La tragedia di Israele e Gaza e la responsabilità dell’Europa
5 min lettura“Quello che sta accadendo a Gaza è una tragedia umanitaria ed esistenziale per la popolazione che vi vive, un disastro morale e politico per Israele, il risultato indiretto e a lungo termine della barbarie europea del passato e oggetto di un dannoso fallimento europeo attuale”. Il saggista e giornalista britannico, Timothy Garton Ash, professore di studi europei all’Università di Oxford, ha scritto una lunga riflessione sulle responsabilità dell’Europa rispetto alla guerra ormai senza fine a Gaza da parte di Israele. La tragedia umanitaria ed esistenziale a Gaza di questi giorni è il risultato indiretto e a lungo termine della barbarie europea del passato e del fallimento attuale dell’Europa rispetto alla questione israelo-palestinese, sostiene il saggista britannico.
Ash premette che Israele aveva “il diritto e il dovere di rispondere” all’atroce attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023 (che ha portato all’uccisione di 1.200 civili e militari israeliani e al rapimento di 250 ostaggi), ma avrebbe dovuto farlo in modo proporzionale. Invece, gli attacchi condotti dalle forze israeliane stanno violando il diritto umanitario e si configurano come crimini di guerra, come sostenuto anche – sottolinea Ash – da due ex primi ministri israeliani (qui le parole di Ehud Olmert, premier dal 2006 al 2009), dalla presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Mirjana Spoljaric, e da 828 legali britannici, esperti di diritto internazionali, che hanno inviato una lettera aperta al premier britannico, Keir Starmer, accompagnata da un “memorandum legale” che raccoglie nel dettaglio le prove a sostegno delle proprie conclusioni.
Come ha detto a un’intervista alla BBC, Mirjana Spoljaric, ciò che sta accadendo a Gaza supera “qualsiasi standard legale, morale e umano accettabile”. Rivolgendosi sia ad Hamas che a Israele, Spoljaric ha aggiunto: "Non ci sono scuse per la presa di ostaggi. Non ci sono scuse per privare i bambini dell'accesso al cibo, alla salute e alla sicurezza. Ci sono regole di condotta nelle ostilità che tutte le parti in conflitto devono rispettare“.
Dietro tutto questo disastro legale, umano, morale e politico – sostiene Ash – c’è la responsabilità dell’Europa. E per individuarla bisogna andare indietro nel tempo.
Innanzitutto, questa è una storia europea che nasce con i pogrom tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, principalmente sul territorio russo, che avvia l’ondata migratoria ebraica verso la Palestina e inizia a consolidare la convinzione che solo uno Stato sovrano avrebbe garantito la sicurezza. La Shoah dà l’impulso decisivo sia alla creazione dello Stato di Israele sia al riconoscimento internazionale della sua legittimità. In questo senso, spiega Ash, i palestinesi – costretti ad abbandonare le loro abitazioni nel 1948 – stanno pagando il prezzo della barbarie del totalitarismo europeo.
La responsabilità storica dell’Olocausto ha portato molti europei a simpatizzare con la causa dello Stato israeliano che si traduce oggi nella lentezza da parte di diversi paesi europei nel condannare le violazioni delle norme internazionali da parte di Israele, come evidenziato recentemente anche dall’analista Nathalie Tocci sul Guardian.
Il caso più emblematico è la Germania, “comprensibilmente, data la responsabilità storica unica per l'Olocausto”, scrive Ash. Come spiega la filosofa ebrea-americana-tedesca Susan Neiman, se è vero che “possiamo imparare dai tedeschi come affrontare un passato difficile (...), essi non sanno come affrontare un presente difficile”.
Uno degli episodi più eclatanti è stato il ritiro del patrocinio da parte della città di Brema e della Fondazione Heinrich Boll al Premio Hannah Arendt allə giornalistə ebreə-russo-americanə Masha Gessen per un articolo sul New Yorker in cui paragonava Gaza a un ghetto nell’Europa orientale occupata dai nazisti. Nel difendere le sue posizioni, durante la cerimonia di premiazione, avvenuta in una sede diversa rispetto a quella consueta, Gessen ha affermato: “Comparare non significa equiparare”, insistendo sull’importanza di poter fare paragoni, e quindi anche sulla libertà che va concessa agli intellettuali di riferirsi ai ghetti nazisti.
