Nell’inferno di Terzigno (Reportage Video)
5 min letturadi Arianna Ciccone per L'Espresso (12 ottobre 2010)
Ma è un'emergenza rifiuti o un'emergenza democratica? Me lo sono chiesto subito appena arrivata a Terzigno e alla discarica S.A.R.I riaperta due anni fa da Guido Bertolaso per risolvere l'emergenza rifiuti della Campania.
Era una ex discarica, gli abitanti del vesuviano aspettavano da tempo la bonifica e si sono ritrovati senza fiatare la riapertura, con la promessa che entro un anno il volume dei conferimenti si sarebbe ridotto al minimo grazie all'entrata in funzione del termovalorizzatore di Acerra. Peccato però che questo, ad oggi, funzioni parzialmente: due linee su tre non sono attive mentre l'unica linea funzionante la settimana scorsa si è fermata per un guasto. Pare che accada spesso. Per quel sacrificio i comuni investiti dalla discarica avrebbero usufruito delle compensazioni, soldi che non sono mai arrivati.
Arriviamo alla discarica lungo un percorso fatto di autocompattatori dati alle fiamme durante una delle proteste e parcheggiati lì a colare percolato e liquidi scuri. Ai lati della strada quello che doveva essere uno dei più bei posti dell'Italia, chilometri di vigneti, frutteti, alberi di ulivo e di noccioline ricoperti totalmente di polveri, in un abbraccio violento tra bellezza e bruttezza. Come se un alito di morte avesse soffiato su tutto quel ben di Dio. L'odore è insopportabile, indecente, sconvolgente. La discarica S.A.R.I. è una zona protetta dai militari, inaccessibile, ma da un lato è possibile vedere tutto, alzandosi su alcune cancellate che fiancheggiano un maneggio, dove soprattutto i bambini vengono a cavalcare.
È enorme e fa impressione avere davanti l'immensità del Parco Nazionale del Vesuvio scavato da dentro da cave ormai inquinate come fossero tumori. Gli operai stanno lavorando e spostano i rifiuti in compagnia dei gabbiani, i veri padroni della zona. La loro presenza tra l'altro è la spia di una discarica "fatta male". Il Vesuvio è patrimonio dell'Unesco, la Commissione Petizioni del Parlamento europeo in visita ad aprile ha dato parere negativo all'apertura delle discariche.
Ma bastava la logica per arrivare alla stessa conclusione: in questo territorio aprire discariche è un vero e proprio "crimine" ambientale. E ora pensano di aprire la seconda: Cava Vitiello, che diventerebbe la discarica più grande d'Europa con una capacità di stoccaggio stimata ben oltre i 10 milioni di tonnellate. Questo significa che l'emergenza non si concluderà mai, che ci saranno altri 20 anni di sversamento. La gente è scesa in strada per dire basta. No alla Cava Vitiello, chiusura della S.A.R.I., rifiuti zero.
E rifuti zero è lo slogan dei comitati cittadini e dei collettivi, che hanno cercato di mettere in rete le proteste a livello regionale. A coordinarli un gruppo di ragazzi giovanissimi, che hanno anche organizzato incontri per informare la cittadinanza, come quello con Carla Poli del Centro di riciclo di Vedelago, Treviso, che riesce a riciclare il 99 per cento dei rifiuti. Quello che non fa e dovrebbe fare la politica lo fanno i cittadini. «Se i leghisti protestano stanno difendendo il territorio. Se protestiamo noi siamo camorristi», dice una signora che insieme alla figlia è all'appuntamento nella piazza di Boscoreale per la marcia di protesta. Il problema investe almeno 200 mila persone, in strada ce ne saranno un migliaio. «Io in quanto cittadina sono lo Stato», dice una ragazza : «Questa gente mi sta costringendo a combattere contro lo Stato, contro me stessa. Dicono che ci organizza la Camorra. Ma non è vero, la Camorra ha tutto l'interesse nelle aperture delle discariche. E non è vero che siamo violenti, non siamo di certo noi a bruciare i camion. Siamo gente perbene. Siamo schiacciati dalla camorra da un lato e dallo Stato dall'altro».
«Noi ai politici non ci crediamo più, non ci fidiamo più di nessuno, di Bertolaso, di Berlusconi, destra, sinistra. Noi siamo soli, soli contro di loro». Stiamo parlando di una discarica con fuoriuscite di biogas e percolato lasciato a cielo aperto, quando la legge prevede la raccolta e il trattamento, una discarica che nessuno può controllare, nel bel mezzo di un Parco Nazionale, in una zona vulcanica. E i cittadini non possono sapere.
