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Crisi India-Pakistan e l’ombra nucleare: deterrenza o minaccia?

9 Maggio 2025 6 min lettura

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Crisi India-Pakistan e l’ombra nucleare: deterrenza o minaccia?

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Nella notte tra il 6 e il 7 maggio 2025, i rapporti tra India e Pakistan sono definitivamente precipitati.

L'operazione Sindoor, avviata dall'India contro presunti campi di addestramento terroristici in territorio pakistano, ha innescato una serie di dichiarazioni bellicose e minacce reciproche, rievocando i momenti più critici delle relazioni tra le due potenze nucleari. Il premier pakistano, Shehbaz Sharif, ha immediatamente condannato l'azione indiana come un "atto di guerra", promettendo una risposta "al momento e nel luogo scelti dal Pakistan".

Il Kashmir: una ferita aperta dal 1947

L'attuale escalation ha origine nel 1947, anno del ritiro dell'Impero Britannico dal Subcontinente, che ha lasciato ai principati la scelta di aderire a uno dei due nuovi Stati. Il Kashmir divenne immediatamente oggetto di contesa. Il sovrano, che inizialmente sperava di mantenere l'indipendenza, si vide costretto a firmare l'accesso all'India a seguito dell'invasione di miliziani sostenuti dal Pakistan, scatenando la prima guerra indo-pakistana.

Il conflitto si concluse con la divisione del territorio lungo quella che ancora oggi è conosciuta come Linea di Controllo (LoC), una frontiera de facto che separa la regione amministrata dall'India da quella sotto il controllo pakistano. Da allora, il Kashmir è diventato una delle zone più militarizzate al mondo: l'India mantiene nella regione oltre 750 mila soldati, mentre il Pakistan ne schiera almeno 150 mila lungo la LoC.

La popolazione civile si trova intrappolata tra le forze di sicurezza indiane, accusate di violazioni dei diritti umani, e i gruppi militanti, alcuni dei quali godono del sostegno più o meno esplicito del Pakistan. Generazioni di kashmiri sono cresciute all'ombra del conflitto, con conseguenze devastanti sul tessuto sociale ed economico della regione.

Cronaca di una crisi annunciata

“Il 22 aprile 2025, terroristi pakistani, addestrati dal Pakistan e appartenenti al Lashkar-e-Taiba, hanno compiuto un attacco selvaggio contro turisti indiani a Pahalgam, nel Jammu & Kashmir, in India. Hanno ucciso 26 persone” ha dichiarato Vikram Misri, Ministro degli Esteri indiano, nel comunicato ufficiale divulgato da New Delhi lo scorso 7 maggio.

Il 29 aprile il primo ministro indiano Narendra Modi ha convocato un summit d’emergenza concedendo "libertà operativa totale" alle forze armate, ossia delegando all'esercito e all'aviazione la decisione su tempi, modalità e obiettivi della rappresaglia. L’operazione militare indiana è arrivata nella notte tra il 6 e il 7 maggio, con un attacco missilistico verso i presunti campi di addestramento terroristici in Pakistan e nel Kashmir pakistano, che secondo il ministro della Difesa indiano, avrebbe causato la morte di almeno un centinaio di terroristi.

Al Jazeera ha riferito che l'affermazione dell'India di aver ucciso 100 terroristi “non può essere verificata in modo indipendente”, e il Pakistan ha respinto le accuse, sottolineando le vittime civili e negando l'esistenza di infrastrutture terroristiche nei luoghi degli attacchi.

La retorica ha rapidamente raggiunto toni allarmanti: in India, esponenti del partito di governo Bharatiya Janata Party (BJP) hanno parlato apertamente di "cancellare il Pakistan dalla mappa", mentre politici e media pakistani hanno evocato la "difesa della patria a ogni costo". Il linguaggio della guerra totale, che sembrava appartenere a un'epoca passata, è tornato prepotentemente al centro del discorso pubblico, alimentando la polarizzazione e riducendo drasticamente gli spazi per il dialogo.

L'ombra nucleare: deterrenza o minaccia?

L'attuale crisi tra India e Pakistan è preoccupante soprattutto per la dimensione nucleare del confronto. 

Entrambi i paesi hanno sviluppato armi atomiche e hanno condotto test nucleari. Le dottrine nucleari presentano differenze significative che aumentano il rischio di un'escalation incontrollata. L'India ha ufficialmente adottato il principio del "no first use" (NFU), impegnandosi a non utilizzare per prima l'arma atomica, ma negli ultimi anni alcune voci all'interno del BJP hanno insistito per una revisione di questa politica, considerata troppo restrittiva.

Il Pakistan non ha mai formalizzato il principio del NFU e considera l'arsenale nucleare come una compensazione necessaria rispetto alla superiorità convenzionale indiana. Islamabad si riserva la possibilità di un "first use" in caso di minaccia esistenziale, una definizione ambigua che abbassa pericolosamente la soglia di impiego.

La comunità internazionale segue con apprensione l'evolversi della situazione.  Stéphane Dujarric, portavoce dell'ONU, ha dichiarato: “Il segretario generale Antonio Guterres ha invitato alla massima moderazione perché il mondo non può permettersi un confronto militare tra India e Pakistan”.

