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In Europa o riusciremo a contenere il virus e le conseguenze economiche della crisi insieme o falliremo singolarmente

20 Marzo 2020 4 min lettura

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In Europa o riusciremo a contenere il virus e le conseguenze economiche della crisi insieme o falliremo singolarmente

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di Barbara Wesel

[Articolo pubblicato sulla testata tedesca Deutsche Welle che ha concesso a Valigia Blu l'autorizzazione per la pubblicazione in italiano]

«Si salvi chi può»: questo è sembrato il motto dei governi europei all’inizio della crisi del coronavirus. È mancata la coordinazione, e ciascuno ha introdotto misure senza informare i paesi vicini. Ne è scaturita un’accozzaglia di regole e consigli, la fotografia di una perdita di controllo a livello nazionale e, soprattutto, a livello europeo. Persino la Commissione Europea a Bruxelles ha capito solo ora che sono in palio l’essenza stessa della sua credibilità e il futuro dell’Europa.

La prima a essere messa da parte, come sempre in tempo di crisi, è stata la solidarietà. È stata l’Italia, il primo paese colpito dalla crisi del Coronavirus - e colpito più duramente di tutti - a vivere l’amara esperienza del suo più forte vicino, la Germania, che interrompe l’esportazione di forniture mediche. Decisione che, giustamente, ha portato ad aspre controversie tra i ministri della Sanità dell’Unione. È stata la fotografia di un misero egoismo nazionale di fronte a problemi che già stavano diventando evidenti a sud delle Alpi.

La Cina sta già capitalizzando gli errori dell’Europa

La Francia, del resto, si è comportata in modo simile. Di fatto, Parigi e Berlino hanno lasciato le porte aperte a una campagna di propaganda della Cina, che ha fatto arrivare in Italia medici e forniture per una questione di immagine. Così il messaggio politico arrivato a chiunque si oppone all’Europa e allo scetticismo dei populisti è stato: «Quando le cose diventano serie, ognuno deve pensare per sé». Perché a Bruxelles o a Berlino non è venuto in mente a nessuno di chiamare il governo italiano e offrire aiuto? I media hanno raccontato dettagliatamente la drammatica situazione degli ospedali italiani, le misure di emergenza e le strade deserte. Nessuno può dire di non sapere cosa stava succedendo.

La Commissione Europea, invece, ha lanciato solo di recente appalti congiunti per attrezzature mediche. Le videoconferenze quotidiane tra, per esempio, i ministri della Sanità e i contatti regolari tra capi di governo hanno appena iniziato ad assicurare la condivisione di informazioni e il coordinamento delle iniziative. Finora si erano limitati a prendere tempo  - probabilmente al meglio delle proprie capacità, ma sempre avendo in mente i rispettivi elettori.

Una cosa è assolutamente chiara: o noi europei riusciremo a contenere il coronavirus e ad assorbire le conseguenze economiche della crisi insieme, oppure falliremo singolarmente. Le chiusure spontanee dei confini ne sono un esempio. Un portavoce a Bruxelles l’ha spiegato diplomaticamente, dicendo che la loro utilità è dubbia, visto che il virus si è diffuso da tempo in tutta l’Unione Europea. Tutto ciò che le chiusure dei confini ottengono è di causare infinite code di camion e bloccare la circolazione delle merci. I paesi che vogliono chiudere singole regioni devono organizzarsi in modo da consentire i rifornimenti e permettere ai lavoratori di passare i confini.

Teniamo d’occhio il mercato interno

Se il mercato interno europeo dovesse collassare, arriveremmo davvero agli ingorghi nei supermercati. Allora i governi sembrerebbero bugiardi che giurano e spergiurano sull’abbondanza di rifornimenti, mentre assicurano che non c’è motivo per fare scorte. Il ritorno all’interesse particolare nazionale all’interno di confini da tempo diventati fittizi può essere una sorta di riflesso politico condizionato. Può anche rassicurare gli elettori meno avveduti, ma nella realtà ottiene l’effetto contrario.

Lo stesso vale per le misure volte a proteggere la popolazione. Se la maggior parte dei governi dell’Unione ora crede che la strada da seguire sia l’isolamento sociale, la chiusura di ristoranti, negozi, scuole e così via, queste misure hanno più senso se introdotte in modo coordinato. Più estese sono le aree dove la diffusione del coronavirus è rallentata, maggiori sono le possibilità di tenuta per i sistemi sanitari nazionali.

Farcela o affondare

In ultimo, un ritorno all’interesse nazionale finirebbe con un disastro economico, perché l’Europa è da tempo diventata così interconnessa che possiamo superare la minaccia di recessione solo lavorando insieme. Lasciare che l’Italia affondi, per esempio, non è un’opzione - anche il più testardo tra i nazionalisti deve capirlo. Unita, l’Europa è il più forte blocco economico al mondo, e può plasmare in modo decisivo la politica dei mesi a venire. Lasciare che ogni paese vada per conto suo, invece, non è che una goccia nell’oceano.

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Tutti i paesi hanno fallito nelle ultime settimane, o perché non hanno reagito in tempo o perché non hanno capito le dimensioni che la crisi avrebbe raggiunto. Allo stato attuale, la curva di apprendimento è ripida e possiamo solo sperare che le persone al potere, a livello nazionale ed europeo, abbiano recepito il messaggio. Non possiamo più permetterci di perdere tempo di fronte alla rapida diffusione del coronavirus; ormai ogni singolo giorno fa la differenza.

Gli unici rimedi alla paura, finora, sono solidarietà e buonsenso. Questo non è un appello morale, è la chiamata a un’azione collettiva. È chiaro che il mondo non sarà più lo stesso, ma sta ancora a noi riconoscerlo o meno.

Foto anteprima via DW

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