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Israele e la sistematica distruzione della vita palestinese

15 Maggio 2025 3 min lettura

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Israele e la sistematica distruzione della vita palestinese

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Le ultime 24 ore sono state tra le più sanguinose nella Striscia palestinese da quando l'esercito israeliano ha rotto il cessate il fuoco, scrive El Pais. Nell’attacco di ieri Israele ha ucciso più di 80 persone a Gaza, tra queste 22 bambini.

Da quando Israele ha ripreso la sua offensiva a marzo almeno 100 bambini sono stati uccisi o feriti ogni singolo giorno, rileva l’ONU. Dal 7 ottobre 2023 sono stati uccisi almeno 17mila bambini. In 36 attacchi aerei verificati, sotto le macerie sono stati trovati donne e bambini. Non combattenti, non obiettivi militari, ma famiglie.

Agli attacchi si aggiunge il blocco degli aiuti umanitari. Secondo il ministero della salute di Gaza, 57 persone, per lo più bambini, sono già morte di fame sotto il blocco. Le Nazioni Unite hanno documentato almeno 10.000 casi di malnutrizione infantile, di cui oltre 1.400 classificati come malnutrizione acuta grave. E questi sono solo i casi di chi riesce ad arrivare in ospedale. 

I bambini di Gaza sono sottoposti a condizioni “incompatibili con la loro sopravvivenza”, spiega l’Unicef. Otto neonati sono morti di ipotermia a gennaio. I bambini nascono prematuri, malnutriti e muoiono nelle prime settimane di vita, riporta Medici Senza Frontiere. Inoltre, è stato segnalata una crescita degli aborti spontanei. 

“L'assedio non uccide solamente. Impedisce alla vita di iniziare”, scrive sul Guardian Ahmad Ibsais, cittadino palestinese-americano di prima generazione, studente di giurisprudenza e autore della newsletter State of Siege. 

La violenza di Israele contro i minori non è una novità, prosegue Ibsais. “In Cisgiordania, la violenza è personale, intima. I bambini vengono giustiziati ai posti di blocco. I soldati fanno irruzione nelle case di notte”. 

Human Rights Watch ha documentato in un rapporto del 2023 numerose uccisioni di minori palestinesi che non rappresentavano alcuna minaccia. Come il diciassettenne, Mahmoud al-Sadi, ucciso a colpi di arma da fuoco mentre andava a scuola a Jenin senza alcuna giustificazione. Lui era disarmato e nelle vicinanze non c’erano scontri. Un veicolo militare a 100 metri di distanza lo ha ucciso con un solo colpo. 

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O come Wadea Abu Ramuz, 17 anni, colpito alla schiena durante una protesta a Gerusalemme Est. Dopo essere stato portato in ospedale in condizioni critiche, è stato legato al letto, gli è stata negata la visita dei familiari e poi è stato sepolto di notte sotto la sorveglianza della polizia, con un numero limitato di persone in lutto e i telefoni confiscati. O Adam Ayyad, quindicenne del campo profughi di Dheisheh, ucciso da un cecchino mentre lanciava pietre, senza alcun colpo di avvertimento prima di colpirlo.

“Questa guerra riguarda la sistematica cancellazione della vita palestinese: i suoi ritmi, le sue generazioni, il suo futuro”, aggiunge Ibsais. “Uccidere un bambino significa cancellare un futuro. Quando muore un bambino, finisce un mondo. Non si tratta solo di corpi. Si tratta di memoria. Si tratta di negare ai palestinesi il diritto di immaginare un domani. Cosa resta di un popolo che non può seppellire i propri morti, insegnare ai propri figli o dare un nome al proprio dolore?”.

Immagine in anteprima via apan.org

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