa un centinaio quelli che stanno diffondendo una lettera aperta in cui rifiutano il servizio militare e spiegano le loro ragioni”.
“Non so se la pressione popolare riuscirà mai a fermare la guerra», osserva Green, di Standing Together. “Voglio dire, i suoi sostenitori sono in minoranza da un anno. Rifiutare di rispondere alla chiamata alle armi è la nostra arma più potente: senza soldati non c'è occupazione. Abbiamo bisogno che sempre più persone si rifiutino”.
Intanto, ad aumentare il dissenso nei confronti del governo c’è la recente nomina del maggiore generale David Zini a prossimo capo dell’agenzia di intelligence israeliana Shin Bet. Una mossa che serve a Netanyahu per due scopi, scrive in un altro articolo su Haaretz Amos Harel: intensificare la sua campagna contro l’Alta Corte e la procuratrice generale Gali Baharav-Miara e soddisfare l’ala messianica ultraortodossa del suo governo.
Zini è considerato un buon comandante in combattimento ma si nutrono dubbi sulla sua indipendenza da Netanyahu e sulla sua autorevolezza nella conduzione dell’organismo di intelligence israeliano, fortemente criticato per l’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas e tutto quello che ne è conseguito. Questi dubbi si fanno ancora più rilevanti alla luce della campagna di Netanyahu contro l’attuale capo dello Shin Bet, Ronan Bar, che ha svolto un ruolo chiave nelle indagini sul caso Qatargate, in cui alcuni collaboratori del premier israeliano sono sospettati di aver lavorato illegalmente per il Qatar.
“È altamente improbabile che la nomina di Zini contribuisca a far uscire lo Shin Bet dalla crisi. Non meno seria è la questione se Zini saprà proteggere la fragile democrazia israeliana in un momento in cui il primo ministro e i suoi collaboratori le hanno dichiarato guerra”, scrive Harel.
In questo senso, la nomina di Zini, annunciata in fretta e furia da Netanyahu, mostra tutto lo sprezzo da parte del premier israeliano nei confronti dei giudici, della procuratrice generale Baharav-Miara (che recentemente aveva evidenziato il conflitto di interessi di Netanyahu e sottolineato che una sentenza della Corte gli impediva di nominare il nuovo capo dello Shin Bet in sostituzione di Bar) e degli equilibri democratici, in generale. “Risulta difficile non sospettare che la nomina di Zini faccia parte delle intenzioni del Likud, il partito di Netanyahu, di minare l'integrità delle prossime elezioni generali. Sono state avanzate varie ipotesi, tra cui il tentativo di escludere i partiti arabi o di dissuadere gli elettori arabi dal recarsi alle urne. Un capo dello Shin Bet non super partes potrebbe decidere di restare fuori dalla questione”, conclude Harel.
Immagine in anteprima: frame video DW via YouTube
