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Walter Veltroni ha scritto un libro di fantascienza

23 Giugno 2013 6 min lettura

Walter Veltroni ha scritto un libro di fantascienza

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E se noi domani
 (Rizzoli) di Walter Veltroni è un pamphlet politico che deborda nella fantascienza. Come la fantascienza, infatti, pretende la sospensione d'incredulità fin dall'inizio:

Un libro scritto nelle settimane precedenti la drammatica elezione del presidente della Repubblica, che ha squadernato tutta intera la crisi devastante del sistema politico e la pericolosa fragilità di quello istituzionale.
[...]
io sento, per parte mia, una responsabilità. Non aver detto prima, per pavloviano  spirito di unità, ciò che è scritto nelle pagine che seguono. Anche questo testo, per me, ora che non ci sono altre sedi per farlo, è un contributo all’unità e al rilancio delle idee di cambiamento.

Il lettore è perciò invitato a immaginare Veltroni mentre assiste davanti alla tivù all'elezione del Presidente della Repubblica e vive la drammaticità di quei momenti (hashtag: #franchitiratori). Come ammiraglio che fronteggia la tempesta, Veltroni scarta immediatamente l'ipotesi di scrivere l'ennesima lettera a La Repubblica o al Corriere, di partecipare a una tramissione tv o a un'assemblea nazionale del Pd: sa che quelle sedi gli sono precluse. Allora si alza dalla poltrona, prende l'agenda, la sfoglia fino alla lettera "R", cerca "Rizzoli", compone il numero e dice «pronto, sono Walter. Sì, Veltroni. Vi è rimasto un buco in catalogo per maggio? Oh, che fortuna! Dico, hai visto la drammatica elezione del presidente della Repubblica? Ha proprio squadernato tutta intera la crisi devastante del sistema politico, per non parlare della pericolosa fragilità di quello istituzionale. Guarda, per parte mia sento una responsabilità, e allora vorrei scrivere un pamphlet. No, non "il manifesto di chi si candida a qualcosa", "non un esauriente programma politico o elettorale". Penso invece a "idee sull’Italia e sui democratici". Forse riesco a finirlo in tempo perché lo si possa presentare, magari, al Salone Internazionale del Libro di Torino. Sì, lo so che è praticamente tra un mese, ma sento che ce la faremo, se vuoi dopo chiamo per sapere se è rimasto un buco libero nel programma. Senza impegno, eh».

Il senso del libro comincia sinteticamente in copertina: sul piano semiotico è il grido d'aiuto di chi, evidentemente, non ha potuto dire «no, non lo pubblico nemmeno sotto tortura». Abbiamo il nome dell'autore scritto a caratteri enormi, con titolo e sottotitolo progressivamente più piccoli; ogni campo occupa due righe ed è grande la metà del precedente. La copertina ci dice dunque che Walter Veltroni (hashtag: #WALTERVELTRONI) ha voluto scrivere di certe idee dettate dalla passione; ma sono idee assediate dai dubbi, come testimoniano la congiunzione ipotetica e l'anacoluto del titolo e il condizionale del sottotitolo. E le vuole propinare a noi, pur sapendo, in fondo, che sono soprattutto idee sue - da qui il passaggio dalla prima persona plurale a quella singolare. L'unica certezza di Veltroni, in fondo, è quella di essere Veltroni, e apparentemente gli basta.

La scrittura abbonda di vizi retorici. La loro frequenza denota un pensiero debole riversato sulla pagina; magari fossero solo scelte stilistiche infelici. Il vizio più sintomatico è l'abuso dell'avverbio di negazione, come si può vedere in questo passo (grassetti miei):

come un intellettuale romantico investito da un cambiamento di cui non riesce a comprendere i lineamenti, la sinistra tende ad arroccare [...]. Non più animata dalla voglia di cambiare il mondo, ma di difenderlo così com’è. [...] La sinistra conservatrice: non riesco ad accettare che non sia un ossimoro. E mi spaventa ancora di più quando, magari sotto i colpi di insuccessi elettorali clamorosi, ci si mette a inseguire chiunque passi ammantato di nuovo, non importa cosa dica, non importa cosa proponga.

Invece di enfatizzare i concetti (non dico questo, ma quest'altro), l'avverbio di negazione qui evidenzia il bisogno dell'emittente di respingere contenuti sgradevoli («la sinistra conservatrice»). Questa volontà di negazione è così preponderante da relegare in disparte il messaggio principale, riassumibile in «la sinistra italiana è conservatrice». Una frase che, a conti fatti, si poteva scrivere direttamente e poi argomentare.