Il caso di Gessen non è isolato. Secondo il rappresentante del governo tedesco per la lotta all'antisemitismo, Felix Klein, definire “apartheid” la politica israeliana, come fatto dalla Corte internazionale di giustizia, oltrepassa il limite tra critica legittima a Israele e antisemitismo. Più recentemente, lo scorso maggio, quando Israele aveva già bloccato tutti gli aiuti umanitari a Gaza per più di due mesi, il nuovo ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, in visita in Israele, ha affermato commentando il piano di aiuti alternativo palesemente inadeguato proposto dal governo israeliano: “Nella misura in cui la parte israeliana compie ora questo passo, è chiaro che non si può accusare Israele di comportamenti incompatibili con il diritto internazionale”.
La giustificazione generale di questo approccio miope – spiega Ash – è l'affermazione, fatta dall'allora cancelliera Angela Merkel alla Knesset nel 2008 e spesso ripetuta da allora, che la sicurezza dello Stato di Israele fa parte della ragion di Stato della Repubblica Federale di Germania. Una affermazione problematica, prosegue il saggista britannico, innanzitutto perché “l'invocazione della ragion di Stato implica che gli interessi vitali dello Stato prevalgono su tutte le altre considerazioni, anche quelle contrarie, in particolare quelle di carattere internazionale”; e poi perché, sposando la ragion di Stato in nome della responsabilità unica dell’Olocausto, la Germania finisce per contravvenire all’imperativo derivante proprio dalla Shoah, ovvero quello di difendere sempre la dignità umana. Se la questione israeliana rientra nella ragion di Stato tedesca, la Germania dovrebbe segnalare a Netanyahu come “la sua follia egoistica stia nuocendo agli interessi vitali di Israele”. E invece, quest’approccio sta diventando il fondamento per girarsi dall’altra parte e non vedere cosa sta accadendo.
L’inerzia dell’Europa di fronte ai crimini israeliani ha suscitato la reazione di buona parte dell’opinione pubblica europea che ha accusato gli Stati UE di “doppio standard” rispetto ad altri casi di violazione del diritto internazionale, facendo spesso riferimento all’esempio della guerra in Ucraina.
I due contesti - precisa Ash – non sono equiparabili per diverse ragioni: la guerra in Ucraina non è iniziata dopo un attacco terroristico di un gruppo ucraino che ha “ucciso, torturato, violentato e rapito russi innocenti”, la “Russia è l’unico aggressore”, “Israele non è né la Russia né l’Ucraina del Medio Oriente”.
Anche in questo caso comparare non significa equiparare e si può parlare di crimini di guerra in entrambi i contesti, seppur differenti: “Il punto qui non è suggerire alcuna equivalenza. Si tratta semplicemente di coerenza morale e politica nel contrastare i crimini di guerra e le violazioni del diritto internazionale umanitario ovunque si verifichino”.
L’inerzia dell’Europa, infine, ha ripercussioni anche nelle nostre società. La crisi ha esacerbato le tensioni tra comunità ebraica e musulmana in Europa. L'antisemitismo è aumentato in modo allarmante e anche l'odio verso i musulmani è in aumento. “Questi 20 mesi di esitazione, confusione, negazione e doppio standard da parte dell'Europa” non hanno aiutato nessuno, conclude Ash: “Né i palestinesi. Né Israele. Né l'Ucraina. Né la Germania. Né l'Europa nel suo complesso, né all'interno né all'esterno”.
Per uscire da questa inerzia, Ash si augura che i paesi europei non forniscano più armi a Israele e che Francia, Gran Bretagna e Germania si uniscano agli altri Stati europei nel riconoscimento di uno Stato palestinese. Anche se “tutti sanno che l'unica potenza esterna in grado di cambiare in modo decisivo la rotta di Netanyahu sono gli Stati Uniti”.
Immagine in anteprima: Palestinian News & Information Agency (Wafa) in contract with APAimages, Public domain, via Wikimedia Commons
