La crisi è un’occasione. Un mondo diverso è possibile
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"...è entrato in crisi il meccanismo basato sul rapporto circolare produzione-consumo, col sistema finanziario come supporto e motore: denaro a credito ai produttori per produrre e ai consumatori per acquistare... ora, questo meccanismo è in crisi profonda. Forse che lo si discute per cercare di definire un modello diverso? No. La discussione è solo sui modi per rimetterlo in funzione..." (Gustavo Zagrebelsky - La felicità della democrazia)
C’erano una volta gli scaricatori di porto che tiravano giù, con la sola forza delle braccia, le merci delle navi: sacche piene di viveri, ceste piene di carbone, ecc. Poi ci fu l’avvento dei container e un’intera categoria di lavoratori fu spazzata via. E a nulla valsero, ovviamente, le lotte sindacali per mantenere gli antichi scaricatori al loro posto (gli echi di questa vicenda fanno da sfondo al bellissimo film di Elia Kazan, del 952, “Fronte del porto” con Marlon Brando).
L’evoluzione sociale, economica e tecnologica modifica di continuo il mondo in cui viviamo e lavoriamo.
D’altronde basterebbe confrontare la situazione del porto di Genova di un tempo e dei suoi “camalli”, come venivano chiamati gli scaricatori nel dialetto locale, con il modernissimo progetto di “green port” che il capoluogo ligure ha varato poche settimane fa. Entro il 2020, infatti, il Piano Energetico Ambientale Portuale consentirà, migliorando l’efficienza energetica e attraverso l’uso di fonti rinnovabili, di abbattere sensibilmente le emissioni di gas a effetto serra dello scalo genovese.
Nuove tecnologie e nuovi processi industriali che richiedono professioni nuove o l’aggiornamento di lavori che già esistevano. Realizzando un nuovo modello di economia che fa dell’efficienza, non solo energetica, e della qualità ambientale i suoi due assi portanti.
Secondo le Nazioni Unite le imprese che resisteranno meglio alla crisi economica sono quelle che per prime riusciranno ad accettare i danni presenti e futuri dei cambiamenti climatici e adatteranno i loro modelli produttivi in armonia con le comunità locali e l’ambiente: creando, cioè, reti virtuose fra cittadini, governi e risorse del territorio. Una specie di rivoluzione verde che persino la Commissione europea, non più tardi di qualche mese fa, indicava come strada per uscire dalla crisi: «Nei loro sforzi di risanamento del bilancio gli Stati membri dovrebbero dare priorità a una spesa propizia alla crescita sostenibile, in settori quali la ricerca e l’innovazione, l’istruzione e l’energia». (Per gli appassionati di giornalismo, aggiungeremo che di questo pronunciamento, del 4 febbraio 2011, sulla stampa italiana non v’è traccia se non en-passant solo sul Sole 24 Ore e sul quotidiano Terra del giorno dopo).
In questo contesto parlare di lavori verdi, green jobs o ecolavori assume un significato specifico e determinante per il presente, ancora prima che per il futuro.
Facciamo un esempio pratico: il dissesto idrogeologico. Il 70 per cento dei comuni italiani è afflitto da questo problema. I soldi che ogni finanziaria ha messo a disposizione in questi anni sono sempre state briciole rispetto ai 44 miliardi che ben tre ministri dell’ambiente, nel corso degli ultimi dieci anni, hanno detto essere necessari per ripristinare il nostro territorio, a fronte dei 100 miliardi spesi negli ultimi trent’anni per far fronte ad emergenze come quella di Sarno del 1998 o di Messina del 2009. Intervenire in maniera efficace e localizzata su ognuna delle 13.000 aree individuate dal Ministero dell’ambiente attraverso l’Ispra significherebbe creare un circolo virtuoso di microeconomie che potrebbero impiegare decine di migliaia di professionalità specializzate o meno: ingegneri ambientali, geologi, paesaggisti, faunisti, operai, agricoltori, ecc.
Ma se il pubblico – ovvero lo Stato e gli enti locali – faticano ad entrare in quest’ordine di idee, al punto che la Finanziaria penalizza persino il nascente settore delle fonti rinnovabili, mettendo a rischio molti di quei nuovi posti creatisi negli ultimi quattro anni grazie al cosiddetto Conto energia, diverso è il discorso per molte piccole e medie aziende del nostro Paese, che la lezione, a dispetto della crisi, sembrano averla appresa.
