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La Fase 2 è un territorio inesplorato. Non esiste un consenso scientifico su come uscire dal lockdown

27 Aprile 2020 10 min lettura

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La Fase 2 è un territorio inesplorato. Non esiste un consenso scientifico su come uscire dal lockdown

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Preparare un piano per la cosiddetta 'fase 2' che preveda la "riapertura" di un paese significa addentrarsi in un territorio inesplorato. Se, infatti, l’efficacia del lockdown – con l’isolamento e il distanziamento sociale – è scientificamente dimostrata, non sappiamo invece quale sarà, sulla pandemia da COVID-19, l'effetto di nuove misure più permissive. «Non esiste un consenso scientifico su come uscire dal lockdown», spiega l'epidemiologa Caroline Buckee a Science Magazine

Molti ricercatori – si legge nell’articolo della rivista scientifica – concordano sul fatto che dovrà essere un percorso graduale di tipo “euristico”, "prova e sbaglia", durante il quale i governi – che tengono in considerazione diversi elementi come la salute dei cittadini, le libertà individuali e il costo economico – dovranno essere in grado di fare un passo indietro verso misure più severe qualora fosse necessario. Per Megan Coffee, ricercatrice di malattie infettive alla New York University, una exit strategy dal lockdown dovrà essere strutturata in “piccoli passi”.  

Lo scorso 13 aprile, l’Organizzazione mondiale della sanità ha avvertito che la diffusione del virus è molto veloce, al contrario della sua decelerazione: “In altre parole, la discesa è molto più lenta della salita". Questo significa che “le misure di controllo devono essere revocate lentamente e con attenzione. Non può accadere tutto in una volta”. Maria Van Kerkhove, epidemiologa delle malattie infettive dell'OMS, ha anche specificato che l'allentamento delle varie misure di isolamento dovrà avvenire «al livello amministrativo più basso possibile ed è molto importante assicurarsi di poter individuare ogni nuovo caso per evitare nuove ondate».  

Per fornire aiuto e supporto in queste decisioni, Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'OMS, ha elencato sei criteri per i paesi che hanno deciso di ridurre le restrizioni vigenti:

  1. Il contagio sia sotto controllo.
  2. Le capacità del sistema sanitario siano in grado di rilevare, testare, isolare e trattare ogni caso di persona infetta e di tracciare ogni suo contatto.
  3. I rischi di contagio siano ridotti al minimo in ambienti particolari come strutture sanitarie e case di riposo.
  4. Adottare misure preventive sui posti di lavoro, nelle scuole e in altri luoghi dove per le persone è essenziale andare.
  5. La possibilità di gestire i rischi di casi importati.
  6. Le comunità siano pienamente istruite, coinvolte e dotate dei poteri necessari per adeguarsi alla 'nuova normalità'.

Per quanto riguarda il sistema di sorveglianza, l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, su Medical Factsspecifica che bisogna ricordarsi che si tratta di un sistema “pensato e strutturato per monitorare l’andamento di una malattia e stimare la grandezza del fenomeno. Ecco perché in un sistema di sorveglianza un certo livello di sottostima è sempre presente ed è anche accettato”. “I numeri – continua l'esperto – non ci dicono quello che per loro natura non possono dire” e per questo, in vista della 'fase 2', sarebbe importante “raccogliere informazioni dettagliate sulla capacità dei diversi territori di condurre un’accurata sorveglianza epidemiologica. Solo allora saremmo sicuri che i dati rivenienti dal sistema di sorveglianza ci forniscano informazioni affidabili”.

La cautela nelle "riaperture" richiesta ai diversi paesi si inserisce nel contesto globale sanitario che resta ancora critico: i casi di nuovi infetti segnalati all'OMS sono arrivati a più di 2 milioni e ottocentomila, con oltre 190mila morti. L'Organizzazione mondiale della sanità avverte che ci sono «tendenze differenti in diverse parti del mondo e persino all'interno degli stessi Stati. La maggior parte delle epidemie nell'Europa occidentale sembra essere stabile o in calo. Sebbene i numeri siano bassi, ci sono preoccupanti tendenze al rialzo in Africa, in Centro e Sud America e in Europa orientale. La maggior parte dei paesi è ancora nelle prime fasi delle loro epidemie. E alcuni, che sono stati colpiti all'inizio della pandemia, stanno iniziando a vedere una rinascita nei casi».

Mappa aggiornata al 26 aprile 2020, via OMS

Per questo motivo, spiega l’agenzia speciale dell'ONU per la salute, è necessario non commettere errori nella gestione della pandemia: «Abbiamo ancora molta strada da fare. Questo virus sarà con noi per molto tempo»

Secondo l’epidemiologo ed ex presidente della International epidemiological association Rodolfo Saracci su Scienza in rete “la riuscita della 'fase 2' dipenderà simultaneamente da due componenti entrambe indispensabili”.

