Riprendersi il diritto alla casa: la lotta contro la crisi abitativa in Europa
7 min lettura*Articolo in partenariato con Display Europe, pubblicato su Voxeurop
Nel 2024, con l’avvicinarsi del Giubileo (che come ogni grande evento, amplifica e spesso peggiora, la situazione di coloro che vivono in condizioni precarie), il Comune di Roma ha deciso di “occuparsi” della questione delle persone senza fissa dimora presenti nei pressi della centralissima stazione Termini. La soluzione?
Una tensostruttura da 70 posti, da allestire in Piazza dei Cinquecento che ha scatenato le proteste da parte di alcune forze politiche. Alla fine la struttura viene spostata, e con capienza ridotta, nel quartiere più defilato di San Lorenzo.
La vicenda mostra come la questione abitativa venga ancora affrontata come un problema di ordine pubblico, e come i senzatetto vengano trattati più come ostacoli da rimuovere che come persone in situazione di precarietà. Cosa succede se si sposta lo sguardo? Se si parte dalle vite e dai bisogni, e non dal “decoro”?
A Roma, come in molte città europee, di fronte all’aumento degli affitti, turismo incontrollato e crescenti disuguaglianze sociali, sono nate forme collettive di lotta e solidarietà. Questo articolo racconta tre esperienze — a Roma, Barcellona ed Edimburgo — che, con mezzi differenti, cercano di dare risposte concrete alla crisi dell’abitare.
Roma, ripartire dai bisogni
Tra le associazioni impegnate in prima linea c’è Nonna Roma, realtà nata nel 2017. “L’associazione parte come banco di mutuo soccorso”, spiega Sara Fiordaliso, che collabora come volontaria. “Il supporto alimentare è un primo contatto, e poi attorno alle persone viene costruita tutta una rete di servizi con l'obiettivo di far sì che tutti facciano parte di un'unica comunità”.
Tra i circa 200 volontari dell’associazione ci sono anche persone che inizialmente si sono rivolte a Nonna Roma perché ne avevano bisogno. Quella necessità si è trasformata in consapevolezza, e da lì in impegno e lotta politica.
Negli anni, l’associazione ha iniziato a occuparsi anche dell’emergenza abitativa, passando dall’assistenza alla fase di studio e di proposta politica. “Le famiglie che sono in graduatoria per le case popolari sono circa 18.500, e l'aspettativa di vedersi la casa assegnata è da qua a qualche decennio”, dice Sara, restituendo uno tra i tanti dati che perimetrano la dimensione di una crisi strutturale.
Nel 2024 è arrivata l’indagine Di casa a Roma. Un lavoro collettivo a più voci sulla crisi abitativa che ha fornito la base per una campagna per contrastare due grossi problemi: il ricorso agli affitti brevi, e la difficoltà nell’accedere ad affitti accessibili. A un anno di distanza, complice anche il Giubileo, la situazione appare critica.
“Si è creato una sorta di effetto bolla ancora prima del Giubileo”, spiega Sara, “proprio per l’attesa dell’evento i prezzi sono scoppiati, gli immobili in affitto a Roma sono introvabili”.
In quartieri non centrali come il Pigneto, per esempio, a fronte di migliaia di annunci per affitti brevi se ne trovano appena qualche decina nei portali immobiliari. “Abbiamo visto annunci di bilocali a 2500 euro”, dice Sara.
Per quanto Roma sia una città grande e complessa, si inserisce in un quadro nazionale dove la maggior parte delle famiglie è proprietaria di case, oppure ne dispone a titolo gratuito o in usufrutto. Come riporta l’indagine dell’associazione, circa l’80 per cento in Italia, secondo l’Istat, dato molto al di sopra della media europea. Quella degli inquilini è quindi una classe molto ridotta e trasversale di individui, in competizione nelle grandi città per i pochi affitti sostenibili, con dinamiche che favoriscono le discriminazioni verso chi non ha un contratto a tempo determinato, o il razzismo.
Nella capitale italiana qualcosa si è comunque mosso nel tempo, grazie anche alla rete di associazioni riunite nel Social Forum Abitare, di cui fa parte anche Nonna Roma. Ad esempio, è stato attivato nel Terzo Municipio uno sportello abitativo, che l’associazione contribuisce a gestire. “Adesso stiamo costruendo il meccanismo che ci porterà ad avere il servizio di intermediazione”, dice Sara.
La prossima sfida sarà la fase attuativa del Piano Casa approvato dal Comune, che potrebbe portare alla creazione di un’agenzia per la casa. In questo modo, chi ha difficoltà ad accedere al mercato degli affitti potrebbe trovare una garanzia pubblica da parte dell’amministrazione. Un passo che dalle sperimentazioni nei singoli municipi potrebbe quindi migliorare la situazione su tutto il territorio.
Pedagogia della collettivizzazione in Spagna: il Sindicat de Llogateres
Tra le città europee diventate protagoniste del diritto alla casa c’è Barcellona, in un paese, la Spagna, dove il prezzo degli affitti è raddoppiato negli ultimi 10 anni, e dove l’edilizia popolare è tra gli ultimi posti in Europa (2,5 per cento).
Tra i promotori di questi cambiamenti ci sono organizzazioni come il Sindicat de Llogateres, che diffondono le pratiche sindacali nei rapporti tra inquilini e grosse compagnie del settore immobiliare. Presente in tutta la Catalogna, il sindacato conta circa 8000 iscritti secondo quanto dichiarato dalla sua portavoce Carme Arcarazo.