Dopo un primo tentativo di de-escalation tramite il segretario di stato Marco Rubio, gli Stati Uniti sospendono il proprio impegno. "Quello che possiamo fare è cercare di incoraggiare queste persone a ridurre un po' la tensione, ma non ci faremo coinvolgere in una guerra che fondamentalmente non ci riguarda e che non ha nulla a che fare con il controllo dell'America" ha dichiarato il Vicepresidente Vance, sostenitore del disimpegno degli Stati Uniti dai conflitti internazionali.

La Cina: il terzo incomodo

Un'analisi della crisi indo-pakistana non sarebbe completa senza considerare il ruolo della Cina, attore sempre più influente nella regione. Pechino mantiene con il Pakistan quello che entrambi i paesi definiscono un rapporto da "fratelli di ferro", sostenendo Islamabad sia dal punto di vista militare che economico.

Il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), parte integrante della più ampia Belt and Road Initiative, rappresenta l'investimento infrastrutturale più significativo nella storia pakistana, collegando il porto strategico di Gwadar, sul Mar Arabico, alla regione cinese dello Xinjiang attraverso il Kashmir pakistano. Questo progetto, dal valore stimato di oltre 60 miliardi di dollari, ha ulteriormente cementato l'alleanza sino-pakistana, ma ha anche aumentato l'irritazione di New Delhi, che vede nel CPEC una violazione della propria sovranità territoriale.

Le relazioni sino-indiane sono ulteriormente complicate dal contenzioso territoriale diretto riguardante la regione di Aksai Chin, rivendicata dall'India ma controllata dalla Cina dal 1962. Questa disputa, che ha generato scontri armati anche in tempi recenti, aggiunge un'ulteriore dimensione di complessità allo scenario regionale.

Gli interessi cinesi sono molteplici e talvolta contraddittori: da un lato, Pechino cerca di contenere l'influenza indiana, vista come potenziale rivale per l'egemonia regionale; dall'altro, la Cina ha un forte interesse nella stabilità dell'area, necessaria per garantire la sicurezza delle proprie rotte commerciali e degli investimenti realizzati nel quadro della BRI.

La posizione ufficiale cinese nella crisi attuale è stata descritta come "neutrale", ma la sua alleanza strategica con Islamabad rappresenta un fattore di pressione costante per New Delhi, che percepisce un accerchiamento da parte delle due potenze confinanti.

Idropolitica

Se il rischio più immediato è rappresentato dal confronto nucleare, la minaccia più insidiosa e di lungo periodo per la stabilità della regione potrebbe essere costituita dalla competizione per le risorse idriche. Come prima misura dopo l'attentato di Pahalgam, l’India ha sospeso unilateralmente il Trattato delle Acque dell’Indo.

Il Trattato delle Acque dell'Indo (Indus Waters Treaty), firmato nel 1960 con la mediazione della Banca Mondiale, ha regolato finora la spartizione dei sei fiumi principali del bacino dell'Indo. Secondo tale accordo, tre fiumi sono destinati principalmente all'uso pakistano, mentre gli altri tre sono destinati principalmente all'uso indiano.

Negli ultimi anni, tuttavia, New Delhi ha più volte minacciato di sospendere o recedere unilateralmente dal trattato, utilizzando la gestione delle risorse idriche come strumento di pressione politica e strategica. La costruzione di dighe e centrali idroelettriche sui fiumi che scorrono verso il Pakistan ha generato forti preoccupazioni a Islamabad, dove si teme che l'India possa utilizzare queste infrastrutture per regolare il flusso dell'acqua a proprio vantaggio, provocando siccità o inondazioni.

L’agricoltura costituisce la spina dorsale dell'economia pakistana, rappresentando il 22,9% del PIL, il 24,4% delle esportazioni, fornendo mezzi di sussistenza a due terzi della popolazione rurale e impiegando il 37,4% della forza lavoro totale. L’Indo irriga più del 90% delle colture del Paese. Allo stesso modo, il Pakistan genera un quinto della sua elettricità dall'energia idroelettrica. Ognuna delle 21 centrali idroelettriche del paese si trova nel bacino dell'Indo.

Il Pakistan è uno dei paesi più colpiti dal cambiamento del clima. Come evidenziato nel rapporto di Germanwatch, circa un pakistano su sette (33 milioni di persone) è direttamente colpito dagli eventi meteorologici estremi. Le alluvioni catastrofiche del 2022, che hanno sommerso un terzo del Paese, sono state definite dalle Nazioni Unite "un disastro climatico di proporzioni epiche".

Oltre la crisi, quali prospettive?

L'attuale escalation tra India e Pakistan non è semplicemente il risultato di un attentato o di una scelta politica contingente, ma è causata da una lunga e dolorosa storia, con identità nazionali in opposizione, militarizzazione e narrazioni incompatibili.

La diplomazia internazionale non offre soluzioni durature: i meccanismi di dialogo sono in crisi, la pressione delle grandi potenze invita alla moderazione, e l'ONU è paralizzata dai veti.

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I costi umani sono incalcolabili: la vita dei kashmiri è segnata dalla violenza e dall'insicurezza, e l'esercito è sproporzionato rispetto alle reali esigenze di sviluppo.

Se non si cambiano le strategie identitarie, di gestione delle risorse e di sicurezza, il rischio è che il Kashmir diventi il centro di una tempesta perfetta. Una guerra aperta tra India e Pakistan non avrebbe vincitori e genererebbe solo altre vittime, ben oltre i confini del subcontinente indiano.

Immagine in anteprima: frame video Global News via YouTube

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