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Clima, i giovani si stanno organizzando globalmente come mai nessuna generazione aveva fatto prima

26 Settembre 2019 9 min lettura

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Clima, i giovani si stanno organizzando globalmente come mai nessuna generazione aveva fatto prima

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Milioni di giovani (e non solo) hanno manifestato venerdì 20 settembre lungo le strade e riempito piazze in tutti i continenti del pianeta per chiedere azioni concrete contro la minaccia del riscaldamento globale.

Le manifestazioni della scorsa settimana hanno dato il via a 7 giorni di sit-in, cortei, concerti, assemblee ed eventi, tra cui #BellForFuture, #TreesForFuture, #ScientistsForFuture, #ResearchersDesk. La settimana di protesta si concluderà domani, venerdì 27 settembre, con la partecipazione di Greta Thunberg alla marcia in programma a Montreal, in Canada.

Anche in Italia sono previste manifestazioni e scioperi. Il ministro dell'Istruzione, Lorenzo Fioramonti, ha invitato le scuole, "pur nella loro autonomia, a considerare giustificabili le assenze degli studenti occorse per la mobilitazione mondiale contro il cambiamento climatico", visto che stanno scendendo in piazza "per rivendicare un’attenzione imprescindibile al loro futuro". Cortei, sit-in e marce sono previste in oltre 150 città italiane.

"Milioni di persone in marcia"

Come ricostruisce Somini Sengupta sul New York Times, nella manifestazione di Berlino la polizia ha stimato una presenza di 100mila manifestanti e numeri simili si sono registrati a Melbourne, in Australia, e a Londra. A New York, secondo l’ufficio del sindaco, circa 60mila persone sono scese in strada per protestare, mentre per gli organizzatori erano circa 250mila. Cortei di diverse grandezze ci sono stati anche a Manila, la capitale delle Filippine, a Kampala in Uganda e a Rio de Janeiro in Brasile. Un gruppo di ricercatori ha manifestato anche in Antartide. A questi scioperi hanno partecipato anche gli adulti, invitati dai giovani a unirsi a loro, riportano Sandra Laville e Jonathan Watts sul Guardian: "I sindacati che rappresentano centinaia di milioni di persone in tutto il mondo si sono mobilitati, i dipendenti hanno lasciato il posto di lavoro, i medici e le infermiere hanno marciato e i lavoratori di aziende come Amazon, Google e Facebook sono usciti per unirsi agli scioperi climatici".

Per gli organizzatori la partecipazione globale è stata intorno ai quattro milioni di persone, con 6 mila eventi organizzati in più di mille città in 185 paesi. Si è trattato probabilmente, si legge su Quartz, della più grande protesta climatica della storia, svoltasi in un solo giorno. Il primo grande sciopero mondiale contro il cambiamento climatico si era svolto lo scorso 15 marzo, con oltre 2000 eventi in più di 120 paesi.

Gli studiosi dei movimenti di protesta affermano che questo movimento giovanile, unito dall'urgenza globale di azioni per contrastare il cambiamento climatico, ha una propria peculiarità, scrive ancora Sengupta sul New York Times: "In un momento di sfiducia nei confronti delle autorità, i ragazzini – che per definizione non hanno autorità su nulla – stanno guidando sempre più il dibattito pubblico. Utilizzando Internet, i giovani si stanno organizzando attraverso i continenti, come mai nessuna generazione aveva fatto prima di loro. E sebbene le loro richieste di porre fine all'utilizzo di combustibili fossili richiamino le istanze dei vecchi ambientalisti, il loro movimento ha catturato l'attenzione dell'opinione pubblica in modo molto più efficace".

Harriet Thew, una studiosa delle politiche ambientali e del cambiamento climatico dell'Università di Leeds, nel Regno Unito, spiega inoltre a Nature che questi giovani attivisti non sono ambientalisti convenzionali, ma vedono la lotta ai cambiamenti climatici come una questione di giustizia globale. Una lettura che secondo Thew è più efficace rispetto a un messaggio puramente ambientale: «Stanno parlando sempre di più dei problemi legati alle persone, riconoscendo davvero la connessione uomo-ambiente».

Xiye Bastida, attivista climatica di 17 anni, ha dichiarato a BuzzFeed News che lo sciopero del 20 è stato un «trampolino di lancio, un catalizzatore per azioni future. Un punto per dire al mondo: Vi stiamo osservando».

L'esito deludente del Summit Onu sulla crisi climatica

Lo sciopero e le proteste del 20 settembre scorso sono state organizzate in vista dell’Action Summit 2019 dell'Onu, apertosi a New York il 23 settembre, in cui capi di Stato e di governo, imprenditori, organizzazione non governative, amministratori locali e attivisti, si sono confrontati sugli sforzi da mettere in atto per combattere la crisi climatica.

