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Il ‘criminale’ Assange ci sfida ad essere noi stessi

8 Dicembre 2010 4 min lettura

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Il ‘criminale’ Assange ci sfida ad essere noi stessi

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L’arresto di Julian Assange è un banco di prova per i paesi coinvolti, che poi sono quelli dell’occidente democratico: gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Svezia. Paesi che, con giusta ragione, vantano una storia che sta dalla parte dello stato di diritto. Almeno un po’ più che le varie Russia, Cina, Iran (e di certo più dell’Italia, almeno in prospettiva storica).

Eppure, fin dall’inizio di questa caccia all’uomo, c’è stato un silenzio complice di media, leader e partiti politici, intellettuali. Anche dei più libertari, anche di quelli con lo sciopero della fame sempre pronto. Una soddisfazione non detta, che non si fa dichiarazione. Tutti d’accordo che il pirata salga sulla “forca”. Tutti a tirare un sospiro di sollievo che si chiuda il rubinetto del “bullshit” e che si torni a un bel clima di indiscrezioni reciproche, veicolate dai siti di gossip comunemente riconosciuti e segretamente da tutti finanziati e nelle mani delle macchine del fango riconosciute e di rito accettato (pensateci, Wikileaks, all’improvviso e per qualche giorno, ce ne ha liberato. Assange è il disintermediatore della macchina del fango. Se il segreto non è più tale, è il fango stesso che si secca alla luce benefica della trasparenza, dove esistono responsabili, non perseguitati e persecutori).

Fa tanta paura il pirata ugalitario che non ha riguardi per nessuno, da farci concordare tutti con l’idea che, insomma, questo qui prima lo mettiamo a tacere e meglio è? Sì, è un banco di prova questo arresto di Julian Assange: nel momento in cui l’occidente delle democrazie e dello stato di diritto si trova di fronte ad una trasgressione del tutto nuova, che propone una rivoluzione del concetto di informazione. Questo “criminale” ci sfida ad essere ciò che diciamo di essere.

E il suo lavoro dovrà essere trattato secondo i principi della libertà di espressione: non con il terrorismo informatico di stato su base planetaria, cui si è dato libera strada in questi ultimi giorni. Altrimenti, alla fine di tutta questa vicenda, cosa differenzierà l’America dalla Russia? L’Inghilterra dalla Cina o dall’Iran? E’ così estraneo alla storia delle democrazie che il cambiamento arrivi attraverso movimenti e pratiche che si presentano all’inizio come strappo e delitto? Rosa Parks non violava la legge? Gandhi non era un criminale per la giustizia inglese?

Dobbiamo davvero credere alla fola dell’accusa per stupro e quindi accettare un’estradizione che alla fine porterà Assange in mano agli “intervistatori” specializzati della Cia, ai “riprogrammatori”, ai tormentatori di stato? E Wikileaks è solo una questione di pirateria o questo caso parla del nostro futuro democratico?

L’occidente avrebbe dovuto finanziare Assange, perché creasse reti simili in Russia, Cina, Iran, veri e propri nuclei di resistenza e di sovvertimento civile delle dittature sulla base delle armi di informazione di massa. Altro che imitare gli stati canaglia dove i giornalisti sono uccisi e i blogger incarcerati.

Una parola a parte per le aziende “internet”, come Amazon, Paypal ed altre che in questi giorni hanno contribuito a stringere la morsa attorno a Wikileaks. Gli utenti della rete dovrebbero fare un pensiero, su quanto meritino ancora, queste organizzazioni, la fiducia di noi consumatori e delle nostre carte di credito.

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Sono domande improponibili per chi perlomeno “non impedisce” che nel suo paese i giornalisti vengano ammazzati appena toccano il potere, per chi ha inventato il più grande sistema di filtri e delazioni di massa o per chi semplicemente tratta una manifestazione di studenti come un esercito d’invasione. Incomprensibile anche per i loro amici, alleati, gentili ospiti da questa parte del mondo. Incomprensibili anche per i ministri che delirano di “11 settembre” della diplomazia, tradendo con un lapsus retorico quello che hanno in mente per gli autori delle rivelazioni. Ma sono questi principi l’abc delle democrazie e della libertà che diciamo di rappresentare.

La lama di rasoio sulla quale i governi occidentali si muovono da quando, nei primi anni ‘90, internet è diventata piattaforma dello scambio di massa di informazione e esperienza, oggi ci appare in tutta la sua pericolosità: qui, oggi, possiamo evitare, in nome della sicurezza, di ricorrere a legislazioni repressive, censure, filtri schedature – con questa spazzatura legislativa tutti i governi occidentali civettano da anni e dopo Assange si sentiranno autorizzati a proporcela come unica via per salvare il mondo, cioè loro stessi, dalla disintermediazione delle loro macchine del fango proprietarie.

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