“Circa metà di quanto una persona guadagna è speso per l’affitto”, dice Carme, spiegando i motivi per cui è nato il sindacato nel 2017. “Di solito la relazione tra inquilini e proprietari è così diseguale che una negoziazione è di fatto impossibile. Unirsi con altri inquilini riequilibra i rapporti, e così si può davvero negoziare”.
Portare i problemi individuali che un inquilino può vivere in una dimensione collettiva è la strategia cardine che guida le attività del Sindicat de Llogateres. Carme paragona a “un’estorsione” quella che è una situazione molto comune: inquilini che, alla scadenza del contratto, si trovano di fronte a richieste del tipo “o mi paghi il doppio di quanto pagavi prima, oppure te ne vai”.
Quando qualcuno contatta il sindacato per problemi del genere, “il primo passo è controllare al catasto di chi è la casa, e quante altri immobili possiede il proprietario. Poi bussiamo alle porte di queste altre case per parlare con gli inquilini e vedere se hanno lo stesso problema”.
Mobilitando persone con analoghi problemi si cerca di arrivare a una contrattazione collettiva.
Dove questo non basta, si percorrono altre strade. È il caso dello sciopero degli affitti lanciato sul finire del 2024, sulla scia del precedente storico avvenuto nel 1931. “Penso ci sia molto supporto attorno allo sciopero, voglio dire, è assurdo che ci siano così pochi alloggi popolari, ed è assurdo che quel poco che ci sia venga privatizzato. Inoltre stiamo andando contro la compagnia più grande di tutte nel settore”.
Ma il compito è anche educativo: “C’è molta pedagogia da fare, ma è normale no? Le persone sono spaventate. Non c’è una cultura legata allo sciopero degli affitti, ma penso che ognuno sia consapevole del diritto a scioperare nel mondo del lavoro, e questo perché qualcuno ha cominciato a farlo quando non era legale”, dice Carme.
Oltre a lottare per condizioni migliori e per cambiare le leggi, c’è quindi un paradigma culturale che va rivoluzionato partendo proprio dal diritto alla casa. “Non vogliamo essere un sindacato di attivisti, di persone iper-politicizzate”, dice Carme. L’idea di fondo è di superare la divisione fittizia tra cittadini comuni da una parte, e “attivisti” impegnati dall’altra: i problemi di classe e la crisi abitativa colpiscono infatti tanto i primi quanto i secondi.
Diritti e comunità in Scozia
Nel 2024, l’Ocse conferiva al Regno Unito un drammatico primato: tra i paesi ad alto reddito, il paese presenta il più alto tasso di persone senza tetto. Tra le zone più colpite dalla crisi abitativa c’è la Scozia. Nella regione di Edimburgo, nell’ultimo decennio si è registrato in media un incremento del 94 per cento degli affitti per un appartamento con una stanza da letto.
È in questo contesto che opera Living Rent, che unisce l’attività sindacale di tutela degli inquilini alla costruzione delle comunità, secondo la logica grassroots del modello ACORN, che si basa su organizzazioni locali, democratiche e basate sui membri che operano come un sindacato.
Cameron Scally, ad esempio, è presidente della sezione di Leith di Living Rent Edinburgh, ovvero la zona portuale della città, e si è avvicinato al sindacato nel 2020 durante la pandemia, dopo un periodo di disoccupazione e difficoltà nel pagare l’affitto. “Edimburgo è soprattutto una città universitaria, quindi gran parte dello sviluppo recente ha riguardato gli alloggi per studenti”, spiega.
Anche qui un altro fattore che incide sulle politiche abitative è il turismo, in particolare d’estate quando a trainare l’industria ci sono eventi come il Fringe. “Ci troviamo di fronte a un enorme sviluppo alberghiero e, in particolare, alla conversione di alloggi esistenti in affitti a breve termine per i noti siti di affitto on line ”. Una situazione comune che da poco ha visto Edimburgo introdurre una tassa di soggiorno, grazie a una legge nazionale voluta dal parlamento scozzese.
“Siamo riusciti a fare qualche progresso in questo senso grazie ad alcune campagne a livello cittadino e all'organizzazione a livello nazionale” dice Cameron. “Non si tratta solo di impedire l'arrivo dei turisti, ma di far sì che i soldi del turismo restino nella città”.
Attraverso le consultazioni che hanno preceduto l’adozione della tassa, Living Rent ha ottenuto che i proventi della stessa vengano usati per sostenere l’edilizia popolare, gli affitti agevolati e gli spazi pubblici. Una delle contraddizioni del combinato disposto tra crisi economica ed abitativa, infatti, è che nelle città che vivono di turismo come Edimburgo i lavoratori del settore non riescono a permettersi gli affitti, sempre più esosi.
Proprio la capacità di rendere accessibili le consultazioni, locali o nazionali, sono secondo Cameron uno dei punti di forza di Living Rent. “Quando l’SNP e i Verdi sono stati al governo insieme, hanno indetto una consultazione per definire il futuro della loro politica abitativa da lì a due anni”, racconta.
Consultazioni di cui vengono informati direttamente associazioni di settore o agenzie di locazione, ma non certo ai singoli inquilini. “Per questo motivo” continua Cameron, “Living Rent si è riunito e abbiamo redatto la nostra risposta, poi siamo scesi in strada e abbiamo chiesto alle persone di sostenerla. In pratica lo abbiamo trasformato in un’occasione pubblica per raccogliere firme e coinvolgere la comunità”. L’effetto quindi, è stato di rendere una procedura tecnica e complessa “molto più accessibile alle persone”.
(Immagine anteprima via Living Rent)