Altro vizio è l'abuso di citazioni, che in Veltroni sembra un feticismo pseudointellettuale, specie quando ne infila più per volta. Abbiamo tra le mani un libro scritto in circa un mese, quindi delle due l'una: o Veltroni ha sul deskstop una cartella denominata «Citazioni per ogni occasione», oppure ha una memoria prodigiosa che neanche Pico della Mirandola. Per esempio: da pagina 138 a 139 inizia con Memento di Nolan, continua con 2001 Odissea nello spazio, balza indietro fino al 1417 per menzionare l'esistenza di Poggio Bracciolini, grazie al quale è entrato nella storia della cultura universale il De rerum natura di Lucrezio, fa un passo avanti verso Il manoscritto di Stephen Greenblatt e atterra infine sulla massima andreottiana «il potere logora chi non ce l'ha».

In molti passaggi le citazioni sono la struttura portante del discorso (corsivo mio):

Robert Louis Stevenson ha scritto: «La politica è forse l’unica professione per la quale non si ritiene necessaria alcuna preparazione». Questa frase potrebbe essere incisa sullo scudo che esibiscono i politici di professione in difesa del loro «specifico». Ma sbaglierebbero perché vale in primo luogo per loro. La politica non è una tecnica pura ma, come scrisse Max Weber, necessita di tre qualità: «passione, senso di responsabilità, lungimiranza». Queste sì, richiedono «preparazione». Ai ragazzi che iniziano a occuparsi di politica raccomanderei solo di viverla così: seguendo onestà, passione, coraggio del futuro e coscienza del passato.

Alla fine arriva il Veltroni-pensiero, piuttosto banale: ragazzi, se vi occupate di politica seguite onestà, passione, ed evitate droghe che alterino la vostra percezione del tempo. Così il citazionismo arricchisce argomenti vacui, occultandone la natura. È come se Veltroni avesse bisogno, prima di tutto, di rassicurarsi circa la qualità dei propri pensieri, e lo facesse - di continuo - in presenza del lettore.

In alcuni casi si raggiungono esiti parodistici, come nel capitolo Non pensare all'elefante, incentrato sull'omonimo e famoso testo di George Lakoff in cui il linguista invita a non essere succubi dei valori avversari. A parte che il libro è del 2004 e forse andava studiato un po' prima, il problema qui è persino un altro. Di cosa parla infatti il capitolo? Dell'elefante per eccellenza del centro-sinistra: Berlusconi. E Veltroni è ancora convinto che sia stata una buona idea usare l'espressione «il principale esponente dello schieramento a noi avverso». Un po' come se Lakoff avesse scritto Non pensare al mammifero con la proboscide! Non solo ha letto Lakoff tardi: non l'ha neanche capito.

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Ancora più spassosa - o tragica, come preferite - è la volontà di riscatto dall'imitazione che Crozza ha dedicato a Veltroni, giocata sul tormentone del «ma anche». Leggiamo il passo in questione, dove i «ma anche» pronunciati da Obama (visto? anche Obama usa «ma anche») sono elevati a sublime specchio del narciso Walter:

Quanti «ma anche» ha pronunciato Obama in questi anni? Apriamo agli israeliani e al loro diritto alla sicurezza ma anche invitiamo i loro ragazzi a guardare la realtà con gli occhi dei palestinesi. Combattiamo Bin Laden e il fondamentalismo religioso islamico ma anche andiamo al Cairo a dire che «l’Islam è parte integrante dell’America». E proprio scorrendo il bellissimo e coraggioso testo di quel discorso tenuto nel 2009 all’università della capitale egiziana si trovano queste frasi: «Il rapporto tra Islam e Occidente ha alle spalle secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche di conflitto e di guerre di religione», oppure: «So che agli occhi di molti il volto della globalizzazione è contraddittorio. Internet e la televisione possono portare conoscenza e informazione, ma anche forme offensive di sessualità e di violenza fine a se stessa. I commerci possono portare ricchezza e opportunità, ma anche grossi problemi e cambiamenti per le comunità locali».

Questi difetti di forma e contenuto si sommano alla storia politica di Veltroni, elemento imprescindibile visto l'argomento del libro. A riguardo l'autore lamenta di non aver potuto realizzare le idee professate perché negli ultimi dodici anni «il tempo della mia responsabilità politica nazionale è durato in tutto sedici mesi»: si vede che la «corrente veltroniana» è un fenomeno atmosferico e non politico. Si vede che essere sindaco - per due mandati - di una capitale non è abbastanza per dare l'esempio attraverso la prassi. Così la lettura finisce dopo poche pagine per essere viziata, perché l'autore smette ben presto di essere credibile, in un modo o nell'altro. Ci sono passi che stimolano la riflessione, ad esempio quando Veltroni critica il concetto di «Seconda Repubblica», mancando riforme costituzionali che giustifichino l'espressione. Ma appena uno si ricorda del pulpito da cui provengono le parole, lo stimolo passa in fretta, e il cervello del lettore diventa una timeline intasata dagli hashtag #machestaiaddì, #tenedeviannà e #Africa.

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