Lo scorso primo agosto il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, aveva avvertito i leader mondiali di non presentarsi al vertice con «bellissimi discorsi», ma con «piani concreti» per migliorare i cosiddetti "Contributi nazionali determinanti" – in inglese, Nationally Determined Contributions (NDC) –, al centro dell'accordo sul clima firmato a Parigi nel 2015 durante COP21. Si tratta degli obiettivi che le nazioni si sono date per contribuire a limitare l'aumento della temperatura globale a 2 gradi centigradi rispetto all'epoca pre-industriale, ma con un impegno aggiuntivo a contenere questo aumento entro 1,5 gradi. Come stabilito, nella COP del 2020 nel Regno Unito questi impegni dovranno diventare azioni concrete. Secondo gli esperti però l’effetto aggregato degli NDC non è ancora sufficiente per lo scenario dei 2°C e per questo motivo senza una maggiore ambizione e un aumento degli sforzi "è probabile che le temperature medie crescano di 3.0, 3.2°C entro la fine del secolo".

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A ottobre dello scorso anno, l'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), il gruppo mondiale di esperti sul clima, aveva rilevato inoltre che già l’aumento delle temperature globali di 1,5 gradi centigradi avrebbe l’effetto di provocare l'innalzamento del livello del mare, la distruzione di parte delle barriere coralline, l'estinzione di alcune specie vegetali, siccità, inondazioni, tempeste e ondate di calore capaci di minacciare la salute del pianeta. Il giorno prima del summit, il World Meteorological Organization (Wmo) ha poi pubblicato un report che mostra come le emissioni globali di biossido di carbonio da combustibili fossili sono cresciute del 2% lo scorso anno, raggiungendo il massimo storico, e che la temperatura media nel periodo 2015-2019 è stata superiore di 1,1 gradi rispetto all'epoca preindustriale (1850-1900) e maggiore di 0,2 gradi rispetto al periodo 2011-2015.

Durante il vertice, le promesse più importanti annunciate sono stati le seguenti: oltre 60 leader mondiali hanno affermato che il loro impegni contro le emissioni di gas a effetto serra si rafforzerà, ma la maggior parte di essi sono piccoli paesi con emissioni relativamente basse. Gli Stati più ricchi hanno promesso assistenza internazionale con un aumento di risorse per il "Fondo verde per il Clima" che ha l'obiettivo di sostenere i Paesi in via di sviluppo nella riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e nell’adattamento agli effetti del cambiamento climatico. La Germania ha annunciato la chiusura di tutte le sue centrali elettriche a carbone entro il 2038. Poi, 77 paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra fino ad arrivare a zero entro il 2050. La Russia ha comunicato di voler ratificare l'accordo di Parigi sul clima, portando il numero totale di paesi che hanno aderito a 187. Un consorzio di fondi pensione e compagnie assicurative che gestisce 2,3 trilioni di dollari, poi, ha annunciato l'impegno a porre fine a tutti i suoi investimenti nelle industrie ad alto consumo di carbone entro la metà del secolo.

Alla chiusura del summit, Guterres ha detto che sono stati fatti passi in avanti, ma che la strada da fare è ancora molta: «Abbiamo bisogno di piani più concreti, più ambizioni da parte di più paesi e più aziende».

Le aspettative sono dunque rimaste deluse. Da più parti il summit, infatti, è stato definito un "fallimento": "I maggiori produttori di gas a effetto serra del mondo – Cina, Stati Uniti e India – non hanno proposto nulla o molto poco per i loro impegni a ridurre le emissioni", scrive Vox. Diversi esperti del settore, riassume inoltre il Washington Post, hanno dichiarato di aver sentito parlare molto, ma che sono mancate le promesse di azioni necessarie per contenere l'aumento del riscaldamento in pochi decimi di grado. Helen Mountford, vice presidente del World Resources Institute, ha detto: «Quello che abbiamo visto finora non è il tipo di leadership climatica di cui abbiamo bisogno da parte delle principali economie». Nella sede centrale dell’Unicef a New York è stato inoltre annunciato un reclamo presentato da 16 adolescenti al Comitato delle Nazioni Unite in cui si sostiene che il fallimento dei governi nell’affrontare la crisi climatica costituisce una violazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti. Per questo motivo, si chiede a questo organismo indipendente di sollecitare i governi ad agire per proteggere i bambini dagli effetti devastanti del cambiamento climatico.

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Intanto, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ha pubblicato un nuovo rapporto dal titolo “Oceano e criosfera in un clima che cambia”, in cui si legge che senza riduzioni drastiche delle emissioni il livello dei mari potrebbe crescere di un metro entro il 2100, con drammatici effetti a catena: i ghiacciai potrebbero perdere un terzo della loro massa e alcune catene montuose l’80% del ghiaccio. "La perdita di massa globale dei ghiacciai, la fusione del permafrost e il declino nella copertura nevosa e nell'estensione dei ghiacci artici è destinata a continuare nel periodo 2031-2050, a causa degli aumenti della temperatura di superficie, con conseguenze inevitabili per straripamenti di fiumi e rischi locali".

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Foto in anteprima via Kym Chapple

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