Solo gli odori nauseabondi hanno fatto scattare l'allarme nei paesi vesuviani. Per legge una discarica dovrebbe stare ad almeno due, tre km da un centro abitato. Qui parliamo di poche centinaia di metri. Una puzza che ti rimane addosso, che ti entra negli occhi. Io dopo appena due ore avevo occhi, narici e gola che mi bruciavano. A Boscoreale la Sala consiliare del Comune è occupata dai collettivi che si battono da anni per i rifiuti zero. Il sindaco (Pdl) è in una tenda in piazza (per protesta contro l'apertura della seconda cava ha fatto lo sciopero della fame interrotto poi con una pizza subito dopo la rassicurazione del Presidente della Provincia).
«Berlusconi assicura che non aprirà la cava, verrà a parlare con noi, forse sabato prossimo. Noi speriamo, avevamo puntato per la nostra economia alla vicinanza con Pompei, il turismo... Ma come si fa con questa puzza che ha già fatto danni enormi? Lungo il Vesuvio la strada dei ristoranti è deserta, 700 posti di lavoro a rischio. Qui ora i tedeschi vengono sì ma per fotografare le nostre proteste e i cumuli di immondizia. Abbiamo sbagliato la prima volta quando non abbiamo protestato per l'apertura della S.A.R.I. e adesso ci vogliono venire ad aprire la Cava Vitiello. E pensare che siamo il territorio della pietra lavica. Al danno si aggiunge la beffa noi qui facciamo la raccolta differenziata fino al 55-60 per cento, poi arrivano i rifiuti indifferenziati di Napoli e ce li scaricano in testa a noi». Molti abitanti vengono in piazza a discutere con il sindaco, sono delusi, preoccupati, esasperati. «Dovremmo protestare perché non c'è lavoro per i nostri figli, protestiamo per l'aria che respiriamo». Con Alessio, Francesco e Antonio andiamo a "visitare" le discariche abusive. Dove sversa senza pietà ogni notte la camorra.
Il problema non è solo la S.A.R.I., non è la discarica di Stato. Qui la gente vive letteralmente immersa in una discarica. Cumuli di rifiuti, di lamiere di eternit, di immondizia ovunque. Degrado urbano, carcasse di cemento di edifici abusivi e sfarzosissimi alberghi-ristoranti si alternano lungo tutto il percorso. Un po' favelas e un po' Scarface. Sì, questa è emergenza democratica. «Sono anni che protestiamo, sono anni che aspettiamo che lo Stato ci liberi dall'Antistato», ci dice un poliziotto che ha chiesto di non essere schierato "contro" i suoi concittadini durante le manifestazioni, « e cosa ci siamo ritrovati? Uno Stato che ci impone di rinunciare al nostro diritto alla salute e al nostro diritto di sapere». È difficile veramente districarsi in questi luoghi, non è facile capire. Si intrecciano interessi a più livelli. È tutto così fumoso. Intuisci però che la partita è un'altra e tra politica e criminalità organizzata è tutta giocata sulla pelle di queste persone. Andiamo di nuovo a visitare la discarica S.A.R.I., ma si vede che qualcuno ha avvertito i militari e la polizia. Stiamo ben attenti a non oltrepassare le aree di divieto, i militari da dentro la discarica ci tengono sotto controllo. Sulla strada di ritorno, sospettando un posto di blocco, nascondiamo tutto e mettiamo in sicurezza video e foto. Evitiamo il primo posto di blocco, ma non riusciamo ad evitare il secondo. Un numero impressionante di carabinieri ci ferma, abbiamo le macchine identiche a quelle dei lanciatori di pietre contro le forze dell'ordine. Ma guarda un po'. Ci chiedono i documenti, non li registrano e dopo un po' ridendo ci dicono: «Ma voi non siete lanciatori di pietre vero? Avete le facce dei giornalisti».
Sulla strada di ritorno incrociamo la macchina della protezione civile che col megafono annuncia la supplica alla Madonna di Pompei per il giorno dopo. Ci fermiamo a parlare. Le ragazze ci spiegano che la supplica è per chiedere la Grazia per non far aprire la seconda discarica. Ma come voi siete la protezione civile, siete proprio voi che la volete aprire... «Noi non lavoriamo per Bertolaso», ci dicono, « noi lavoriamo per il sindaco».
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