La prima componente è composta da vari fattori: il superamento e la neutralizzazione da parte del servizio sanitario di alcuni ostacoli, come riuscire a potenziare per il tracciamento dei nuovi casi, la disponibilità del personale dei Dipartimenti di prevenzione. Non illudersi che la 'fase 2' si possa limitare soprattutto a una campagna di distribuzione di app per il tracciamento digitale e test sierologici su vasta scala (ndr utili in particolare per stabilire quanto il virus è circolato nella popolazione ma che a oggi non risultano affidabili al 100% e non garantiscono una “patente di immunità”) perché in quel caso si mancherebbe completamente “l’obiettivo di contrastare e ridurre al minimo la circolazione del virus”. Fra gli altri fattori c'è anche la necessità di mirare al controllo della circolazione del virus sul territorio, tenendo presente che il criterio regolatore è la minimizzazione dell’incidenza di nuovi casi, non quello del numero massimo accettabile dei casi gravi che finiscono in rianimazione.

Leggi anche >> I test sierologici ci daranno la “patente di immunità”?

La seconda componente per la riuscita della 'fase 2', continua l’esperto, è “un'intelligente scelta, guida e applicazione graduale, man mano che la 'fase 1' viene dismessa, a livello individuale e collettivo, di una serie di misure monitorate passo passo nelle loro conseguenze (gesti barriera, distanze e contatti tra persone, maschere etc)”. 

Nel mondo, intanto, sono state attivate dai vari governi fasi diversificate di allentamento dei lockdown a ritmi differenti, per puntare a rilanciare l’economia e ripristinare, seppur in modo differente, alcune delle attività quotidiane precedenti all’arrivo del virus. 

A metà aprile la Commissione europea aveva esortato gli Stati membri a coordinarsi sull'allentamento dei blocchi, avvertendo che in caso contrario ci sarebbe stata la possibilità di nuovi picchi dell'epidemia di nuovo coronavirus. Ma a livello europeo, l'invito a questo coordinamento è rimasto inascoltato.

In Francia, il termine graduale delle misure restrittive, iniziate il 17 marzo scorso, è stato indicato per l’11 maggio. Per quanto riguarda le scuole francesi, spiega Pagella Politica, il presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha annunciato che riapriranno «gradualmente» proprio da quella data: “Ad oggi non è però ancora chiaro come sarà organizzato questo rientro e rimangono ancora diversi punti interrogativi sulla questione”. 

In Spagna, la prima misura di allentamento, dopo l'inizio del lockdown a metà marzo, è stata quella che ha permesso il 26 aprile ai minori di 14 anni di uscire a passeggiare nei pressi delle proprie abitazioni. Per ora però, fino al 9 maggio, il paese resta in lockdown e non si esclude che venga rinnovato per altre due settimane. La “Fase de descalada” (cioè la 'Fase 2') consisterà in una apertura graduale di alcune attività e presumibilmente inizierà fra un mese. Le scuole dovrebbero ripartire da settembre, prevedendo misure di protezione. 

La Germania ha riaperto dal 20 aprile piccoli negozi, concessionari di automobili e negozi di biciclette, riporta la Bbc che precisa come i 16 stati tedeschi federati stiano attuando con differenti misure l'allentamento del blocco deciso dal governo centrale il 22 marzo scorso. La cancelliera Angela Merkel, che ha affermato che la pandemia è ancora all’inizio, si è detta preoccupata perché alcuni degli stati tedeschi si stanno muovendo troppo in fretta. Le scuole dovrebbero riaprire in maniera progressiva dal 4 maggio. Dopo due giorni è previsto un incontro fra Merkel e i leader degli Stati federati per fare il punto su come procedere successivamente.

Nel Regno Unito non ci sono ancora date ufficiali sulla ripresa di scuole e attività commerciali, dopo l’annuncio del blocco dei movimenti del 24 marzo scorso. Fino alle fine della prima settimana di maggio non sono previsti cambiamenti. Wired scrive che anche per il Regno Unito la cosa più probabile è un periodo di transizione, in cui le restrizioni verranno revocate un po’ alla volta.

