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India: come il nazionalismo hindu ha spento la voce del Kashmir

3 Maggio 2025 3 min lettura

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India: come il nazionalismo hindu ha spento la voce del Kashmir

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Pubblichiamo un estratto dal libro 'Un'altra idea dell'India' (Add Editore) di Matteo Miavaldi. Matteo Miavaldi scrive di India e Asia meridionale per testate come "il manifesto" e "Lucy". Ha lavorato come producer con Chora Media ed è stato coautore del podcast Altri Orienti. Dal 2010 collabora con il collettivo di giornalisti e sinologi China Files. Il suo ultimo libro è 'I due marò, tutto quello che non vi hanno detto' (Edizioni Alegre, 2013).

Su un miliardo e quattrocento milioni di indiane e indiani, l’unica persona di cui Modi si fida ciecamente è Amit Shah. È il suo uomo, anzi sono una cosa sola: Modi e Shah, insieme, sono la coppia delle meraviglie del nazionalismo hindu.

Il 5 agosto 2019 Shah firma e fa passare in parlamento una risoluzione che stralcia l’articolo 370 della Costituzione indiana, che fino a quel momento aveva garantito l’autonomia del Jammu e Kashmir, l’unico Stato indiano a maggioranza musulmana, dal 1948 al centro di una contesa territoriale tra Pakistan e India. È il modo in cui il nazionalismo hindu vuole risolvere una volta per tutte la questione kashmira, una delle pagine più controverse e cruente della storia dell’India indipendente.

Nel 1948 il Kashmir è un principato a maggioranza musulmana, governato da un maharaja hindu che dopo l’indipendenza di India e Pakistan deve decidere da che parte stare: se annettere il principato a New Delhi o a Islamabad. Senza consultarsi con la popolazione, nel pieno del conflitto indo-pachistano iniziato subito dopo le rispettive indipendenze, il maharaja sceglie l’India, che immediatamente gli garantisce protezione militare contro l’esercito pachistano che preme al confine.

Quando nel 1949 firmano il cessate il fuoco, India e Pakistan si accordano su molto ma non sulla spartizione del Kashmir, che da quel momento entra in un limbo. Viene diviso in due parti: una amministrata dal Pakistan e una dall’India, con entrambe le potenze a reclamare in sede internazionale la proprietà esclusiva dell’intero territorio1.

Le Nazioni Unite avevano provato a mediare, e nella Risoluzione 47 del 1948 raccomandavano al Pakistan di ritirare le truppe dal confine e all’India di organizzare un «plebiscito» per chiedere direttamente alla popolazione cosa volesse fare: se rimanere con l’India, o se annettersi al Pakistan.

Il Pakistan non ha mai ritirato le truppe. L’India non ha mai organizzato un plebiscito. Sono seguiti decenni di sangue.

New Delhi e Islamabad hanno combattuto tre guerre per il Kashmir (1947, 1965, 1999), cui si aggiungono azioni terroristiche locali o sponsorizzate dai servizi segreti pachistani che puntualmente infiammano gli animi del territorio più militarizzato del mondo: le stime indicano che oggi, nel Kashmir amministrato dall’India, l’esercito schieri più di 300.000 uomini, senza contare le forze di polizia. Truppe più volte accusate di violazione dei diritti umani, sparizioni forzate, torture e omicidi extragiudiziali, ma che le leggi speciali in vigore nel Kashmir amministrato dall’India impediscono di processare.

Quando passa la risoluzione di Amit Shah e l’articolo 370 decade, l’autonomia che da più di mezzo secolo garantiva alla società civile kashmira una forma avanzata di autogoverno e uno spiraglio di contrattazione con New Delhi non c’è più.

Lo Stato viene smembrato in due Union territories dove i poteri delle assemblee parlamentari sono ridotti al minimo e il governo locale, per statuto, cede gli interni e la gestione dell’ordine pubblico ai governatori, nominati direttamente da New Delhi. In un colpo solo l’intera classe politica kashmira viene spazzata via. 

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Per soffocare le proteste sul nascere, le forze dell’ordine, ora sotto il controllo diretto del ministero degli Interni presieduto da Amit Shah, arrestano in una manciata di giorni migliaia di persone, mentre su tutto il Kashmir cala il blackout delle comunicazioni: niente telefono, niente televisione, niente Internet. Per mesi oltre dodici milioni di kashmiri vivono tagliati fuori dal resto del mondo. In Kashmir non si entra e dal Kashmir non si esce se non in manette, diretti verso centri di detenzione a migliaia di chilometri da casa.

Le opposizioni protestano, il Pakistan protesta, una parte della comunità internazionale si indigna, ma il processo sembra irreversibile. Senza autonomia sono decadute le misure che impedivano ai non-kashmiri di prendere la residenza, acquistare terreni e aprire esercizi commerciali in Kashmir, dando il via libera a un’inesorabile «hinduizzazione» del territorio: il Kashmir sarà sempre meno musulmano e sempre più hindu.

Immagine in anteprima: Illustrazione di Lucrezia Viperina, pubblicata su gentile concessione dell'autore

  1. L'India ha anche una contesa aperta con la Repubblica popolare cinese per 38.000 chilometri quadrati perlopiù desertici che New Delhi considera parte del distretto di Leh mentre per Pechino sono parte integrante della provincia del Xinjiang. ↩︎

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