Molte di queste, infatti, hanno cercato idee nuove e strategie vincenti. Aziende, piccole, medie o grandi, che hanno fatto del rinnovamento ambientale la chiave della loro evoluzione, introducendo innovazione di processo, innovazione tecnologica e innovazione di prodotto. Per farla semplice potremmo dire che questo è il cuore della green economy. E non c’è comparto che sia interessato dalla riconversione sostenibile, con numeri importanti sotto il profilo occupazionale: 116.000 nel trasporto pubblico, 410.000 nel settore delle foreste, 103.000 nei rifiuti e 76.000 nel riciclaggio, 150.000 nelle rinnovabili, 80.000 nelle aree protette, 13.000 nella chimica verde, 50.000 nell’agricoltura biologica, 27.000 nel settore delle bonifiche ambientali, 50.000 nell’ecoturismo. Complessivamente si stima che siano operativi oggi in Italia fra gli 800.000 e i 950.000 lavoratori verdi, con prospettive di crescita nei prossimi anni. Secondo uno studio di Unioncamere e Fondazione Symbola, il 40 per cento di tutte le professioni censite dall’Istat sono oggi oggetto di una riconversione verde e il 90 per cento delle imprese italiane richiede giovani lavoratori con competenze ambientali.
Se, dunque, il terreno è fertile e istituzioni internazionali, come l’Unione europea e le Nazioni Unite, ritengono che sia necessario puntare in questa direzione, occorre purtroppo registrare che nel nostro Paese si sta imboccando, e non solo con l’ultima legge finanziaria, una strada che va nella direzione opposta, che non punta sulla formazione dei giovani, che non guarda all’innovazione tecnologica e che mette la crisi ambientale come ultima delle sue priorità.
Una definizione di “green job”
Per i più curiosi e per quelli più scrupolosi riporto la definizione che ne danno le Nazioni unite.
Secondo il Rapporto Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world dell’Unep si definiscono lavori verdi quelle «attività lavorative nel settore agricolo, manifatturiero, amministrativo, dei servizi e nelle attività di ricerca e sviluppo che contribuiscono sostanzialmente nell’opera di salvaguardia o ripristino della qualità ambientale. Questi includono attività che aiutano a tutelare e proteggere gli ecosistemi e la biodiversità; a ridurre il consumo di energia, risorse e acqua tramite il ricorso a strategie ad alta efficienza; a minimizzare o evitare la creazione di qualsiasi forma di spreco o inquinamento. (…) Non è sempre facile identificare i lavori verdi perché se alcuni settori, come quello delle energie rinnovabili, sono ben riconoscibili, i cambiamenti che avvengono nelle industrie tradizionali non sono sempre facilmente individuabili. (…) Come ogni altro settore, quello degli investimenti in campo ambientale genera sia un certo numero di posti di lavoro diretti (progettazione, costruzione, mantenimento) che indiretti (nelle industrie che forniscono i componenti). Alcuni impieghi sono facilmente identificabili come lavori verdi, per esempio l’installazione di un pannello solare o la manutenzione di una pala eolica, mentre un componente di acciaio di una pala eolica può venire da un’acciaieria senza neanche che ne questa ne sia a conoscenza».
Anni fa, però, intervistando il presidente di un’associazione di bioarchitetti e chiedendogli cosa fosse appunto un “bioarchietto”, quello, riflettendoci sopra un attimo, rispose: “un architetto bravo”. Ecco, in termini più spicci, potremmo dire che un lavoratore verde è un lavoratore bravo.
Risorse in rete:
Chi erano i “camalli” secondo Wikipedia
Il “green port” di Genova
Il rapporto Unep per le imprese Adapting for a Green Economy: Companies, Communities and Climate Change per creare economia e resistere ai cambiamenti climatici
Relazione del Consiglio d’Europa del 4 febbraio 2011 – Conclusioni della Presidenza
Il conto energia spiegato su Wikipedia
Il Rapporto dell’Unep “Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world”
Il rapporto Unioncamere e Fondazione Symbola GreenItaly
Dove non indicato i dati sono tratti da Guida ai green jobs di Tessa Gelisio e Marco Gisotti (Edizioni ambiente)
Marco Gisotti
@valigia blu - riproduzione consigliata
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