In Italia il lockdown è attivo dallo scorso 9 marzo. Il 14 aprile sono state riaperte le prime attività – cartolerie, librerie, diverse attività di vendita al dettaglio – stabilendo, tra le varie cose, il rispetto del distanziamento personale e dell’igiene ambientale. L’inizio della vera e propria 'fase 2', con un programma di progressive aperture omogeneo su base nazionale, è stata decisa per il prossimo 4 maggio e prevede in particolare la ripresa delle attività manifatturiere, di costruzioni, di intermediazione immobiliare e del commercio all’ingrosso (qui le misure nel dettaglio). La riapertura delle scuole è prevista, invece, con nuove modalità, il prossimo settembreAnnalisa Camilli riporta su Internazionale le osservazioni di Nino Cartabellotta, presidente della fondazione Gimbe, che promuove e realizza attività di formazione e ricerca in ambito sanitario, su questa nuova fase che deve tenere in considerazione "i rischi legati a cinque variabili: attività produttive, libertà individuali, mezzi di trasporto, rischi di specifici sottogruppi di popolazione in relazione all’età e patologie concomitanti ed evoluzione del contagio nelle diverse aree geografiche". 

A livello nazionale, in Italia è stato registrato un trend in miglioramento sull'impatto delle strutture sanitarie, in particolare sulle terapie intensive.

Per quanto riguarda il dettaglio delle terapie intensive, c'è una differenza a livello regionale, come sottolineato da Matteo Villa dell'Ispi.

Per questo motivo, afferma Cartabellotta «se il parametro per la, seppur graduale, riapertura è il decongestionamento di ospedali e terapie intensive siamo quasi pronti; ma se non vogliamo rischiare una nuova impennata dei casi i numeri impongono la massima prudenza, sia perché alcune Regioni e numerose Province sono ancora in piena fase 1, sia perché gli eventuali effetti negativi della riapertura si vedranno solo dopo 2-3 settimane». L'analista si riferisce a molte delle Regioni del Nord, secondo un modello elaborato dalla fondazione Gimbe su un arco temporale settimanale basato sulla “densità” dei casi e la velocità del contagio.

Posizionamento delle Regioni in relazione alle medie nazionali di prevalenza e incremento percentuale dei casi (settimana 19-26 aprile), via Fondazione Gimbe

Di seguito il quadro provinciale, in base all'ultimo aggiornamento.

L'Istituto superiore di Sanità ha avvertito che "se non venissero rispettate le misure di distanziamento sociale e si riaprisse il paese senza cautela" l'indice di contagiosità R0 (cioè il “numero di riproduzione di base”, il parametro che misura la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva) tornerebbe a salire sopra la soglia di 1 in due o al massimo tre settimane. Come aveva spiegato a febbraio sempre l'ISS infatti "quanto maggiore è il valore di R0, tanto più elevato è il rischio di diffusione dell’epidemia. Se invece il valore di R0 fosse inferiore ad 1 ciò significa che l’epidemia può essere contenuta".

Nel frattempo in Cina, a Wuhan, capitale dell’Hubei, l’epicentro iniziale della pandemia di COVID-19, è in atto la fase più avanzata delle riaperture dei rigidi blocchi imposti lo scorso 23 gennaio. Al riguardo si legge su Le Monde: “Gli 11 milioni di abitanti di Wuhan hanno dovuto attendere fino all'8 aprile (ndr dopo il miglioramento della situazione) per potersi spostare di nuovo". Tuttavia, resta la raccomandazione di uscire solo quando è necessario. Per il 6 maggio nella provincia dell'Hubei è prevista una parziale riapertura delle scuole per gli studenti dell'ultimo anno delle superiori.

Inoltre, racconta sempre il quotidiano francese, le autorità hanno anche istituito un sistema di codice QR sanitario, che incrocia le informazioni dichiarate dagli utenti e i dati forniti da terzi (banche, società di trasporto, ecc. ): “Per lasciare la provincia di Wuhan o Hubei, i viaggiatori devono avere un certificato medico o presentare il famoso codice QR sul telefono: se non sono stati in contatto con persone infette, il programma produce un codice verde. Se è rosso, le persone dovrebbero rimanere in isolamento per quattordici giorni, per precauzione. Nel capoluogo di provincia, questo sistema è utilizzato ovunque: metropolitana, autobus e in tutti i luoghi pubblici”. 

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A partire dall'esperienza cinese, quindi, quello che contraddistinguerà la 'fase 2' sarà una riorganizzazione della vita sociale di tutti i giorni – dal lavoro, agli eventi pubblici, fino alla quotidianità personale –, dal momento che il vaccino per COVID-19 si ritiene non così scontato, o almeno non disponibile per i prossimi mesi se non anche per più di un anno. Inoltre, una volta trovato, la sua distribuzione sarà comunque complessa

L’unica cosa certa, ha ricordato il direttore regionale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per l'Europa, Hans Kluge, è che «non esiste una strada veloce per avere una nuova normalità»: «La domanda non è se ci sarà una seconda ondata, la domanda è se impareremo dalla lezione che abbiamo avuto finora, e cioè quella che bisogna lavorare, tra un'ondata e l'altra, per rafforzare la risposta dei sistemi pensando agli scenari peggiori». 

Foto in anteprima via Ansa

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